da "La Repubblica"

dell' 8 settembre 2000

La Germania prigioniera del demone del nazismo

di MARIO VARGAS LLOSA

NELLA notte tra il 10 e l'11 giugno, all'1,30, Alberto Adriano, mozambicano, salutò l'amico con cui aveva visto la partita di calcio in televisione e si avviò verso casa, a pochi isolati di distanza. A quell'ora, le strade di Dessau, nella Germania orientale, sono generalmente deserte, ma Alberto - 39 anni, residente in regola, sposato con una tedesca e padre di tre figli di 8, 3 anni e 5 mesi, e impiegato al mattatoio della città come imballatore - si trovò improvvisamente davanti, all'inizio del parco che doveva attraversare, tre giovani chiassosi. Quando si rese conto che le canzoni che cantavano chiedevano di "ripulire la patria dalle bestie nocive" era ormai troppo tardi per fuggire. I tre ragazzi avevano la testa rasata e le braccia tatuate e si erano conosciuti poche ore prima, alla stazione ferroviaria di Dessau. Il più grande dei tre, Enrico Hilprecht, di 24 anni, apprendista panettiere, era già stato processato per furto. GLI altri due, sedicenni - la polizia non ne fa il nome, essendo minorenni - dopo aver abbandonato la scuola, vagabondavano. Tutti e tre avevano partecipato a raduni e manifestazioni contro gli immigrati che gruppi nazionalisti e neonazisti organizzano spesso nella ex Germania comunista e, soprattutto, in Turingia e in Sassonia- Anhalt, e fu presumibilmente questa affinità a propiziare la loro amicizia, che suggellarono con boccali di birra. Trovarsi davanti una "bestia pericolosa" in carne e ossa in quella notte solitaria di Dessau dovette sembrare agli euforici patrioti un dono degli dèi. Come hanno poi confessato, il mozambicano cercò con ogni mezzo di placarli e non tentò nemmeno di difendersi. Hiltricht lo teneva per le braccia, mentre i suoi due amici lo riempivano di calci e pugni. Dopo cinque minuti, Alberto Adriano cadde a terra, privo di sensi, ma loro continuarono a colpirlo ancora per un bel po'. Dopo, lo trascinarono nel parco, dove lo spogliarono e disseminarono i suoi vestiti attorno allo straccio in cui lo avevano ridotto. La polizia li trovò accanto alla loro vittima, mentre cantavano ancora degli inni nazisti. Adriano morì tre giorni dopo all'ospedale, senza aver ripreso conoscenza. Di fronte al tribunale che li ha giudicati, gli assassini hanno dimostrato un'assoluta indifferenza per la propria sorte. I due minorenni andranno in un riformatorio per 9 anni, ma Enrico Hilprecht, per il quale il pubblico ministero aveva chiesto 20 anni, è stato condannato all'ergastolo. La Germania non è un paese in cui la delinquenza di strada sia in aumento. Al contrario negli ultimi anni si è sperimentata una progressiva diminuzione di reati, rapine e altri fatti delittuosi, sia nelle regioni orientali che in quelle occidentali. Con una grave eccezione, però: quella dei delitti razziali, contro gli immigranti di qualsiasi etnia e religione. Questi sono aumentati in maniera sistematica, soprattutto negli stati della ex Repubblica Democratica, con attacchi contro le case dei rifugiati, attentati a sinagoghe e moschee, pestaggi, omicidi e distruzione di attività commerciali e di abitazioni di africani, asiatici, ebrei e europei non germanici. Dopo la bomba esplosa a Duesseldorf il 27 luglio, che ha lasciato un bilancio di 10 stranieri come vittime, 6 dei quali ebrei, il governo stesso ha promosso una campagna contro l'odio razziale e l'estremismo nazionalista, una delle cui conseguenze potrebbe essere lo scioglimento del Partito Nazionale Democratico, uno dei gruppuscoli neonazisti più isterici nel predicare contro gli immigranti. Questa proibizione provoca un acido dibattito in seno alla coalizione governativa, nella quale alcuni dirigenti Verdi, come Claus Leggewie, temono che la misura sia controproducente e serva piuttosto a circondare di un'aureola eroica il