Lettera ASGI sulla delibera discriminatoria dell'AGEC

Trieste/Torino, 20 gennaio, 2008

OGGETTO: PROFILI DISCRIMINATORI DELLE DELIBERE AGEC n. 4 e n. 23/2007 RELATIVAMENTE ALL’ASSEGNAZIONE DEI PUNTEGGI NELLE GRADUATORIE PER L’ACCESSO AGLI ALLOGGI DI EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA.


Preg.mi. Signori,
La presente viene inviata dal Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni etnico-razziali e religiose dell’A.S.G.I. (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), associazione che riunisce avvocati, docenti universitari ed operatori legali impegnati sulle tematiche dell’immigrazione.
Il Servizio di supporto giuridico contro le discriminazioni dell’ASGI partecipa in qualità di partner ad un progetto denominato LEADER (Lavoro e Occupazione senza Discriminazioni Razziali e Religiose) inserito nel programma europeo EQUAL II e che ha l’obiettivo di definire strategie di contrasto e tutela dei cittadini immigrati dalle discriminazioni etnico-razziali e religiose.Siamo venuti a conoscenza che l’AGEC, l’Agenzia che gestisce gli immobili di proprietà del Comune di Verona, d’intesa con il Sindaco di Verona, ha approvato lo scorso mese di settembre due delibere suscettibili di incidere sull’accesso dei cittadini extracomunitari legalmente residenti nel territorio del comune di Verona agli alloggi pubblici in condizione di parità di trattamento con i cittadini italiani. Si tratta nello specifico della delibera del 04.09.2007 n. 4 e di quella dd. 25.09.2007, n. 23; entrambe in materia di assegnazioni relative ai bandi di concorso di cui alla L.R. 10/96, cioè agli alloggi comunali in edilizia residenziale pubblica.
Dalla lettura complessiva di entrambe le delibere, quella n. 23 dd. 25.09.2007 contenendo un emendamento a parte del contenuto della delibera precedente n. 4 dd. 04.09.2007, si evince che per la formazione della graduatoria per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nel Comune di Verona nell’ambito del bando di concorso per l’anno 2007, sono state introdotte due apposite maggiorazioni di punteggio: la prima – da uno fino a quattro punti – a favore dei soli cittadini italiani residenti nel Comune di Verona o che vi svolgano l’attività lavorativa principale da almeno 8, 10, 15 o 20 anni; la seconda –di quattro punti- a favore dei nuclei familiari composti esclusivamente da persone di età superiore o uguale ad anni sessanta e con almeno un componente con età superiore od uguale ad anni sessantacinque, purché residenti nel comune di Verona da almeno dieci anni. Le delibere dell’AGEC citano quale loro fondamento legale l’art. 7, comma 1, lett. a) punto 10) della Legge Regionale del Veneto n. 10/96 che prevede la possibilità per le autorità comunali di assegnare, nella formazione della graduatoria, un punteggio aggiuntivo per particolari condizioni relative a situazioni particolari presenti nel territorio comunale.L’A.S.G.I. ritiene che le presenti delibere introducono nella materia dell’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica di gestione comunale una disparità di trattamento a danno tanto dei cittadini di paesi membri dell’Unione Europea, quanto dei cittadini appartenenti a paesi terzi regolarmente residenti e che pertanto, tali delibere siano in contrasto il divieto di discriminazione di cui al Trattato Europeo (art. 12), con le altre norme di diritto comunitario vietanti le discriminazioni su base etnico-razziale (Direttiva n. 2000/43/CE), con le norme di diritto internazionale sulla parità di trattamento tra lavoratori migranti e nazionali (Convenzione OIL n. 143/1975) e con norme di diritto interno (d.lgs. n. 286/98 T.U. immigrazione e d.lgs n. 215/2003). Per quanto concerne i cittadini comunitari, il trattamento differenziato su base di nazionalità e di residenza introdotto dalle delibere dell’AGEC viola il principio di non discriminazione di cui all’art. 12 del Trattato sulla Comunità Europea, il quale dispone che “nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità”.
