|
Viaggiatori
senza viaggio
Il fragile statuto
degli zingari francesi
Mentre si denunciano spesso i casi di antisemitismo e talvolta il
razzismo contro gli arabi, ci si dimentica che tra tutte le vittime
di discriminazione, sono gli «zingari» quelli che suscitano - e di
gran lunga - il rifiuto più ampio. Nella gara del pregiudizio essi
si trovano largamente in testa: il solo arrivo di nomadi in una città
suscita i peggiori timori per la sicurezza dei beni e delle persone.
Gli attentati dell'11 settembre 2001 non hanno cambiato niente e
tanto meno il clima creato dal ministro degli interni francese Nicolas
Sarkozy, culminato con la legge liberticida da lui proposta e votata
a metà febbraio del 2003. Ma come reagiscono le città coinvolte,
tra la legge Besson che prevede un'accoglienza decente per i nomadi
e le notevoli resistenze di una parte dell'elettorato, mobilitato
in nome della sicurezza? L'esempio di Arles e del suo previsto insediamento
di rom illumina le contraddizioni in cui finisce per trovarsi una
municipalità, per quanto ben intenzionata.
Chantal Aubry
La solita animazione in una soleggiata mattinata d'inverno nel campo
dei gitani, una sessantina di carrozzoni allineati lungo il canale
che va da Arles a Fos, a metà strada fra il museo dell'antichità
di Arles e il quartiere popolare di Barriol. Le donne fanno le pulizie,
gli uomini chiacchierano, le automobili vanno avanti e indietro perché
è l'ora in cui i bambini escono dalla scuola. Tutti parlano ancora
dell'avvenimento: a fine novembre 2002, è stata posata la prima pietra
del futuro quartiere, proprio vicino al campo. E da allora, tutti
possono seguire l'avanzamento dei lavori.
La fine dei lavori, prevista per dicembre 2003, con la consegna di
quarantasette alloggi individuali, è il risultato di sforzi congiunti
certamente molto meritori: «Io mi sono battuto per sette anni», spiega
orgoglioso il pastore Antonio Hernandez, presidente dell'associazione
Gitans d'Arles e pastore della comunità evangelica (pentecostale)
Vie et Lumière, maggioritaria nel campo. «Alla fine, mi hanno ascoltato.
Occorreva creare un'associazione. Quando hanno visto il risultato,
molti non volevano crederci. Mica facile parlare alle popolazioni
stanziali... Io ho avuto questo privilegio!».
In effetti il progetto risale al 1996, quando la città di Arles (il
cui sindaco era ancora il socialista Michel Vauzelle) decide, dopo
anni di indugi, di affrontare il problema. Due persone se ne incaricano:
Henri Tyssere, assessore comunista all'urbanistica, e Catherine Levrault,
assessore verde all'ambiente. Per una città che deve fare i conti
con una situazione finanziaria notoriamente delicata, lo sforzo era
grande, perché si trattava di un triplice impegno: creare per i nomadi
di passaggio un'area di accoglienza che, in linea di principio, la
prima legge Besson (31 maggio 1990) aveva reso obbligatoria nei comuni
di oltre 5.000 abitanti; lanciare un programma immobiliare locativo
per le famiglie stanziali di gitani catalani che vivono ad Arles
da più generazioni; infine, prevedere terreni familiari per alcune
famiglie rom o manouche, semi-stanziali e in condizioni molto precarie.
Philippe Lamotte, all'epoca assessore all'urbanistica, affida questo
progetto, nell'ambito di un Master di opere urbane e sociali, allo
studio marsigliese Lieux dits, il quale, nel febbraio 1998, al termine
di un minuzioso lavoro d'informazione presso le famiglie e di ricerca
di terreni, consegna i progetti. Tuttavia - escludendo, per il progetto
locativo, il terreno di Barriol sul quale l'accordo concluso sarà
rispettato e saranno reperiti i finanziamenti - i terreni proposti
per l'area di accoglienza cambieranno più volte, a causa delle opposizioni
delle associazioni di vicini (albergatori, centri commerciali) ostili
per principio a qualunque insediamento di zingari.
Nel frattempo, dopo un certo numero di divisioni aperte in seno alla
gauche plurielle locale, la municipalità cambia, così che la «patata
bollente» finisce nelle mani del nuovo sindaco comunista, il molto
prudente Hervé Schiavetti. E i negoziati si arenano. Al punto che
Arles, come molte altre città francesi, rimane senza area di accoglienza.
