da LE MONDE diplomatique
Ottobre 2000

 

Dietro le violenze xenofobe dell'estate

Alle radici dell'estremismo di destra in Germania

Severe condanne degli aggressori, divieto di manifestare, scioglimento dei gruppuscoli violenti, richiesta di dichiarare illegali formazioni come il Partito nazionaldemocratico (Npd) o i repubblicani: due mesi dopo l'attentato di Dusseldorf, la Germania sembra finalmente reagire contro l'estrema destra. Ma la sola repressione non sarà sufficiente. Per guarire dal male bisogna capire le cause profonde e attaccarle alla radice, sia a Ovest che a Est. E mobilitare i cittadini, come a Eberswalde, nell'ex Ddr.

di Christian Semler*

È stata un'estate di inquietudine, spesso degenerata nel panico. L'attentato dinamitardo del 27 luglio a Dusseldorf contro immigrati russi, alcuni dei quali ebrei, ha scatenato una serie di reazioni politiche. Nonostante non ci sia stata nessuna rivendicazione, molti indizi hanno permesso di attribuirne la paternità ai gruppi di estrema destra. Alla paura che l'uso di esplosivi annunciasse una nuova fase di violenza negli ambienti neonazisti - il passaggio alla lotta armata - , si è aggiunto nelle classi dirigenti il timore che l'attentato avesse danneggiato «l'immagine della Germania» in Occidente. Di colpo, i riflettori sono stati puntati su un dramma che si era svolto un mese prima: l'omicidio di un africano a Dessau, nuovo Land della Sassonia-Anhalt dove l'Unione popolare tedesca (Dvu) ha ottenuto uno spettacolare successo alle elezioni regionali del 1998. Catturati vicino al luogo del crimine, gli attentatori appartenevano agli ambienti ultranazionalisti della città. L'attenzione dei responsabili politici e dei media si è ben presto concentrata sull'ex Repubblica democratica tedesca (Ddr). Già all'inizio degli anni Novanta la crescente influenza esercitata dall'estrema destra era stata al centro del dibattito politico dopo l'incendio doloso del centro per rifugiati di Rostock-Lichtenhagen. Poi la violenza si è manifestata tanto a Ovest quanto a Est. Ma poiché negli ultimi anni il numero di morti è sensibilmente diminuito, l'argomento ha finito per stancare l'opinione pubblica. A tal punto che alcuni giornalisti criticavano «l'allarmismo» dei colleghi che continuavano a occuparsi del fenomeno a tempo pieno e non solo in occasioni particolari. Evocare con insistenza qualcosa di così terribile non corrisponde di certo all'immagine che le classi politiche amano dare di se stesse né alla coscienza di una società illuminata. Ma dopo Dessau e Dusseldorf, tutto è cambiato. Un appello unanime all'«azione» - maggiore presenza della polizia, giustizia più rapida, leggi più severe - è stato rivolto dai dirigenti verdi e cristiano-sociali bavaresi, che fino ad allora non avevano avuto alcun problema con il loro stato forte. Tuttavia fra gli allarmisti di professione e i dispensatori di consigli un gruppo si distingueva per la sua assenza: quello degli scrittori e degli artisti di sinistra. L'impegno a favore di simboli politici, come la battaglia per il Memoriale berlinese dell'Olocausto, aveva probabilmente esaurito le loro forze (1). Oppure, osservando le poche prese di posizione come quella dello scrittore Peter Schneider impegnato a favore dei diritti per gli immigrati, l'attenzione per il contesto economico e psicologico delle violenze estremiste appariva loro troppo banale, troppo dogmaticamente di sinistra? Tuttavia due domande si impongono all'opinione pubblica, anche a chi non è un esperto di questioni politiche. La prima: che cosa caratterizza l'estremismo di destra tedesco e che cosa lo distingue dal populismo di destra, sotto la cui bandiera si ritrovano un po' ovunque in Europa gli sconfitti della «modernizzazione»? La seconda: che cosa differenzia l'estremismo di destra nella Germania occidentale e orientale? Chiunque