UNIONE EUROPEA, CONTRO LA DISCRIMINAZIONE DI GENERE ED IL RAZZISMO: AZIONI E NORMATIVA
LA DIMENSIONE COMUNITARIA DELLA LOTTA CONTRO LA DISCRIMINAZIONE
A cura della Dott.ssa Elisa Favè (Cestim)
I. Le tappe fondamentali che hanno permesso l’ingresso del principio di non discriminazione fra quelli "fondamentali" dell’Unione Europea. Da tempo i Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri dell’U.E. dichiarano la volontà di predisporre gli strumenti diretti alla promozione delle pari opportunità e alla lotta contro la xenofobia ed il razzismo. In particolare, nelle conclusioni del Consiglio Europeo di Corfù (24-25 Giugno 1994) , hanno fermamente condannato "il persistere di manifestazioni di intolleranza, razzismo e xenofobia" ed affermato "la propria determinazione ad intensificare la lotta contro tali fenomeni", costituendo allo scopo la Commissione Consultiva Razzismo e Xenofobia; in quello di Essen (9-10 dicembre 1994) , hanno sottolineato "la grande importanza della lotta a livello dell'Unione contro il razzismo e la xenofobia per la tutela della dignità umana e della pacifica convivenza di tutti i cittadini nell'Unione europea"; a Cannes (26-27 Giugno 1995) , hanno affidato alle istituzioni comunitarie, ed in particolare all'apposita Commissione Consultiva, il compito di valutare "la fattibilità di un Osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia", intenzione confermata a Madrid (15-16 dicembre 1995) dove si è sollecitata l'adozione di una "azione comune per combattere il razzismo e la xenofobia al fine di conseguire il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri e incrementare le possibilità di assistenza giudiziaria tra questi ultimi nel settore in parola". A seguito dell'esperienza positiva dell'Anno europeo contro il razzismo (1997) il Consiglio della Comunità Europea ha inoltre individuato nel 21 marzo di ogni anno (già giornata mondiale ONU contro il razzismo) la data in cui festeggiare la "Giornata Europea delle diversità culturali". L'Osservatorio Europeo dei fenomeni razzisti e xenofobi è stato infine costituito con regolamento del Consiglio nel 1997, ed ha come obiettivo principale "lo studio della portata e dell'evoluzione del razzismo, della xenofobia e dell'antisemitismo che si producono in seno all'Unione e l'analisi delle conseguenze e degli effetti di questi fenomeni". Di recente l'Osservatorio si è proposto di realizzare e coordinare una "Rete europea di informazione sul razzismo e la xenofobia" (Raxen) in collaborazione con i centri nazionali di ricerca, le Ong, le parti sociali e gli organismi autonomi incaricati di promuovere la lotta contro le discriminazioni. Una presa di responsabilità ancora più incisiva in materia, si ha con il Consiglio Europeo di Tampère (15-16 ottobre 1999), nelle cui conclusioni si ribadisce con forza che "l'Unione europea deve garantire l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri" e si afferma che "una politica di integrazione più incisiva dovrebbe mirare a garantire loro diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'U.E. e a rafforzare la non discriminazione nella vita economica, sociale e culturale" nonché prevedere "l'elaborazione di misure contro il razzismo e la xenofobia". A quest'ultimo fine si invitano gli Stati membri alla "intensificazione della lotta contro il razzismo e la xenofobia" ispirandosi alle migliori prassi e esperienze, potenziando la cooperazione con l'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia e con il Consiglio d'Europa ed elaborando programmi nazionali concernenti la lotta al razzismo e alla xenofobia. In seno allo stesso Consiglio sono state precisate le modalità di stesura di un Progetto di Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, ad oggi redatto ed in attesa di approvazione. Si tratta di un documento di estrema importanza, sulla cui opportunità, per dire il vero, taluni manifestano dubbi, ma che, nelle intenzioni dei suoi fautori, dovrebbe servire a dotare l’UE di uno "zoccolo duro" costituito proprio da diritti irrinunciabili di coloro che la abitano. La finalità ultima, quindi, non è (o non dovrebbe essere) quella di garantire i "diritti fondamentali" ai cittadini della "fortezza Europa", ma quello, ben più ampio, di stabilire una base di diritto per tutti coloro che transitano sul oppure abitano il territorio dell’Unione. Vi sono perciò norme che si rivolgono espressamente ad "ogni individuo", prescindendo dal possesso o meno della cittadinanza di un Paese membro. Il principio