La Corte di Giustizia europea ha affermato che il divieto contenuto nell’articolo 12 T CE “richiede la perfetta parità di trattamento, negli Stati membri, tra i soggetti che si trovano in una posizione disciplinata dal diritto comunitario e i cittadini dello Stato membro in questione”. (1) Per effetto della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, che ha progressivamente esteso l’ambito di applicazione dell’art. 12 del T CE, la regola della parità di trattamento trova applicazione anche ai diritti e vantaggi sociali e fiscali non direttamente connessi all’impiego del lavoratore comunitario che ha esercitato il diritto alla libera circolazione. Così, a partire dal Regolamento n. 1612/68/CEE (art. 9) è stata pacificamente prevista la parità di trattamento del lavoratore comunitario migrante con i lavoratori nazionali per quanto concerne i diritti e i vantaggi accordati in materia di abitazione, in quanto funzionali alla piena realizzazione della libertà di circolazione dei lavoratori. (2).
Di conseguenza, il trattamento preferenziale su basi di nazionalità introdotto dalla delibera AGEC n. 4 dd. 04.09.2007 per l’assegnazione di un punteggio aggiuntivo gradualmente maggiore – da uno a quattro punti - a favore dei soli cittadini italiani residenti nel comune di Verona da almeno 8 - 20 anni costituisce una palese violazione dell’art. 12 del Trattato Europeo, con riferimento alla discriminazione operata nei confronti dei cittadini comunitari.Occorre altresì ricordare come tanto i regolamenti comunitari quanto la giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea hanno affermato che il principio della parità di trattamento deve essere salvaguardato anche in relazione alle discriminazioni indirette, nel senso di rendere incompatibili le disposizioni e i provvedimenti nazionali che, pur formalmente applicabili tanto ai cittadini quanto agli stranieri comunitari, finiscano con il produrre, quale effetto esclusivo o principale, quello di escludere da un vantaggio o un diritto, i cittadini degli altri Stati membri dell’Unione Europea. In altri termini, il principio di parità di trattamento di cui all’art. 12 del Trattato vieta non soltanto le discriminazioni palesi fondate sulla cittadinanza, ma altresì qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga al medesimo risultato discriminatorio. In tal senso, la Corte di Giustizia europea ha ritenuto in numerosi pronunciamenti che criteri fondati sulla residenza possono integrare ipotesi di discriminazione dissimulata. (3)
Ricadono sotto questa ipotesi tutte le normative ed i provvedimenti nazionali che subordinino la concessione di un beneficio alla residenza nello Stato ovvero alla residenza di lungo periodo in una determinata porzione del territorio dello Stato, condizioni che possono essere più facilmente soddisfatte dal cittadino nazionale piuttosto che dal lavoratore migrante comunitario che abbia esercitato il diritto alla libera circolazione. (4) Ne consegue, pertanto, che anche la condizione di residenza di lungo periodo (10 anni) nel territorio del comune di Verona richiesta per i componenti i nuclei familiari composti esclusivamente da persone ultrasessantenni e in cui almeno un componente sia ultrasessantacinquenne, ai fini dell’attribuzione di un punteggio aggiuntivo, così come introdotta dalla delibera AGEC n. 4 dd. 04.09.2007, costituisce una forma di discriminazione indiretta o dissimulata secondo i parametri della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea, in quanto atta comunque a privilegiare in misura sproporzionata i cittadini nazionali rispetto a quelli comunitari. Ne consegue anche in questo caso la violazione dell’art. 12 del Trattato CE in materia di parità di trattamento tra cittadini nazionali e cittadini comunitari di altri paesi membri.
