I rom d'Ungheria fra legge e realtà

di Olivier Meer*

da Le Monde Diplomatique

del Novembre 1999

"L'adozione da parte dell'Ungheria, nel 1993, di una legge, unica in Europa, che riconosce i diritti delle minoranze è stata inizialmente un atto forte di politica internazionale"spiega Angela Koczé. Ma per questa sociologa, specialista di diritto delle minoranze, il gesto non ha solo una valenza simbolica: "Era, per la prima volta, il riconoscimento di diritti collettivi individuati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo". In effetti, con la legge LXXVII adottata il 7 luglio 1993 dal Parlamento quasi all'unanimità (1), l'Ungheria si è data un apparato legale e giuridico eccezionale, che mira a garantire i diritti delle minoranze che vivono sul suo territorio. Vi sono individuate tredici minoranze: dodici nazionali, ereditate dalla storia, e una etnica, i rom (2), che sono 500.000 (su dieci milioni di abitanti). Pietra angolare di questo dispositivo è l'istituzione di consigli comunitari o "governi autonomi di minoranze", eletti dai membri di una stessa minoranza nazionale o etnica a tutti i livelli territoriali e aventi in particolare il potere di gestione di bilanci specifici. Parallelamente, un Ufficio per le minoranze nazionali ed etniche, principale istanza governativa incaricata delle minoranze, è stato predisposto su scala nazionale. Così, nell'ottobre 1998, le comunità zingare disponevano di 766 consigli comunitari, contro 415 alla fine del 1994 un numero quasi raddoppiato in quattro anni, ciò che attesta il crescente interesse per la vita pubblica locale. In effetti, la svolta del 1993 ha profondamente modificato il rapporto delle minoranze con le istituzioni: rompendo con un atteggiamento di negazione delle realtà minoritarie ed etniche, ha conferito una dignità ai rom e gli ha permesso di avere dei portavoce che hanno saputo introdursi nei luoghi del potere. Ciononostante, due fattori ne limitano l'applicazione sul campo: l'insufficienza dei crediti, che riduce le possibilità di azione dei consigli di minoranze, e i rapporti conflittuali di questi ultimi con i consigli municipali. Il finanziamento dei consigli di comunità è complesso, in gran parte sottoposto alla buona volontà dei consigli municipali, e fonte di enormi disparità. Così a Ozd, nel nord-est del paese, il governo autonomo dispone del bilancio più cospicuo delle comunità zingare (l'equivalente di oltre 40 milioni di lire) ma, dopo averne dedotte le spese amministrative, resta soltanto una cifra pari a 3.300.000 lire. In compenso, il Centro per i diritti dei Rom lamenta il fatto che, nel XIX distretto di Budapest dove vivono sei mila zingari, ossia un abitante su dieci , il Consiglio autonomo ha ottenuto per il 1999 una sovvenzione di soli 6 milioni e mezzo di lire dal consiglio municipale, mentre il Consiglio slovacco ha ricevuto quasi 5 milioni per una comunità di 250 persone, e quello croato più di 9 milioni per appena 150 persone. Altro punto debole della legge, l'insufficiente rappresentanza zingara nelle istanze regolari: al Parlamento ungherese non siede più nessun rom, così come nella stragrande maggioranza dei consigli comunali. I consigli di minoranza incontrano dunque reali difficoltà a collaborare efficacemente con gli altri organismi eletti. Ma, nel frattempo, la legge ha questo effetto perverso: indurre proprio le persone più impegnate nella società civile a smettere i panni di protagonisti dell'associazionismo per vestire quelli di rappresentanti privi di potere. "Nei villaggi racconta Angela Koczé questa metamorfosi è a volte tragica. Alcune associazioni avevano una voce indipendente, beneficiavano di strumenti d'azione e certe fondazioni le finanziavano. Oggi, esse non esistono più, le fonti di reddito da parte della società civile sono scomparse e i progetti dipendono ormai solo da ipotetici finanziamenti". Che fare? Per un uomo come Floriçn Farkas, presidente del Consiglio