di non discriminazione, poi, trova espresso riconoscimento negli articoli 20, 21 e 22. Gli artt. 20 e 22 sanciscono l’uno l’eguaglianza (formale) delle donne e degli uomini davanti alla legge, l’altro l’eguaglianza (sostanziale) dei due sessi in ambito lavorativo, permettendo l’adozione di "azioni positive" per promuovere l’occupazione femminile. L’art. 21 stabilisce il divieto di "qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualunque altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali". Si tratta di una formulazione ad amplissimo respiro, che lascia molto spazio all’interprete della norma: è vietata "qualsiasi discriminazione", cosicché le tipologie di atti discriminatorie subito dopo indicate (in base al sesso, alla razza, etc.) divengono mere esemplificazioni, che non esauriscono la fattispecie descritta. In conclusione, anche il testo della Carta dei diritti fondamentali nell’UE sembra attribuire basilare importanza al principi di non discriminazione, quale condizione prima per ottenere quello "spazio di sicurezza e giustizia" che dovrebbe divenire, nelle intenzioni dei governanti, l’Europa. II. Il Trattato di Amsterdam: i diritti umani quale "fondamento" dell'UE (art. 6 TUE) e la clausola di non discriminazione (art 13 TCE) Il Trattato di Amsterdam ha posto fra i principi fondamentali dell'Unione Europea il "rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali" e, in particolare "i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali…"(art 6 T.U.E). Si tratta di un'innovazione di estrema importanza, che comporta l'esistenza di precisi vincoli all'azione e alla politica dell'Unione, la quale si impegna a non agire in violazione dei "diritti umani", né nell'adozione di atti "interni" (si pensi agli atti, giuridicamente vincolanti per gli Stati membri ed i loro cittadini, che possono essere posti in essere dalla Comunità Europea), né nelle sue azioni "esterne" (ci si riferisce alle "relazioni internazionali" di cui oggi l'Unione è ormai un soggetto a pieno titolo).Tra i diritti inalienabili che l’Unione si impegna a riconoscere e tutelare, vi è anche il diritto a non essere discriminati, né a causa del proprio sesso né in base alla propria provenienza geografico – culturale. Il Trattato ha poi stabilito la facoltà, per il Consiglio Europeo riunito nella composizione dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi aderenti, di decidere alcune misure "punitive" nei confronti di quegli Stati membri che siano responsabili di violazioni gravi e persistenti dei principi di cui all'art. 6 par.1 (v. art. 7 TUE). Si introduce, così, un'importante mezzo di "controllo" sul rispetto dei diritti umani e, quindi, anche sul rispetto del principio di non discriminazione in base alla razza e/o al sesso, da parte degli Stati membri, ad opera del "cuore politico" - il Consiglio Europeo - dell'Unione. Altri strumenti giuridici di estrema rilevanza, peraltro, sono stati introdotti dal trattato di Amsterdam al fine ultimo di promuovere la "parità" tra le persone a prescindere dal sesso e dall'origine geografico-culturale di provenienza. L'art. 2 del nuovo Trattato istitutivo della Comunità europea, infatti, prevede espressamente, fra i compiti della Comunità, quello di promuovere "la parità tra uomini e donne" (art 2 TCE), mentre l'art. 13 introduce una generale "clausola di non discriminazione" riconoscendo alle istituzioni comunitarie la competenza ad adottare "i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali" (art 13 T.C.E.). Sebbene il contesto in cui questi principi vengono declamati sia ancora quello prettamente "economico" che caratterizza la nascita della Comunità Europea come comunità economica e, solo da qualche anno, monetaria, si tratta in ogni caso di norme con un'effettiva potenzialità da non sottovalutare. È necessario considerare, fra l'altro, che l'introduzione dell'art. 13 TCE è avvenuta anche grazie alla forte campagna di pressione esercitata dalle associazioni ed organizzazioni non governative che da anni si occupano di lotta al razzismo e alla discriminazione di genere. La clausola di non discriminazione, quindi, costituisce anche una grande vittoria del mondo dell'associazionismo e della "società civile". III. Le azioni comunitarie contro il razzismo Si elencano, in questa sezione, le azioni delle Istituzioni comunitarie (Parlamento, Commissione, Consiglio) specificamente finalizzati a prevenire e reprimere le manifestazioni di razzismo e xenofobia, che ancora si verificano in Europa.
I Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri sollecitano i governi nazionali ad adottare le misure necessarie a combattere i fenomeni di razzismo che si manifestano in Europa.
Il Parlamento Europeo ha spesso svolto un’azione di "pressione" sulle altre Istituzioni comunitari e sugli Stati membri, nella direzione di una più efficace politica non solo "contro il razzismo", ma anche "per l’integrazione", in particolare opponendosi alla politica "immigrazione zero" e promuovendo la parificazione dei diritti tra cittadini dei paesi comunitari e cittadini non comunitari, regolarmente soggiornanti in un Paese comunitario.
Il sistema scolastico ed educativo è considerato uno degli ambienti di maggiore rilevanza per la diffusione di idee ispirate all’accoglienza ed al dialogo.
Si tratta di un invito, proveniente dal "cuore politico" della Comunità, ad adottare discipline uniformi per la prevenzione e repressione della discriminazione in ambito lavorativo. In questa stessa materia, la Commissione ha, in seguito, proposto una direttiva (vedi oltre, p.to 17)
La lotta al razzismo viene qui riconosciuta materia di comune interesse da parte degli Stati membri. Essi si impegnano reciprocamente, quindi, a cooperare in diversi campi (giudiziario, di polizia, etc.) al fine di prevenire e reprimere manifestazioni di xenofobia in Europa.
Il 1997 viene proclamato "Anno Europeo contro il razzismo". Le iniziative intraprese durante questo periodo, permettendo la costituzione di una "rete" tra le associazioni e le Ong che, in ambito comunitario, si occupano di razzismo, hanno avuto seguito sfociando, infine, in un importante e duraturo movimento di "pressione" sulle Istituzioni comunitarie, anche grazie al quale è stata introdotta la "clausola di non discriminazione" nel Trattato istitutivo della Comunità Europea.
Sul rispetto dei diritti umani anche in occasione dell’espulsione dell’immigrato irregolare e sulle politiche nazionali in materia di immigrazione.
Condanna specifici episodi di razzismo e manifesta preoccupazione per l’avanzata dell’estrema destra in alcuni Paesi dell’Unione; ricorda che uno degli obiettivi primi di quest’ultima è proprio la lotta contro il razzismo.
Il 21 Marzo di ogni anno è proclamata "Festa delle diversità culturali"; specialmente diretta ai giovani, questa giornata può costituire un’occasione di conoscenza reciproca tra "nuovi" e "vecchi" cittadini.
Il Parlamento insiste affinché l’Unione non solo prenda precise posizioni a favore del rispetto dei diritti umani, ma trovi in essi fondamento. In particolare auspica l’inserimento, nel Trattato sull’Unione, di una norma che condanni in modo esplicito ogni forma di razzismo.
Viene istituito un Osservatorio sugli atti di razzismo e xenofobia anche al fine di suggerire alle Istituzioni comunitarie le misure più idonee al fine di combattere il fenomeno in questione. Viene richiesta espressamente la collaborazione di centri di monitoraggio a livello nazionale.
Proclamazione del 21 Marzo di ogni anno quale "Festa delle diversità culturali" (vedi p.to 10)
Si sottolinea, in particolare, l’importanza della "formazione" del personale di polizia sia al fine di permettere una migliore individuazione e repressione degli episodi di razzismo, sia per destrutturare eventuali pregiudizi negativi, nei confronti dello straniero, che fossero presenti nel personale stesso.
La lotta contro il razzismo è un obiettivo che gli Stati membri si pongono anche verso "l’esterno", quando, cioè, cooperano con Stati terzi, al fine di promuovere il rispetto dei diritti umani.
Utilizza quale strategia d'azione il conferimento di "valore aggiunto europeo" alle prassi antidiscriminatorie già presenti in ambito locale, regionale o nazionale, incentivando lo scambio transnazionale di informazioni e di buone prassi fra gli operatori, sulla base delle esperienze già in corso negli stati membri.
Limita il principio di non discriminazione all’ambito lavorativo, considerando però anche il lavoro autonomo.