Per quanto concerne i cittadini extracomunitari, la disamina del quadro normativo deve necessariamente muoversi dal T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, il cui art. 2 commi 2 e 3 così prevedono:“Lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano…”.“La Repubblica italiana, in attuazione della convenzione dell'OIL n. 143 del 24 giugno 1975, ratificata con legge 10 aprile 1981, n. 158, garantisce a tutti i lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.”Viene dunque ribadito che il principio della parità di trattamento tra lavoratori migranti regolarmente residenti e lavoratori nazionali deriva da una precisa fonte di diritto internazionale, quale la Convenzione Internazionale dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n.143 del 1975 alla quale l’Italia ha dato adesione fin dal 1986. Detta Convenzione stabilisce il principio di piena parità di trattamento e di opportunità tra lavoratori immigrati regolarmente soggiornanti e lavoratori nazionali, anche per quel che riguarda l’accesso ai servizi di sicurezza sociale e agli alloggi. (5)
E’ importante sottolineare che detta norma internazionale garantisce alla generalità dei migranti, che si trovano legalmente sul territorio di uno Stato membro, senza discriminazioni di reddito, o basate sull’anzianità, o sul consolidamento del loro soggiorno, o altri requisiti, il principio di parità di opportunità e trattamento rispetto ai cittadini nazionali anche in materia di accesso agli alloggi pubblici. Pertanto, appare di dubbia costituzionalità ed in evidente contrasto con gli artt. 10 c. 2 e 35 Cost., (6) la nuova stesura dell’art. 40 c. 6 d.lgs. n. 286/98 introdotta con la legge “Bossi-Fini”, che ha ristretto il principio della parità di trattamento con i cittadini italiani per l’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ai servizi di intermediazione per l’agevolazione all’accesso alle locazioni abitative, nonché al credito agevolato in materia di prima casa, ai soli cittadini stranieri di paesi terzi titolari della carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti) e agli stranieri regolarmente soggiornanti in possesso del permesso di soggiorno di durata almeno biennale e che esercitano regolare attività di lavoro subordinato o lavoro autonomo.Resta peraltro fermo che la norma di cui all’art. 40 c. 6 d.lgs. n. 286/98, pur avendo circoscritto - all’interno della più ampia categoria dei lavoratori di paesi terzi regolarmente soggiornanti – un ambito più ristretto dei suoi beneficiari, ha pur sempre ribadito a favore di quest’ultimi il principio della parità di trattamento con i cittadini italiani, per quanto riguarda l’accesso all’edilizia residenziale pubblica e agli interventi per l’agevolazione all’accesso alla prima casa. Ne consegue che, una volta accertato il possesso del titolo di soggiorno fissato dalla legge, il cittadino straniero potrà concorrere all’assegnazione degli alloggi pubblici in condizioni di parità con i cittadini italiani e dunque senza che possano essere consentiti trattamenti differenziati fondati direttamente o indirettamente sulla nazionalità o status civitatis suscettibili di privilegiare i cittadini nazionali a danno di quelli stranieri. (7)Il T.U. sull’immigrazione infatti è normativa volta a realizzare il disposto costituzionale in materia di riserva di legge per cui la condizione giuridica dello straniero deve essere disciplinata per via legislativa, con conseguente potestà esclusiva dello Stato in materia (art. 117 comma 2 lett. A)), da cui deriva il rilievo contenuto nell’art. art. 1 c. 4 del d.lgs. n. 286/98 che nelle materie di competenza legislativa delle regioni, le disposizioni del T.U. immigrazione costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, mentre per le materie di competenza delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, esse hanno il valore di norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica. In sostanza, la previsione dell’art. 40, comma 6 d.lgs. n. 286/98 è atta a definire una sorta di livello minimo, essenziale di prestazione concernente il diritto sociale all’esigenza abitativa dello straniero, da garantirsi su tutto il territorio nazionale, non essendo dunque consentite disposizioni derogatorie ad opera di eventuali normative regionali o, peggio ancora, di rango inferiore (delibere, ordinanze comunali o di enti di diritto pubblico locali), che definiscano standard di trattamento inferiori per i cittadini stranieri. (8)In tale direzione si è espressa la scarna giurisprudenza finora maturata e, nello specifico, il Tribunale di Milano nel 2002 ha ritenuto che un bando del Comune di Milano per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (e.r.p), contenente