nazionale della minoranza zingara (Ocko), specie di governo autonomo di minoranza per l'insieme dell'Ungheria "la cosa più importante è che questa legge esiste e permette di discutere del suo possibile miglioramento" che Farkas spera di strappare all'attuale governo di centro destra. Più severo il giudizio di Viktoria Mohacsi, ricercatrice per il Centro dei diritti dei rom europei: "Con questa legge, lo stato ungherese non ha veramente tentato di migliorare la nostra condizione. Ha solo voluto indurre gli stati confinanti a concedere diritti simili alle minoranze ungheresi che vivono in essi". Il riconoscimento di diritti supplementari ai cinque milioni circa di ungheresi che vivono in Romania, in Ucraina, in Slovacchia e in Slovenia e che sono in genere bene integrati, è tale da favorire notevolmente il loro emergere politico. Se è vero che la società ungherese ha fatto sua la nota, questa musica da salotto che, dal felice Ottocento conclusosi con un'apoteosi, ha contribuito al fascino romantico della città magiara e alla fama dei geniali zingari d'Europa centrale in Occidente, cionondimeno essa considera il suo passato con vergogna e il suo presente con ironia. La marginalizzazione dei rom ha attraversato i secoli, dalle violente persecuzioni di ieri alla ghettizzazione rampante di oggi, passando per lo sterminio, dimenticato, della seconda guerra mondiale Eppure la loro cultura rinasce sempre dalle ceneri, nella sua ricerca senza fine di legittimità. La questione zingara si ripropone dunque, episodicamente, all'intellighentsia. A sei anni dalle leggi che si pensava dovessero rivoluzionare l'integrazione, per quali ragioni, e in che modo, la situazione si è, per certi versi, aggravata? L'eterno dibattito sulla natura sociale o etnica della questione zingara è più vivo che mai. "Non è l'integrazione a fallire, sono le circostanze sociali che la fanno naufragare" insiste Angela Koczé. A 29 anni, questa sociologa rivendica la sua appartenenza a una generazione che intende trovare il proprio posto nella società magiara, senza tuttavia rompere con le sue radici e la sua cultura, anche se questi valori devono ammette "uscire dal quadro comunitario". Lei stessa si sentiva stretta a Kispalad, il suo villaggio nativo, alla frontiera ucraina: cinquecento abitanti, per metà zingari, nessuna scuola, neppure un medico. Terminato il liceo, Angela Koczé si trasferisce a Budapest per cercare lavoro. "L'importante ricorda era di aprirmi al mondo". Impiegata nell'industria pesante, poi maestra elementare, conclude gli studi, che finanzia con piccoli lavoretti qua e là, alla Columbia University di New York, dove ottiene un dottorato sui diritti umani. Con un percorso di questo genere, non c'è da stupirsi che la parola "integrazione"piaccia alla nostra sociologa. A condizione che non significhi rinnegare Lo stato è sufficientemente attento al razzismo e alla sua espressione violenta? Gli sforzi che dedica, fin dalla scuola, alla promozione degli scambi interculturali sono sufficienti? La Commissione europea contro il razzismo e l'intolleranza (Ecri), che si era congratulata con l'Ungheria per la legge del 1993, lamentava tuttavia, nel suo rapporto del 1997, che essa non conteneva alcun "divieto di insulto o diffamazione per motivi di razza, di discriminazione comune o di discriminazione da parte dei funzionari statali" (3). Eppure le discriminazioni anti-rom sono innegabili: esse spiegano in gran parte la disoccupazione che colpisce quasi il 70% della comunità, contro una media nazionale dell'11% (4). Perché, anche se le comunità rom appartengono a una tradizione nomade, si sono sedentarizzate durante il 900 e hanno conosciuto, nel dopoguerra, una integrazione massiccia, spesso coatta, nel mondo operaio. Il nomadismo è praticamente scomparso a partire dal 1950. Quindi è stato proprio il fallimento industriale seguito agli sconvolgimenti dei primi anni novanta che è stato fatale a questa popolazione, stabilizzata