Uno scenario classico, anche se il suo progetto locativo colloca
l'antica città provenzale (assieme a Montpellier e Martigues per
il Sud della Francia) nel plotone delle città virtuose in materia
di alloggiamenti stabili.
Non scontentare l'elettorato, non confinare le popolazioni da accogliere
in luoghi di segregazione, lontano da ogni negozio e dai servizi
sociali: questo rappresenta, ad Arles come altrove, la quadratura
del cerchio. «Poiché la scadenza fissata dalla legge Besson è il
1¼ gennaio 2004, saremo in ritardo. Ma abbiamo trovato il terreno»
assicura David Grzyb, il nuovo assessore all'urbanistica, che è oggi
incaricato del dossier. Non resta che convincere i vicini... «I nomadi
devono potersi fermare in una condizione di normalità - ammette Schiavetti.
Ma, agli occhi dell'opinione pubblica, essi fanno un po' paura, a
causa della loro immagine e delle loro consuetudini. La nostra posizione
è per forza di cose contraddittoria, ma ci sforziamo di riunire i
vari protagonisti e di sentire ognuno di loro».
Una posizione contraddittoria che non risparmia nessun rappresentante
eletto, abbia o meno un'ombra di progetto politico. Più che l'opposizione
degli abitanti del vicinato, bisogna ormai affrontare quella degli
albergatori e dei grandi centri commerciali insediati nelle zone
di attività, nelle vicinanze delle quali sono molto spesso previste
le aree di accoglienza. Ad Arles, i gitani catalani stanziali da
varie generazioni sono relativamente meglio tollerati che altrove.
Del resto alcuni di essi vivono in città, nel vecchio quartiere di
La Roquette, o nelle case popolari del quartiere di Barriol.
«La posizione degli abitanti di Arles è ambivalente - rileva Séverine
Lhez, dell'associazione Yaka de Gitana, che ha svolto un ruolo di
interfaccia indispensabile in tutte le operazioni di nuova sistemazione
di inquilini (1). Il razzismo esiste, come dappertutto, ma il successo
musicale di una delle famiglie del posto [Gipsy Kings] e l'amore
molto condiviso per la musica e la cultura del flamenco in parte
mitigano questo ostracismo. Eppure resta il fatto che la loro alterità
è sempre vissuta come una minaccia».
Denunce astiose ed espulsioni forzate
Vicina al villaggio di Les Saintes-Maries-de-la-Mer, centro del pellegrinaggio
gitano, Arles non è tuttavia la sosta privilegiata (il luogo di maggior
transito nella regione, molto deteriorato, è a Miramas). E il microcosmo
arlesiano sembra quasi risparmiato dalla tempesta «securitaria» che
scuote il resto della Francia. «la soluzione dei problemi della sicurezza
pubblica spetta ai politici - ammette Schiavetti. Se la destra fa
"montare la maionese" a livello nazionale, questo non cambia praticamente
nulla a livello locale. Arles è una terra di immigrazione, con una
forte capacità di integrazione. Metabolizza tutto, compresi i gitani».
Stesso zelo integratore a Martigues, nel quartiere di Bargemont,
un gruppo di trentanove case popolari finite nel 1995, dove vivono
famiglie manouche, anch'esse stanziali da tempo. Siamo a pochi chilometri
dal centro, certo, ma nella pineta, con una area di sosta e un parcheggio
a parte per i carrozzoni degli inquilini. «La municipalità ha voluto
costruire case "come le altre"» insiste il direttore del complesso,
Pierre Cerdan, che prende così le distanze dal concetto di abitazione
cosiddetta adattata, applicato altrove, in particolare ad Arles.