osservi le dichiarazioni dei dirigenti dei partiti dopo Dessau e Dusseldorf, indipendentemente dal loro colore, non può fare a meno di rimanere colpito dall'incredibile unanimità nell'astrarre le attività della destra dal loro contesto sociale. Il sociologo Wilhelm Heitmeyer, uno dei più profondi conoscitori dell'argomento, scriveva di recente: «Se si comincia dalla fine di un processo, non si potrà mai capire a che livello prendono corpo le convinzioni misantrope e la violenza» (2). La deriva dell'ex Ddr Uno dei pochi politici che non «comincia dalla fine» è il presidente del Bundestag, il socialdemocratico Wolfgang Thierse, la cui conoscenza degli ambienti di estrema destra nella Germania orientale si basa su anni di osservazioni personali. Egli sostiene, come alcuni sociologi, la tesi secondo la quale il revisionismo di destra è nato «al centro». Un'affermazione che implica due dimensioni. Politicamente significa che, fin dai tempi del cancelliere Helmut Kohl (ma anche con il suo successore), i rappresentanti del «centro» - attraverso slogan come «la barca è piena» o «si abusa del diritto di asilo» - hanno contribuito a creare per primi quel clima di ostilità verso gli stranieri propizio agli estremismi. La campagna condotta agli inizi degli anni Novanta per preparare la restrizione del diritto di asilo ha avuto effetti negativi - come confermano alcuni studi empirici - sull'accettazione da parte dell'opinione pubblica dell'integrazione degli immigrati. Allo stesso modo il nazionalismo völkisch (3) sfrutta l'egemonia dello jus sanguinis nel diritto tedesco, poiché impedisce la soluzione, attraverso una cittadinanza alla francese, di anacronistici conflitti di riconoscimento. Da qui la comparsa, nelle grandi città occidentali con una forte percentuale di stranieri come Francoforte sul Meno, di un nuovo pericolo: nelle nuove sottoclassi, la lotta per il riconoscimento e la divisione delle briciole di potere si organizza su una base sempre più etnica, rafforzando così la segregazione razziale. La speranza di numerosi «multiculturalisti» - basata sull'idea che la moltiplicazione dei contatti fra autoctoni e immigrati rafforzerebbe la reciproca comprensione - potrebbe, con il contributo della concorrenza, trasformarsi nel suo contrario: il rafforzamento degli stereotipi. Ed è proprio questo il terreno che l'estrema destra coltiva. Nel corso degli anni Ottanta e Novanta i partiti di estrema destra - la Dvu e i repubblicani (Reps) - hanno approfittato appieno di questo spostamento a destra del «centro». Ma se i Reps, tipico gruppo dello «sciovinismo del benessere» tedesco, sono stati incapaci di affermarsi nell'ex repubblica democratica, la Dvu è riuscita a entrare nel parlamento di due nuovi Länder, anche se poi non vi ha condotto alcuna azione significativa. La scena e radicalmente cambiata con il nuovo orientamento nazionalsocialista del vecchio Partito nazionaldemocratico (Npd), che è riuscito ad adattarsi al clima nazionale anti-democratico e anti-occidentale della Germania orientale e che ormai dà ospitalità ai gruppi esplicitamente neonazisti, fino a integrarne i leader nella propria direzione. Nella Germania occidentale, come nel resto dell'Europa, la xenofobia era ed è molto diffusa; tuttavia solo una minoranza, significativa ma isolata, si è spostata su posizioni apertamente razziste, come la sopravvalutazione etnica del carattere germanico e l'esortazione all'istituzione di una comunità di sangue. Un abisso separa le opinioni razziste e l'approvazione o, ancor di più, il sostegno alle azioni violente contro gli stranieri. Discorso completamente diverso per l'ex Ddr. Qui è diffuso un razzismo di massa, anche se la percentuale di stranieri è ben più modesta che nella Germania occidentale: «Più il numero di stranieri è ridotto, più l'odio è forte» (4). La seconda differenza