ma vulnerabile perché sotto-qualificata. A Ozd, dove un terzo dei 40.000 abitanti è rom, la chiusura delle fabbriche metalmeccaniche e siderurgiche dopo il 1989 ha provocato una percentuale media di disoccupazione del 40% e quasi del 100% nei villaggi zingari dei dintorni. A Hetes, un vicino villaggio rom che conta 600 abitanti, l'unica fonte di reddito è ormai la rivendita di minerale d'acciaio prelevato da vecchi terreni di scarico oggi insalubri e tossici. La sopravvivenza delle famiglie dipende spesso dai minimi sociali e dalle sovvenzioni governative. Senza essere gli unici, gli zingari sono stati la categoria più duramente e più brutalmente colpita dalle terapie liberiste del post-comunismo. Secondo le statistiche ufficiali, hanno una speranza di vita di dieci anni inferiore rispetto a quella media degli ungheresi, che è già fra le più basse d'Europa. Parimenti, se la proporzione di giovani zingari dai 25 ai 29 anni che hanno concluso il ciclo di otto anni di scolarizzazione di base è passata dal 26% al 77% fra il 1971 e il 1993, la maggioranza di questi non conclude gli studi superiori e, a fortiori, non ha accesso all'università (5). Le soluzioni a questi drammatici problemi di disoccupazione e di sotto-scolarizzazione alimentano le polemiche nella stessa comunità rom: le difficoltà d'integrazione hanno origini sociali o culturali? Occorre privilegiare una educazione etnicamente separata o integrata? E, a proposito dei media, è meglio mostrare le difficili condizioni di vita degli zingari e denunciare le discriminazioni che li colpiscono, o invece cercare di sedurre il grande pubblico valorizzandone le tradizioni e il folclore? Una comunità consapevole Questi dibattiti hanno una risonanza tanto più grande in quanto, dopo la legge del 1993, dispongono di istanze istituzionali e di collegamenti con l'insieme della società ungherese. "La politica che rappresento rivoluziona la questione zingara, afferma Farkas. Le mie proposte sono accettabili sia dalla maggioranza che dalle minoranze". "Opportunismo" risponde il suo principale avversario, Aladçr Horvath, altra figura emblematica della causa zingara che tuttavia precisa: "Quando la nostra comunità deve trattare con il potere, sa parlare all'unisono". Quanto alla sociologa Angela Koczé, rimane ottimista, nonostante tutto. Valuta la strada percorsa negli ultimi anni e assimilando dopo il soggiorno negli Stati uniti la sua lotta a quella dei neri americani per i diritti civili, crede all'avvento di una comunità consapevole dei propri diritti e di una società rispettosa delle differenze: "Sono convinta che l'Unione europea abbia il potere di aiutarci a forzare la mano dei partiti politici per migliorare la situazione dei rom. Poco importa che sia per evitare ulteriori migrazioni verso l'Occidente, l'essenziale è che ci aiutino a far rispettare i diritti umani".

note: * Giornalista; ha soggiornato in Ungheria tra il 1995 e il 1999.

(1) La legge è stata approvata dal 96% dei suffragi espressi. Fra i voti contrari, quello dell'unico parlamentare rom, Aladar Horvath. (2) Questa comunità non è omogenea. Due terzi sono rappresentati dai Romungro o zingari-ungheresi, la cui lingua materna è l'ungherese, e il terzo rimanente dai Vlach, che parlano il romanes. Senza dimenticare il gruppo ristretto dei Beash, a sud del paese, la cui lingua materna è un dialetto rumeno antico. (3) Rapporto indirizzato al governo ungherese nel luglio 1997. (4) Nel suo rapporto biennale di valutazione della situazione delle minoranze nazionali ed etniche pubblicato nel 1997, il governo ammette una percentuale di disoccupazione "da quattro a cinque volte superiore alla percentuale media ungherese" (rapporto J/3670 del governo all'Assemblea nazionale, Budapest, 1997). Secondo le associazioni zingare, la situazione sarebbe in realtà ancora peggiore. (5) Cfr. rapporto J/3670, op. cit. (Traduzione di M.G.G.) aa qq Il Pakistan e gli altri di Ignacio Ramonet