Pnd. (Quest'ultimo, in un comunicato, ha fatto sapere che da quando si è sparsa la voce che sarebbe stato vietato, le adesioni si sono moltiplicate). Il razzismo è un ingrediente essenziale del nazionalismo benché questo, nelle sue espressioni meno belligeranti, si camuffi dietro a una maschera tollerante e democratica. Non si può sostenere, da una parte, che l'appartenenza a una nazione costituisce un segno di identità che affratella e definisce una comunità come ente sovrano e unico e, dall'altra, negare che una simile credenza comporta dei germi inevitabili di discriminazione ed esclusione contro coloro che, per il colore della pelle, la lingua in cui si esprimono, il dio che pregano o semplicemente per le loro idee, attentano a quella omogeneità e unità postulata dai nazionalisti e sono una prova vivente dell'irrealtà di simile dottrina. Per questo, la violenza segue come un'ombra le teorie nazionaliste, una "cultura" che attecchisce facilmente tra la gente incolta, in poveri diavoli come i tre giovani dalla testa rasata di Dessau, che se non fossero questo - patrioti - non sarebbero altro che tre povere rovine umane senza una rotta e senza motivi nella vita. Grazie ai gruppi neonazisti, sanno che il semplice fatto di essere ariani e tedeschi giustifica la loro esistenza, li rende valori e orgogli ambulanti e conferisce loro una superiorità ontologica su quelle "bestie nocive" che vengono a macchiare la patria, come il mozambicano Alberto Adriano. Quando si tratta di razzismo, nessuno dovrebbe lanciare la prima pietra senza prima guardare che cosa accade in casa sua, perché si tratta di una piaga da cui nessuna società è esente. Non è razzismo quello che praticano nel Paese Basco i fanatici dell'Eta, assassinando consiglieri comunali, poliziotti, imprenditori, facendo saltare per aria case, imprese, terrorizzando i comuni cittadini per imporre in un'apocalisse di sangue e di odio demente quella patria pura, ripulita dagli stranieri, che sognano? Non c'è società in cui la diffidenza e la paura nei confronti dell'altro, di chi è diverso, non abbia alimentato quell'obliqua e vergognosa forma di razzismo che è il nazionalismo. Sarebbe, quindi, disonesto vedere, in quegli incidenti e in quei crimini contro gli immigrati, un problema solo tedesco. E' però vero che, dati i precedenti di Hitler e il nazionalsocialismo, ogni problema di questa indole nella società tedesca risulta inquietante e particolarmente rischioso. E' vero che, in termini statistici, quelli che vanno, armati di mazze da baseball, a caccia di immigranti sono una minoranza insignificante.In questi casi,tuttavia, il problema maggiore non è in queste bande di beoni isterici che picchiano e uccidono, ma in quelle masse silenziose che, mentre quelli incendiano, distruggono e perpetrano i loro abusi e i loro delitti, guardano dall'altra parte, e non vedono né si accorgono di quello che accade, o si dicono segretamente che queste cose, purtroppo, continueranno a succedere finché continueranno ad arrivare neri, gialli, rossi, maomettani ed ebrei a togliere il posto di lavoro ai poveri nazionali, a rendere pericolose le strade con le loro ruberie, a rovinare le buone abitudini locali con le loro, primitive e barbare. Non è un caso che i gruppi di estrema destra abbiano reclutato più adepti nella regione orientale della Germania che in quella occidentale, dove i costumi democratici sono calati in modo più profondo che in coloro che fino alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989, hanno vissuto in una dittatura totalitaria. In un saggio molto interessante, Jochen Staadt contesta le tesi secondo le quali le simpatie per le teorie naziste nella ex Germania comunista si devono spiegare con la frustrazione e lo stordimento che provoca tra i giovani la vastità dei cambiamenti avvenuti, l'insicurezza e la disoccupazione che ora li minaccia. A