«È un modo paternalistico di ricreare la discriminazione. Qui la
gente ha imparato a pagare l'affitto, l'acqua, la luce, come tutti»
aggiunge Denis Klumpp, direttore dell'Associazione regionale di studi
e iniziative verso gli zingari (Areat) (2), che fa da punto di riferimento
presso le famiglie tramite un centro sociale sistemato nel quartiere,
e cura peraltro verso la gestione dell'area di sosta. Una gestione
nota per il suo rigore, e che si prefigge così di evitare degradi
e occupazioni abusive delle aree di accoglienza destinate ai nomadi,
spesso ospitati di nascosto dai semi-stanziali. «Sappiamo perfettamente
che i responsabili della precarizzazione di gran parte delle popolazioni
nomadi sono soprattutto gli impianti di accoglienza carenti e le
cattive condizioni di alloggio» spiega Klumpp. «La legge Sarkozy
(3) [si veda il box alla pagina precedente] avrà per lo meno il vantaggio
di costringere i comuni a creare finalmente le aree di sosta, se
vogliono poter espellere legalmente i nomadi che non rispettassero
i terreni privati dei loro comuni, cosa che le due leggi Besson non
sono per ora riuscite a fare».
Semplice elaborazione intellettuale? Previsione eccessivamente ottimista?
Vale la pena porsi la domanda, soprattutto se si considera che la
seconda legge Besson conteneva già deterrenti contro le soste selvagge,
che tuttavia non hanno spinto i comuni riluttanti ad attrezzare aree
di sosta.
In ogni caso, a pochi chilometri di distanza, il discorso è molto
più aggressivo: «Non ho la minima tenerezza per quella gente. Vivono
a spese nostre, di rapina. Bisogna finirla». Questa denuncia piena
di odio contro il «flagello» che rappresenterebbero gli zingari,
un concentrato di stereotipi degni del regime di Vichy, è del prefetto
del Vaucluse Paul Girot, che non ha avuto paura di pronunciarla in
un incontro pubblico con gli uomini politici del suo dipartimento,
il 17 ottobre 2002. Una firma in bianco concessa in anticipo alle
espulsioni forzate rappresenta uno slittamento che riassume piuttosto
bene il nuovo clima politico. Si colloca apertamente in un contesto
preciso - quello della legge Sarkozy - e ricorda che un certo numero
di prefetti non hanno mai avuto molti scrupoli nel fornire ai sindaci
«espulsori» le forze di polizia necessarie, fossero legali o meno
queste espulsioni. Che il ministro dell'interno abbia poi cercato
di mitigare le parole del suo prefetto non cambia di molto il fondo
della questione.
Perché le cose sono chiare: la situazione dei nomadi, che si evolveva
lentamente dal 1969, epoca in cui la legge aveva finalmente dato
loro uno status, si avvia invece, a causa della pressione economica
e della chiusura «securitaria», verso una regressione che preoccupa
giustamente tutte le associazioni. Le quali, del resto, si sono mobilitate
dal settembre 2002, moltiplicando mozioni e manifestazioni contro
gli articoli 19 e 19bis della legge Sarkozy che, prevedendo sanzioni
particolarmente pesanti contro le infrazioni allo stazionamento,
non fa altro che creare «un reato di esistenza» per i nomadi. Si
è quindi costituito il collettivo del 24 settembre che raggruppa
associazioni molto diverse dove s'incontrano sia zingari che non
zingari (4). Varie manifestazioni si sono svolte a Parigi e in diverse
città francesi, l'11 e il 27 gennaio 2003. La seconda manifestazione,
organizzata esclusivamente dai nomadi, ha riunito cinquemila persone.
Al di là dell'oggetto immediato del contendere - lo stazionamento
dei nomadi, bersaglio privilegiato della legge Sarkozy - è anche
in causa l'insieme dei diritti di popolazioni particolarmente precarizzate:
accesso all'educazione, alla salute, alla casa, al lavoro, lotta
contro le esclusioni e le discriminazioni di ogni genere; infine
la salvaguardia di un modo di vita e di tradizioni che la Francia
di Sarkozy vorrebbe cancellare. Assimilati come gruppo ai delinquenti,
gli zingari esprimono sempre di più le loro preoccupazioni: «Da questa
estate, non mi sento bene, sono preoccupato per i nostri bambini
- diceva un manifestante dell'11 gennaio. Non siamo responsabili
dei problemi di questo paese. Non vogliamo vivere le stesse persecuzioni
che i nostri genitori hanno conosciuto». Un altro aggiungeva: «La
gente stanziale dovrebbe capire che i segnali che si accendono non
sono di buon augurio per nessuno».