la previsione di un punteggio aggiuntivo ai fini della graduatoria esclusivamente in ragione della cittadinanza italiana del richiedente, provocasse un trattamento deteriore per gli stranieri, pur se regolari, solo in ragione del loro status e che, perciò, integrasse gli estremi del comportamento discriminatorio ex art. 43 T.U. (9)La medesima situazione si ripresenta ora a seguito delle delibere approvate dall’AGEC di Verona in data 04.09.2007 e 23.09.2007 (nn. 4 e 23) che, in materia di assegnazioni relative ai bandi di concorso di cui alla L.R. n. 10/96 introducono una maggiorazione di punteggio – fino a 4 punti – a favore dei soli cittadini italiani residenti nel comune di Verona da almeno 8-20 anni. E’ del tutto evidente che il trattamento differenziato fondato unicamente sullo status civitatis del candidato all’assegnazione viola espressamente il principio di parità di trattamento di cui all’art. 40 c. 6 della legge “Bossi-Fini”, norma non derogabile - per le ragioni suddette - ad opera di un ente di diritto pubblico locale, realizzando così nel contempo un autonomo profilo discriminatorio in violazione pure della normativa nazionale e di fonte europea in materia di contrasto alle discriminazioni etnico-razziali. (10)Si fa qui riferimento innanzitutto all’art. 43 1° comma del Testo Unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/98), che introduce una sorta di clausola generale di non discriminazione, riprendendo quanto contenuto nell’art. 1 della Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, firmata a New York in 7 marzo 1966 e ratificata dall’Italia con la legge 1.5.1975, n. 654.In base a tale norma costituisce una discriminazione:“ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”.Con l’art. 43 del D.lgs. n. 286/98, venne così introdotta nel nostro ordinamento la prima definizione compiuta di discriminazione.È pertanto innanzitutto da considerarsi discriminatoria la condotta che comporti un trattamento differenziato per i motivi appena menzionati, sia quando essa sia attuata in modo diretto (vale a dire quando una persona viene trattata meno favorevolmente di quanto lo sarebbe in una situazione analoga), sia quando la differenziazione che causa pregiudizio sia conseguenza dell’applicazione di criteri formalmente “neutri”, o “indiretti”.Infine, la norma evita di restringere la protezione contro le discriminazioni al solo ambito lavorativo, ma prende bensì in considerazione quelle condotte che ledano i diritti umani e le libertà fondamentali anche in campo politico, economico, sociale e in ogni altro settore della vita pubblica.Il legislatore ha poi formulato, nel secondo comma della disposizione, una tipizzazione delle condotte aventi sicuramente una valenza discriminatoria. L’articolo prevede infatti che compia “in ogni caso” una discriminazione anche :(…)b) “chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;”c) “chiunque illegittimamente imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire l’accesso all’occupazione, all’alloggio, all’istruzione, alla formazione e ai servizi sociali e socio-assistenziali allo straniero regolarmente soggiornante in Italia soltanto in ragione della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità;”(…)Dall’esame della normativa citata, emerge chiaramente che per quanto riguarda i soggetti passivi, una delle condizioni protette dalla normativa antidiscriminatoria è quella fondata sull’origine nazionale, intesa non soltanto come appartenenza etnico-razziale del soggetto, ma anche come cittadinanza straniera (discriminazione in ragione soltanto della condizione di straniero).(11)Al D.lgs. n. 286/98 si è aggiunto successivamente il d.lgs. n. 215/2003, di recepimento della direttiva europea 2000/43/CE che disciplina il principio di non discriminazione in ragione della razza e dell’origine etnica. Dal considerando n. 12 della direttiva n. 2000/43/CE emerge che i divieti di discriminazione etnico-razziale coprono pure l’ambito dell’accesso all’abitazione: “Per assicurare lo sviluppo di società democratiche e tolleranti che consentono la partecipazione di tutte le persone a prescindere dalla razza o origine etnica, le azioni specifiche nel campo della lotta contro le discriminazioni basata sulla razza o origine etnica dovrebbero andare al di là dell’accesso alle attività di lavoro (…) e coprire ambiti quali (…) le prestazioni sociali, l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura”. Ciò viene ribadito nel testo della direttiva: “(…)la presente direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato, (…), per quanto attiene: (…) f) alle prestazioni