suo parere, la radice del male è anteriore e si confonde con il regime politico comunista, nel quale vi furono già, tra gli studenti medi e universitari, gravissime manifestazioni di simpatia per l'hitlerismo sorte sulla scia della politica di acceso nazionalismo che quel regime patrocinava. Anche se la censura impedì che tutto ciò trascendesse, vi furono molteplici incidenti razzisti (spesso contro le famiglie dei soldati e dei tecnici sovietici residenti nella Germania Orientale), come precisano i rapporti della Stasi, la polizia segreta comunista, citati da Jochen Staadt. In uno di essi, gli agenti segnalano violenze etniche commesse a Cottbus, Dresda, Halle, Magdeburgo, e Erfurt, in cui si sono moltiplicate la brutalità, l'antisemitismo, la xenofobia e le simpatie fasciste. Ricorrere al nazionalismo è sempre scherzare col fuoco, tanto più se fa appello a questa risorsa, per puntellarsi, un regime autoritario, perché portata alle sue ultime conseguenze, qualsiasi dottrina nazionalista sbocca non nel collettivismo socialista, ma nel nazismo. Avranno successo gli sforzi che stanno portando a termine il governo tedesco, i partiti politici democratici e le istituzioni per i diritti umani per scongiurare questi preoccupanti indizi di un rinascente nazionalismo razzista? In ogni caso, bisogna elogiare il fatto che il problema non sia trascurato e oggi figuri al centro dell'attualità tedesca. Sono senza dubbio validi i tentativi di aprire gli occhi del grande pubblico sulla realtà dell'immigrazione,informandolo che si tratta di una necessità imprescindibile per la Germania - come per tutti i paesi industrializzati d'Europa - se vuole mantenere il suo ritmo di sviluppo e i suoi livelli di vita. Queste "bestie nocive", dunque,invece di essere perseguitate dovrebbero essere accolte a braccia aperte, dato che il loro apporto è molto più grande di quel che ricevono, e con politiche che facilitino la loro integrazione e la convivenza, in modo che vadano cedendo i pregiudizi e i rancori che l'ignoranza e la mancanza di comunicazione tra comunità diverse provocano sempre. Non bisogna, però, illudersi troppo. Queste sono ragioni e il razzismo non ha nulla a che vedere con la ragione, bensì con l'irrazionalità di ataviche paure e di fantasie ancestrali, con il timore davanti al pericolo e alla novità incessante di un mondo che sfugge a tutto ciò che insegna la tradizione, che impone di riaggiustare e rivedere ogni giorno vecchie convinzioni ed insegnamenti e di adottarne di nuovi, più adatti ad affrontare con questa realtà trasformata e in perpetua trasformazione. Questo è un mondo nuovo, pieno di possibilità per gli individui e le società che ad esso sanno adattarsi, ma anche pregno di rischi e pericoli antichissimi che potrebbero esacerbarsi invece di scomparire proprio a causa della velocità dei cambiamenti. Qualche giorno fa, ho mangiato wurstel e bevuto birra in una taverna di Monaco con un pianista peruviano che ormai risiede in quella città da più di dieci anni. E' sposato con una tedesca, parla perfettamente il tedesco, e guadagna bene con il suo bel lavoro. Quando gli ho sentito dire che da un po' di tempo rifiuta tutte le proposte di andare a suonare in città della Germania Orientale "perché ho paura", mi è sembrato che esagerasse, ma questa mattina leggo che gli organizzatori dei festeggiamenti per il centenario della morte di Nietzsche, a Weimar, hanno diffuso tra gli studenti giapponesi dell'Università di Waseda (molto attiva nelle cerimonie commemorative), venuti per la celebrazione, il seguente comunicato: "La Germania ha gravi problemi con gruppi neonazisti e settori della popolazione che non accolgono gli stranieri come dovrebbe accadere in un paese civile. Per favore, tornate al vostro albergo solo in autobus o in taxi e non rimanete per strada fino a notte tarda".

(Traduzione di Luis E. Moriones)