«Gli slittamenti verbali attestano un clima sempre più teso, in un
contesto di regressione delle libertà, e ciò colpisce l'insieme della
popolazione, ma ancora non ce ne accorgiamo. Per ora, sono i nomadi
e alcune altre categorie, cosiddette marginali, che fanno da capri
espiatori», avverte, dal canto suo, José Brun, dell'associazione
Regards, e capo del progetto di Tzigane-Habitat, nel dipartimento
della Indre-et-Loire, nel centro della Francia. «Tutto diventa più
difficile: trovare terreni, trovare finanziamenti. Nessun progetto
riesce a passare. Tutto è bloccato. Stiamo riproducendo vecchi schemi.
Ci lasceranno le foreste inacessibili, i terreni facilmente allagabili,
quelli che nessuno vuole, i luoghi di confino».
Con voto definitivo del 12-13 febbraio 2003 della camera dei deputati
che ne ha ulteriormente aggravato alcuni aspetti, e del senato, la
legge per la sicurezza interna si incentra espressamente, per i suoi
articoli 19 e 19 bis riguardanti le popolazioni itineranti, sull'applicazione
della legge Besson del 5 luglio 2000, ritardata e contestata, già
prima della sua attuazione, da un certo numero di sindaci, in particolare
nell'Ile-de-France.
Una cultura nomade in pericolo
Questa seconda legge Besson imponeva a tutti i dipartimenti di dotarsi
entro diciotto mesi (ossia al più tardi entro il 1° gennaio 2002)
di un progetto per l'accoglienza dei nomadi, predisposto dal prefetto
e dal presidente del Consiglio generale, di concerto con i rappresentanti
dei comuni interessati (comuni di oltre 5.000 abitanti), dei nomadi
e delle associazioni, riuniti in commissione consultiva (5). In caso
di non rispetto delle scadenze, il prefetto poteva teoricamente adottare
da solo il progetto e realizzare l'area prevista a nome e per conto
del comune.
Nulla di tutto ciò si è verificato. «Il dispositivo delle aree di
accoglienza è certo avviato - dicono al ministero per gli alloggi.
La concertazione si è rivelata necessaria con i sindaci, tanto più
che, senza la loro cooperazione, la messa in opera sarebbe stata
impossibile. Ma, questa volta, i progetti dipartimentali dovevano
essere firmati entro fine febbraio. Il ministro ha chiesto che lo
fossero. Segno della volontà del governo di metterli in opera». Eppure
sul campo nessuno ci crede, perché la legge Sarkozy ha piuttosto
per effetto di rafforzare l'ostilità dei sindaci nei confronti della
legge Besson.
E quest'ultima è pochissimo applicata. Nella regione di Parigi, sono
stati creati 560 posti in dieci anni, mentre le esigenze vanno da
6.000 a 8.000. Per la totalità del territorio francese, ci sono attualmente
soltanto 10.000 posti disponibili (8.000 secondo l'Areat), mentre
si valuta che ce ne vorrebbero 60.000 (30.000 secondo l'Areat). Questa
diversità nelle cifre è dovuta alla stima stessa della popolazione
zingara, che varia da 300.000 a 800.000 persone - secondo le associazioni,
poiché il censimento, ritenuto discriminatorio, non è autorizzato.
Il numero insufficiente di aree di accoglienza genera un'altra pesante
disfunzione: i sindaci che si sono impegnati hanno spesso incontrato
più problemi di quelli che non hanno predisposto alcuna area. In
una situazione in cui gli spazi scarseggiano, i sindaci hanno dovuto
affrontare un flusso eccessivo sulla propria area di stazionamento,
e le difficoltà sono sorte proprio là dove si sperava di risolverle.
Tensioni con gli abitanti, problemi di scolarizzazione, allacciamenti
selvaggi per acqua ed elettricità, degrado: è chiaro che a essere
soprattutto in causa è la cattiva gestione collettiva degli itineranti.
Il secondo progetto, quello delle abitazioni, poggia per ora, come
si è visto ad Arles, soltanto sulla volontà locale, al di fuori di
ogni finanziamento appropriato, a parte quello della legge relativa
alla solidarietà e al rinnovamento urbano (detta legge Gayssot, votata
il 13 dicembre 2000) (6), in particolare nella regione di Parigi.
Eppure, tutti i progetti realizzati affrontano la questione dei terreni
familiari e delle abitazioni miste. «Si tratta di un nuovo piano
di lotta contro le esclusioni - spiegano al ministero degli alloggi.