sociali; (…) h) all’accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l’alloggio.” (art. 3, poi recepito quasi letteralmente dall’art. 3 c. 1 lett. i) del d.lgs. n. 215/2003).Sulla base delle norme di recepimento della citata direttiva europee, sussiste una discriminazione diretta ”quando, per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga” (art. 2 d.lgs. n. 215/03); una discriminazione indiretta sussiste invece “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica, in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone” (art. 2.1 b) d. lgs. n. 215/2003). Sulla base delle norme della direttiva europea n. 2000/43/CE, le discriminazioni dirette sono vietate in maniera assoluta, con l’unica eccezione - che qui non interessa- delle differenze di trattamento fondate sul criterio del requisito essenziale e determinate per lo svolgimento dell’attività lavorativa (ad es. nel settore della ristorazione etnica). Non costituiscono discriminazioni indirette quelle disparità di trattamento su base di appartenenza etnico o razziale che si vengono a determinare in ragione di disposizioni apparentemente “neutre” solo qualora siano giustificate da una finalità legittima e obbediscano a criteri di proporzionalità, cioè i mezzi necessari per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari (art. 2 lett. b della direttiva n. 2000/43/CE). Ne consegue che la disposizione di cui al punto uno della lettura congiunta delle delibere AGEC n. 4 e n. 23 dd. 04.09.2007 e 23.09.2007, introducendo una discriminazione di tipo diretto fondata sulla nazionalità per la formazione dei punteggi nelle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica nel territorio comunale, si pone in contrasto con il divieto assoluto di discriminazioni dirette di cui al citato quadro normativo anti-discriminatorio.La disposizione di cui al punto 2 delle citate delibere appare invece suscettibile di introdurre una discriminazione di tipo indiretto, in quanto il requisito della residenza decennale nel territorio comunale, richiesto per i concorrenti “anziani”, sebbene apparentemente neutro e applicabile a tutti, a prescindere dalla nazionalità, finirebbe per svantaggiare in misura sproporzionata i cittadini stranieri migranti rispetto a quelli italiani, in quanto opererebbe principalmente a danno dei primi, considerato il loro minor grado di radicamento nella realtà locale. Inoltre, nessuna giustificazione viene adotta nella delibera in questione per l’introduzione della suddetta condizione di residenza ultradecennale per l’attribuzione aggiuntiva di punteggio, non consentendo pertanto il riscontro dei requisiti di legittimità delle finalità e proporzionalità del provvedimento, come invece richiesto dalla normativa comunitaria.

Conclusioni.

Alla luce di quanto sopra l’A.S.G.I. richiede all’AGEC di annullare le delibere n. 4 e n. 23 rispettivamente del 04.09.2007 e del 25.09.2007 in quanto in contrasto con le seguenti fonti normative:a) l’art. 12 del Trattato Europeo (principio di non discriminazione tra cittadini nazionali e cittadini di altri paesi membri dell’Unione Europea che hanno esercitato il diritto alla libera circolazione), così come interpretato dalla Corte europea di Giustizia;b) l’art. 40 c. 6 d.lgs. n. 286/98 (parità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri di paesi terzi aventi diritto nell’accesso all’edilizia residenziale pubblica );c) l’art. 9 c. 11 lett. c) del d.lgs. n. 286/98, come modificato dal d.lgs. n. 8/2007 in attuazione della direttiva europea n. 2003/109/CE (parità di trattamento nell’accesso all’ottenimento degli alloggi di edilizia residenziale pubblica tra cittadini nazionali e cittadini di paesi terzi titolari del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti);d) l’art 43 del d.lgs. n. 286/98 (divieto generale di non discriminazione);e) l’art. 3 c. 1 lett. i) del d.lgs n. 215/2003 (divieto di discriminazioni etnico-razzali nelle prestazioni sociali, incluso l’alloggio, in recepimento della direttiva europea n. 2000/43/CE).Si trasmette la presente segnalazione all’UNAR (Ufficio Nazionale Anti-Discriminazioni), presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità affinché anch’esso possa, eventualmente e se lo ritiene opportuno, formulare una raccomandazione ed un parere in merito, avvalendosi delle prerogative assegnategli dall’art. 7 c. 2 lett. b) e e) del D.lgs. n. 215/2003, in quanto Autorità Nazionale contro le discriminazioni razziali, costituita per effetto del recepimento della direttiva europea n. 2000/43/CE.Si segnala, inoltre, la presente alla Commissione Europea per l’eventuale accertamento della violazione delle norme di diritto comunitario e l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.
