La legge sull’immigrazione attende i Decreti che la facciano
funzionare e, si spera, siano Decreti che servano a farla funzionare bene
Sta per entrare vigore il decreto di programmazione dei flussi di immigrazione per l’anno in corso: è la prima volta che, con ragionevole puntualità, si indicano ai lavoratori stranieri vie di immigrazione diverse dal ricorso agli scafisti. Si tenta così di ridare onore alla legge 40, costretta, fino ad oggi, a produrre poco più che una goffa e inutile battaglia contro quanti di quell’unica via avevano dovuto servirsi.
Quattro possibilità
Il
decreto prevede che possano entrare in Italia ventotto mila lavoratori chiamati
da un datore di lavoro disposto ad assumerli. Altri duemila possono entrare
per attività di lavoro autonomo, purché ottengano il nullaosta per
l’iscrizione negli albi o registri previsti per la specifica attività
richiesta e dimostrino di possedere le risorse sufficienti per svolgerla.
Quote ulteriori, per un ammontare di diciottomila ingressi, sono riservate ai
lavoratori dei paesi con cui l’Italia ha stipulato (Albania, Marocco e
Tunisia) o stipulerà accordi per la riammissione degli stranieri espulsi.
Quindicimila lavoratori potranno, infine, essere ammessi a cercare occupazione
in Italia in presenza di uno sponsor (privato o pubblico) che garantisca il loro
sostentamento e l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale. In tutti i
casi dovrà essere dimostrata anche la disponibilità di un alloggio per il
lavoratore.
Ricerca di lavoro
Trascorsi
quattro mesi dalla pubblicazione del decreto, qualora non sia stata esaurita la
quota di ingressi per sponsorizzazione, potranno entrare, fino a completarla,
i lavoratori che si siano iscritti in apposite liste nei nostri consolati.
Questa possibilità, esplicitamente prevista dalla nuova legge, costituisce
l’aspetto più avanzato della riforma, dal momento che rende legale il
meccanismo di ricerca di lavoro sul posto, fino ad oggi praticato con successo,
ma in modo forzatamente illegale, da immigrati ovviamente privi di
sponsorizzazione. La previsione del decreto ha, più che altro, un valore di
sperimentazione, data l’esiguità della quota e l’attuale mancanza di
liste di prenotazione nei nostri consolati (per quest’anno il meccanismo sarà
utilizzabile solo per ingressi da Albania, Marocco e Tunisia). Può servire però
a dimostrare che questo specifico canale di ingresso è il più scorrevole e
merita di essere esportato in Europa. Per il futuro sarà bene, comunque,
prevedere l’istituzione di una lista centralizzata, in Italia, alla quale
i lavoratori possano accedere per posta, piuttosto che dover combattere contro
le lentezze delle nostre rappresentanze diplomatiche e la corruzione che in
prossimità di esse fiorisce. Critiche di fondo possono riguardare l’ammontare
complessivo degli ingressi previsti e la ripartizione per categorie. Il primo
(sessantatré mila ingressi), sotto stima sia la pressione migratoria, sia la
domanda di manodopera del mercato italiano; una presa di posizione decisa e
simultanea in tal senso delle associazioni di volontariato, di quelle
imprenditoriali e dei sindacati gioverebbe ad affrancare i nostri politici da
paure ed esitazioni anacronistiche. La seconda, con una previsione di soli
duemila ingressi per lavoro autonomo, penalizza la possibilità di inserimento
nelle attività di piccoli servizi (si pensi a giardinieri, muratori,
imbianchini), che, in mancanza di rapporti di lavoro stabili, si configurano
appunto come attività autonome.
Nuovi decreti?