In una fase di transizione, bisogna che i nomadi possano fermarsi
in un luogo per accedere ai diritti, alla scuola, alle cure. Non
è una sistemazione definitiva, è piuttosto un legame, un punto di
ancoraggio geografico dove sanno di poter andare in caso di necessità.
Avere una abitazione non significa smettere di viaggiare».
Luc Monnin che è un architetto indipendente e creatore di uno dei
primi progetti di ri-alloggiamento riuscito a Tolosa (Ramonville,
1989), è più drastico: «La sedentarietà è una realtà spaziale, ma
non sociale. È una risposta a una patologia, a una situazione psicologica
di stress, di igiene insufficiente, di cattive condizioni di vita.
Una volta risolta questa patologia specifica dello stato di precarietà,
e una volta correttamente ri-alloggiati, gli zingari ritrovano la
propria capacità di sviluppo. L'obiettivo della sopravvivenza è superato
e essi sono in grado di viaggiare di nuovo per vari mesi all'anno».
Dunque di salvaguardare, nonostante la progressiva scomparsa di alcune
loro tradizionali attività (ferri battuti, impagliatura, lavori legati
al raccolto), questa cultura nomade che coniuga «pluriattività e
stagionalità». Con la comparsa di attività nuove, come l'intonacatura
delle case, i lavori di ridipintura, la riparazione di strumenti
chirurgici, di apparecchi di manutenzione...
Fondamentalmente, rimane il fatto che, in contraddizione con il
concetto repubblicano di cittadinanza, i nomadi restano una minoranza
dentro lo stato e che la Francia è uno dei pochi paesi occidentali
che impongano agli itineranti documenti amministrativi come il «carnet»
e il libretto di circolazione, rinnovabile ogni tre mesi, sul quale
figurano informazioni specifiche come la carnagione della pelle o
il nome dei genitori. Una discriminazione all'interno della discriminazione
che, come spiega la sociologa Jacqueline Charlemagne, «crea differenze
all'interno stesso di questa popolazione: la gente che vive in uno
stato di estrema precarietà (stagionali, venditori ambulanti) riceve
un "carnet" di circolazione; gli altri, meno marginalizzati (iscritti
ai registri del commercio, salariati), beneficiano di un libretto».
Circostanza aggravante: nel momento stesso in cui un rapporto del
Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp) rivela lo stato
di fame e di povertà generalizzata nelle minoranze rom dei futuri
stati membri dell'Unione europea (si legga il box alla pagina precedente),
l'afflusso di queste minoranze contribuisce a destabilizzare, in
Francia, uno statuto già fragile. Inoltre, fornisce, in un contesto
di vecchi stereotipi, un pretesto per amalgami in cui non si riconosce
né chi viaggia, né chi è stanziale o semi-stanziale, tutti cittadini
francesi da più generazioni. E alimenta altri conflitti, tra comunità
questa volta, in un momento in cui è importante che esse si federino.
Tanto più che il fenomeno pentecostale (7), apparso negli ultimi
vent'anni, ha profondamente alterato i vecchi equilibri. «L'associazione
Vie et Lumière ha un enorme potere - ammette José Brun. Essa è l'unica
in grado di riunire 70.000 persone in un unico incontro. La sua forza,
contrariamente alla Chiesa cattolica che ha "perso il treno", è che
tutti i pastori sono gente che viaggia».
Vie et Lumière in Francia conta non meno di 1.300 pastori (nessuno
dei quali stanziale), tutti riconosciuti dalla Federazione protestante
di Francia. Ritenuta da alcuni settaria, da altri mafiosa, questa
polarizzazione presenta in ogni caso un pericolo molto evidente:
quello della chiusura culturale e spirituale, laddove l'apertura
è più che necessaria.
La mancata autonomia delle donne
Ad esempio, sebbene fingano talvolta di incoraggiarne la frequentazione,
i pastori diffidano dell'insegnamento pubblico - che secondo loro
favorisce troppo l'apertura verso il mondo esterno. La maggior parte
di essi preferiscono che le popolazioni che viaggiano, di cui si
sono incaricati, rimangano sotto la loro influenza. Se emerge una
nuova generazione, più aperta, i pastori della vecchia generazione
restano spesso retrogradi. Molto gelosi dei propri costumi, della
propria cultura, essi temono che, andando a scuola, le donne e le
ragazze acquisiscano un po' di autonomia. Eppure è risaputo quanto
la questione della conquista dell'autonomia da parte delle donne
sia cruciale per l'evoluzione di tutto il gruppo.