Certi dell’attenzione che Vorrete porre alla presente, porgiamo i nostri migliori saluti.p. l’A.S.G.I.Servizio di supporto giuridicocontro le discriminazioni etnico-razziali e religioseDott. Walter CittiNote Sentenza Data Delecta, C-43/95, par. 162 Condinanzi Lang Nascimbene, Cittadinanza dell’Unione e libera circolazione delle persone, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 105-112.3 Cfr. le sentenze del 12 febbraio 1974, Sotgiu C 152/73, e 1 dicembre 1993, C-37/93, Commissione c. Belgio, in Racc., p. I-6295 ss. 4 La giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea è al riguardo molto vasta: Si vedano le sentenze del 8 giugno 1999, Meussen, C-377/97 per l’incompatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che subordinava alla residenza nello Stato la concessione di una borsa di studio; del 20 giugno 2002, C-299/01, Commissione c. Lussemburgo, per l’incompatibilità con il diritto comunitario di una normativa nazionale che subordinava alla residenza nello Stato la concessione di un reddito minimo garantito. Si veda anche la sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha condannato l’Italia per le agevolazioni tariffarie a vantaggio delle persone residenti per l’accesso ai Musei Comunali (sentenza 16 gennaio 2003 n. C-388/01), nella quale si legge: “…il principio di parità di trattamento,….., vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, produca, in pratica, lo stesso risultato. Ciò avviene, in particolare, nel caso di una misura che preveda una distinzione basata sul criterio della residenza, in quanto quest’ultimo rischia di operare principalmente a danno dei cittadini di altri Stati membri, considerato che il più delle volte i non residenti sono cittadini di altri Stati membri” (par. 13 e 14)5 L’art. 10 della Convenzione, infatti, così dispone: “Ogni Stato membro per il quale la convenzione sia in vigore s'impegna a formulare e ad attuare una politica nazionale diretta a promuovere e garantire, con metodi adatti alle circostanze ed agli usi nazionali, la parità di opportunità e di trattamento in materia di occupazione e di professione, di sicurezza sociale, di diritti sindacali e culturali, nonché di libertà individuali e collettive per le persone che, in quanto lavoratori migranti o familiari degli stessi, si trovino legalmente sul suo territorio” (sottolineatura nostra).6 Art. 10 c. 2 Cost.: “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”; Art. 35 Cost.: “La Repubblica promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”.7 La delibera AGEC viola ulteriormente le norma di cui all’art. 9 c. 11 lett. c) del d.lgs. n. 286/98, come modificato dal d.lgs. n. 3 dd. 08.01.2007 che dispone, in combinato con la norme di cui all’art. 11 c. 1 lett. f) della direttiva europea n. 2003/109/CE, il principio della parità di trattamento con i cittadini nazionali dei cittadini di paesi terzi titolari del permesso di soggiorno CE per lungo soggiornanti (ex carta di soggiorno) nell'accesso alla procedura per l'ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica.8 In proposito, si veda Luigi Gili, La condizione di reciprocità non può essere ragione di discriminazione nell’accesso all’edilizia residenziale pubblica in Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 2/2005, pp. 98 ss., Franco Angeli, Milano.9 In Diritto Immigrazione e Cittadinanza, n. 4/2002, pagg. 126 ss; disponibile anche on-line sul sito www.leadernodiscriminazione.it (link tutela giuridica/giurisprudenza)10 Sulla base del medesimo ragionamento non appare sufficiente a conferire fondamento legale legittimo al contenuto della delibera il riferimento alla disposizione della L.R. n. 10/96 che consente ai Comuni di stabilire condizioni particolari nell’attribuzione dei punteggi di selezione in rapporto a particolari situazioni presenti nel territorio comunale (art. 7 comma 1 lett. 10).
E’ evidente che in virtù del citato principio del rispetto della gerarchia delle fonti normative, l’individuazione di condizioni particolari ad opera delle autorità comunali dovrà pur sempre conformarsi e non prescindere dal principio di parità di trattamento e di non discriminazione. 11 Il divieto di discriminazione di cui all’art. 43 del T.U. immigrazione, sebbene inserito nella disciplina attinente alla condizione giuridica dei cittadini migranti di paesi terzi non appartenenti all’Unione Europea, trova applicazione anche rispetto ai cittadini comunitari quali possibili vittime del trattamento discriminatorio. Infatti, la norma prevede espressamente, nel suo ultimo capoverso, che la tutela prevista contro i comportamenti discriminatori trovi applicazione anche nei casi in cui le vittime della discriminazione, in tutti i settori compresi dalla definizione dell’art. 43 T.U., siano cittadini italiani, comunitari e apolidi.

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