riguarda la cultura politica. Se si deve dar credito alle osservazioni empiriche, nei nuovi Länder il nazionalismo völkisch ha radici molto più profonde: esprime lo stato d'animo di gran parte delle regioni rurali e delle piccole città. La gente respinge l'ideologia dell'estrema destra nel suo insieme ma ne accetta alcuni frammenti isolati, di cui non avverte soggettivamente il carattere fascista, quando addirittura non lo nega. Così molti adulti sostengono, giustificano o accettano in silenzio le aggressioni compiute dai giovani di estrema destra contro gli stranieri, le «zecche» (nome dato ai militanti di sinistra), gli omosessuali o i senza tetto. Ma contestano l'ideologia che è alla base di queste azioni: «I nostri ragazzi non sono nazisti», affermano. Applicata alla società della Germania orientale, l'idea che «l'estremismo di destra nasce al centro» presenta una seconda dimensione, quella sociale . Bernd Wagner, profondo conoscitore del radicalismo di destra nell'ex Ddr, parla di una cultura già solidamente radicata tra i giovani. Una cultura che riunisce gruppi eterogenei, dai nuclei organizzati neonazisti ai giovani criminali, passando per i naziskin e i gruppi apolitici ma influenzati dal razzismo. Lo straordinario serbatoio di odio dal quale attingono ha la meglio sulle differenze, come quella ad esempio tra il giovane nazista, fisicamente forte e disciplinato, e lo skin imbevuto di sottocultura, completamente estraneo all'idea del potere. I gruppuscoli neonazisti si adattano abilmente a queste realtà. Operano in gruppi autonomi ben inquadrati, preferiscono l'organizzazione in reti e puntano su azioni decentrate. La loro rinuncia a qualsiasi struttura nazionale burocratica li rende meno vulnerabili alla repressione; e gli permette anche di aggirare il rifiuto dei partiti da parte di molti giovani. In questa cultura giovanile si manifesta, secondo i termini di Bernd Wagner, un «processo spontaneo» svincolato da qualsiasi influenza. Il vocabolario neonazista definisce un circolo giovanile, una strada o un quartiere sotto il controllo dell'estrema destra come una «zona nazionale liberata» - un richiamo implicito al gergo della sinistra radicale, come il concetto di egemonia a cui faceva riferimento Antonio Gramsci. In concreto questi gruppi violenti decidono chi può entrare nella zona e chi no. Nel corso dell'estate questo terribile scenario, diventato realtà in molti luoghi, ha naturalmente alimentato la richiesta di una maggiore presenza delle forze di polizia in tutti i nuovi Länder. Poco significativi sono stati finora i tentativi di spiegare lo sviluppo, il consolidamento di questa cultura nella Germania orientale, e la tolleranza, quando non addirittura il sostegno, degli adulti nei suoi confronti. Eppure non mancano gli elementi: l'assenza a Est, di un'efficace società civile - capace di gestire pacificamente i suoi conflitti - come quella formatasi a Ovest negli anni Sessanta; l'eredità autoritaria della Ddr, il cui antifascismo programmatico era solo un atteggiamento di facciata; la poca abitudine agli stranieri che, isolati dall'ex regime, non prendevano parte alla vita quotidiana. Tutte tessere di un mosaico che si completano anziché contraddirsi. Ma acquistano coerenza solo se reinserite nel contesto di insicurezza generato dalla «svolta» del 1989, a cominciare dalle carriere distrutte e dalle prospettive di lavoro rovinate - in una società segnata dalla centralità del lavoro. Gli «ossis» (5), e in primo luogo i giovani, hanno improvvisamente provato la sensazione che «non ci fosse più bisogno di loro», come ha sottolineato l'esperto in materia di immigrazione Eberhard Seidel (6). Il rifiuto delle classi dominanti di accettare le richieste di integrazione della gente dell'Est ha contribuito ad aprire la porta al «riconoscimento negativo»: quello che offriva