Tuttavia,
tanto la legge 40, quanto la formulazione adottata nel decreto di
determinazione dei flussi, offrono sufficienti strumenti di flessibilità per
rimuovere questi ostacoli: il governo può adottare anche più decreti in un
anno, e, nell’applicazione di quello presente, potrà all’occorrenza
ridefinire la ripartizione tra le diverse modalità di ingresso. La cosa assume
un particolare rilievo se si pensa che la chiamata nominativa da parte di un
datore di lavoro è viziato insanabilmente dalla impossibilità di incontro diretto
tra datore di lavoro e lavoratore. Anche l’ingresso sponsorizzato, che
pure consentirebbe questo incontro, potrebbe risultare impedito, in sede
di prima applicazione, dalla ristrettezza dei tempi ad esso riservati, a
fronte della prevedibile inerzia dell’amministrazione nel ricevere ed
evadere le domande degli sponsor. Potremmo trovarci, così, nel giro di
qualche mese, a scoprire che le possibilità di successo del decreto sono tutte
affidate al funzionamento dell’ingresso per ricerca di lavoro senza sponsor e
all’ampliamento della relativa quota.
Senza sponsor
Niente
di male, a condizione che, in questi giorni, questo canale non sia danneggiato
irreparabilmente. La legge 40 prevede che il ministro dell’interno
definisca, con una direttiva, l’ammontare dei mezzi di sostentamento
richiesti per l’ingresso in Italia. Esigere che una certa disponibilità sia
dimostrata da chi vuole entrare per turismo o per affari, è cosa sensata.
Richiedere però, come c’è il rischio che si faccia, all’immigrato
disoccupato, ammesso sulla base di una programmazione governativa, la
certificazione di un risparmio pari all’importo annuale dell’assegno sociale
e dell’assicurazione sanitaria (circa otto milioni di lire in tutto) è
assolutamente irragionevole: equivale ad ammettere solo persone che si siano
indebitate in modo dissennato o, peggio, persone che non hanno alcun motivo
valido per lasciare il proprio paese, se non il miraggio di attività criminali.
Prima accoglienza
In
tal senso si è espressa la Prima Commissione della Camera, raccomandando, in
sede di definizione del parere sul regolamento di attuazione della legge,
che non si richiedesse disponibilità di mezzi a chi entri per ricerca di
lavoro. A garantire l’inserimento dell’immigrato nella prima fase di
permanenza in Italia dovrebbero bastare le strutture di accoglienza che la legge
prevede e finanzia. Se Stato, regioni ed enti locali volessero assolversi per
non averle realizzate, il massimo che si può chiedere allo straniero, senza
cadere nel ridicolo, è di dimostrare capacità di auto mantenimento per un
paio di mesi, trascorsi i quali basterà la sua esistenza in vita a certificare
per lui.
Decreti sulle quote d’ingresso
Articolo 3 comma 4 T.U.: “Con uno o più Decreti del Presidente del
Consiglio dei Ministri, sentiti i ministri interessati e le competenti
Commissioni parlamentari, sono definite annualmente le quote massime di
stranieri da ammettere nel territorio dello Stato, per lavoro subordinato e per
lavoro autonomo”
Decreto ministeriale sui mezzi di sussistenza
Articolo 4 comma 3 T.U.: “I mezzi di sussistenza sono definiti con apposita
direttiva emanata dal Ministro degli Interni, sulla base dei criteri indicati
nel documento di programmazione di cui all’Articolo 3 comma 1”.
Ingresso con sponsor per ricerca di lavoro
Articolo 23 comma 1 T.U.: “Il cittadini italiano o stranieri regolarmente
soggiornante, che intenda farsi garante dell’ingresso dello straniero, per
consentirgli l’inserimento nel mercato del lavoro deve presentare, entro
sessanta giorni dalla pubblicazione dei decreti di cui all’articolo 3 comma 4
apposita richiesta nominativa alla questura della provincia di residenza, la cui
autorizzazione all’ingresso costituisce titolo per il rilascio del visto di
ingresso.
Ingresso senza sponsor per ricerca di lavoro
Articolo 23 comma 4 T.U.: “Trascorso il termine di sessanta giorni dalla
pubblicazione dei decreti di cui all’articolo 3 comma 4, nei limiti e secondo
le modalità stabilite da detti decreti, i visti d’ingresso per inserimento
nel mercato del lavoro sono rilasciati su richiesta di lavoratori stranieri
residenti all’estero e iscritti in apposite liste tenute dalle rappresentanze
diplomatiche e consolari italiane, con graduatoria basata sull’anzianità di
iscrizione”.