Prendendo ad esempio la direttiva in materia di discriminazione di genere in ambito lavorativo (vedi infra), questa direttiva stabilisce la nozione di discriminazione diretta ed indiretta, consente alla vittima di agire giudizialmente a difesa del suo diritto a non essere discriminato, facilita la prova della discriminazione invertendo parzialmente l’onere probatorio, stabilisce mezzi di tutela da eventuali "ritorsioni" dell’autore della discriminazione. L’ambito di applicazione è esteso, oltre che a quello lavorativo, anche "alla protezione sociale, comprese la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria", "alle prestazioni sociali", "all'istruzione", e, novità di estrema importanza, "all'accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l'alloggio". In base a quest’ultimo inciso, quindi, compie un atto di discriminazione vietato chi rifiuta a priori di trattare per la locazione di un alloggio, con uno straniero, esclusivamente in considerazione della sua provenienza geografico-culturale. In sede di approvazione, nella cosiddetta "direttiva razza", infine, è stata introdotta una precisazione di estrema importanza: "L'Unione europea respinge le teorie che tentano di dimostrare l'esistenza di razze umane distinte. L'uso del termine "razza" nella presente direttiva non implica l'accettazione di siffatte teorie". In molti documenti dell’Unione Europea, infatti, il termine "razza" viene ancora utilizzato, lasciando così spazio al dubbio circa l’attuale sconfessione delle teorie scientifiche che pretendono di classificare gli esseri umani secondo "razze" differenti. Con questa precisazione, finalmente, l’Unione Europea prende una chiarissima posizione ufficiale in materia.
IV. Le azioni comunitarie per le pari opportunità uomo-donna.
Stabilisce il divieto di differenziare le retribuzioni in base al sesso del/della lavoratore/lavoratrice e obbliga gli Stati membri a stabilire precisi mezzi di tutela.
Estende il principio di non discriminazione in ambito lavorativo, oltre alle condizioni economiche, al "trattamento" complessivo ricevuto da parte del datore di lavoro: accesso al lavoro, formazione, carriera, condizioni di lavoro.
Mira a stabilire uno standard minimo di tutela nei Paesi membri a favore delle lavoratrici gestanti o puerpere o in periodo di allattamento.
Attua un accordo raggiunto tra "sindacati" e "associazioni industriali" a livello comunitario, stabilendo diritti minimi in capo ai lavoratori – genitori in materia di assenze per accudire il figlio.
Si tratta di una disposizione di estrema importanza, presa a modello anche dalle successive direttive contro la discriminazione razziale in genere ed in ambito lavorativo in particolare (v. sopra). Si stabilisce la definizione di discriminazione sia diretta che indiretta, nonché la parziale inversione dell’onere probatorio in caso di azione davanti al giudice.
Il diritto al ricongiungimento famigliare viene considerato come uno degli strumenti principali per l’integrazione dello straniero nel territorio di residenza.
I capi di stato e di Governo dei Paesi membri, riuniti in Consiglio, invitano gli stati membri, le parti sociali (sindacati ed imprese) e la Commissione CEE ad attuare politiche ed azioni volte a promuovere le pari opportunità tra donne e uomini in campo economico.
Uno degli obiettivi (ed impegni per la stessa Unione) più rilevanti, consiste nel promuovere l'integrazione della dimensione delle pari opportunità per le donne e gli uomini nell'elaborazione, nell'attuazione e nel monitoraggio di tutte le politiche e azioni dell'Unione europea e degli Stati membri, nel rispetto delle rispettive competenze. Il tema "pari opportunità", quindi, diviene costantemente parte integrante delle politiche comunitarie e, progressivamente, nazionali, in ogni campo (lavoro, ricerca, ambiente, etc.).
Finalità ultima della decisione è incoraggiare la partecipazione della donna al processo decisionale pubblico negli stati membri dell'U.E., promuovendo altresì l'adozione della prospettiva di genere nelle politiche pubbliche nazionali.
Esamina le azioni compiute e da compiersi da parte della Commissione per la promozione delle "pari opportunità" tra uomini e donne, soprattutto in ambito lavorativo, ma non solo.
L'iniziativa comunitaria EQUAL ha come obiettivo la "lotta contro tutte le forme di discriminazione in relazione con il mercato del lavoro" e, per quanto attiene specificamente all'eguaglianza di genere, indica come priorità "la riduzione delle disparità di genere e la promozione della desegregazione occupazionale". Si veda, in particolare per quanto attiene il mondo del lavoro, la "Comunicazione agli Stati membri che stabilisce gli orientamenti dell'iniziativa comunitaria Equal relativa alla cooperazione transnazionale per promuovere nuove pratiche di lotta alle discriminazioni e alle disuguaglianze di ogni tipo in relazione al mercato del lavoro".
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