l'estremismo di destra con il suo programma apparentemente rivoluzionario. Questa nuova coscienza di sé sembra difficile da rimuovere, anche se le condizioni di vita dei giovani stanno migliorando e i programmi di aiuto alla formazione promessi dallo stato cominciano a dare i loro frutti. In occasione del suo viaggio nei nuovi Länder, alla fine di agosto, il cancelliere Gerhard Schröder ha proclamato la volontà di battersi su un triplice fronte: la repressione, la formazione professionale dei giovani e un maggiore coraggio civico. Ma il dibattito pubblico che ne è seguito ha puntato soprattutto sulla repressione e in particolare sullo scioglimento dell'Npd. Tuttavia il Consiglio costituzionale, per calcolo pragmatico, esita a prendere una decisione del genere. Infatti non solo l'ex Npd potrebbe rapidamente ricostruirsi una nuova facciata legale, ma la sua messa fuori legge rischierebbe di far entrare nella clandestinità gruppi finora controllabili dall'esterno e dall'interno. A sinistra si teme inoltre che un tale provvedimento aiuti i dirigenti conservatori, che vedono nella repressione il rimedio miracoloso ai problemi esistenti tra i tedeschi e gli immigrati. La sorte dell'Npd divide del resto gli stessi partiti politici, e tra i sostenitori della messa al bando salta agli occhi la strana convergenza dei verdi e dei conservatori. La questione rimane comunque aperta. Fortunatamente, nel caos di quest'estate si fanno sentire alcune voci, che combattono da tempo l'estremismo di destra. Fin dai tempi del «socialismo reale» Bernd Wagner applicava alla lettera l'antifascismo ufficiale e si opponeva, come poliziotto, ai gruppi radicali in gestazione. Ricordiamo anche Anneta Kahane dell'Ufficio regionale del lavoro di Berlino per gli stranieri. Come loro, altri esperti sostengono i gruppi di lavoro, i «seminari» e le altre strutture che affrontano in prima persona la minaccia dell'egemonia neonazista. Ogni negozio che mostra l'insegna «Entrata di emergenza» (rifugio per gli stranieri perseguitati da qualche picchiatore), ogni scuola che ottiene la qualifica di «Scuola senza razzismo», ogni riconquista di un circolo giovanile ricostruisce un piccolo pezzo di società civile e una nuova rete di iniziative antinaziste. A est alcuni governi si interessano da anni alla questione. Così il Brandeburgo ha creato l'unità di polizia Mega, che contende ai neonazisti il controllo delle «zone nazionali liberate». A volte tra gli organi di repressione dello stato e le iniziative popolari indipendenti si instaurano forme di cooperazione nelle quali lo stato rinuncia a mettere sotto tutela o a strumentalizzare i cittadini impegnati. Ma questi progressi sopravvivranno in Brandeburgo alla costituzione di una «grande coalizione» tra i socialdemocratici dell'Spd e i cristiano-democratici della Cdu? I «militanti della società civile» sanno che l'appello del cancelliere Schröder a un maggiore coraggio civico rimarrà astratto e inefficace se non si baserà su un vero movimento popolare, ma per svilupparlo ci vorrà tempo. Intanto nel braccio di ferro che oppone la Germania all'estremismo di destra il tempo sembra sempre più stretto. note: * Giornalista del quotidiano Die Tageszeitung, Berlino.

(1) Si legga Christian Gerlach, «L'ossessione della storia», Le Monde diplomatique/il manifesto, ottobre 1999. (2) In un'intervista pubblicata dal quotidiano bavarese Süddeutsche Zeitung, Monaco, 30 agosto 2000. (3) I nazisti utilizzavano l'aggettivo «völkisch» per definire - senza rivendicarla apertamente - l'appartenenza alla razza germanica tramandata per diritto di sangue. (4) Tratto dall'opuscolo Braune Gefahr (Il pericolo bruno), Jens Mecklenburg, Berlino, 1999. (5) Il termine «ossis»indica i tedeschi dell'Est, mentre i «wessis» sono quelli dell'Ovest. (6) Si legga Die Tageszeitung, 19 agosto 2000. (Traduzione di A.D.R.)