Da un altro lato, giovani zingari come Vincent Ritz e José Brun (31
anni), dell'associazione Regards, o l'avvocatessa Céline Larrivière,
dell'associazione Les gens du voyage - associazioni tutte composte
integralmente da nomadi - rappresentano un futuro ancora incerto,
ma reale. «Noi vogliamo manifestare la nostra esistenza, portare
uno sguardo diverso, esprimere il nostro modo di vedere, anche se
a volte il nostro discorso può disturbare». Il rimprovero più frequente
rivolto a queste giovani associazioni non sovvenzionate («il che
costituisce una garanzia di indipendenza») è di non essere rappresentative:
«Noi parliamo di legittimità, non di rappresentatività - rispondono.
Sta a noi formare architetti e quadri per il domani».
Nonostante tutto, queste associazioni vogliono andare avanti insieme,
anche con Vie et Lumière. «Non bisogna lasciarsi influenzare da quanti
vedono con cattivo occhio l'emergere del protestantesimo. L'idea
nostra è di conservare la parte essenziale della cultura, di salvaguardare
l'identità pur sapendo aprirsi al mondo esterno. Accantonare le differenze.
Progredire insieme, prendere in considerazione tutti i meticciati,
federare tutti gli zingari, siano essi nomadi, stanziali o semistanziali,
manouche, rom, gitani, sindi o altri, sia che vivano nel nord o nel
sud della Francia, che siano cattolici, protestanti, evangelici o
laici. Senza disconoscere per questo l'utilità delle associazioni
che da tempo lavorano "presso" i nomadi. Ma senza nemmeno esitare
a rimettere in causa il loro neo-paternalismo». Chi oserà a questo
punto dare agli zingari del «ladri di galline», a parte gli stessi
zingari, per derisione?
note:
*Giornalista, Parigi.
(1) Creata nel 1996 dal fotografo Mathieu Perneto, che ha pubblicato
vari volumi sui rom di Arles e sul campo di Saliers, l'associazione
ha molto contribuito alla sensibilizzazione verso i problemi delle
famiglie rom più disagiate. Conduce azioni nei settori dell'educazione,
della salute e della casa.
(2) Creata nel 1968, Areat si occupa in particolare di trovare alloggi
per gli zingari, della sistemazione e della gestione delle aree di
accoglienza, ed esplica attività di formazione, di studi e di consulenza
nel campo socio-educativo (2 rue de la République, 13001 Marsiglia).
(3) Votata definitivamente il 13 febbraio 2003, la legge Sarkozy
comporta molti attentati alle libertà fondamentali, con il pretesto
di rafforzare la sicurezza interna e stroncare la delinquenza crescente.
(4) Angvc, Arpomt, Artnf, Asdt, Centre culturel gitan, Études tziganes,
Les Français du voyage, Onat, Regards, Unisat, Uravif.
(5) Per l'attuazione di questi progetti, che determinano le zone
di insediamento delle aree, che possono essere comunali o inter-comunali,
il governo Jospin aveva previsto uno stanziamento di 1,7 miliardi
di franchi su 4 anni per le sovvenzioni all'investimento e aveva
portato la loro quota dal 35% al 70% del costo dei lavori. L'aiuto
alla gestione delle aree è di 1.660 euro per anno e per posto, ossia
circa 50 milioni di euro all'anno. I comuni hanno due anni per realizzare
le aree dopo la pubblicazione dei progetti.
(6) Il cui articolo 55 costringe i comuni di oltre 50.000 abitanti
a costruire alloggi sociali per raggiungere, entro i prossimi vent'anni,
una proporzione del 20% dell'insieme delle abitazioni, pena l'imposizione
di multe. Il governo Raffarin ha rimesso in causa in particolare
questa disposizione.
(7) Apparso all'inizio del XX secolo tra i metodisti neri negli Stati
uniti, il pentecostalismo conta oggi 150 milioni di credenti, sparsi
in tutti i terzi-mondi. La sua specificità dottrinale consiste nel
considerare come attuali i doni dello Spirito santo - «parlare in
lingue» (un'espressione verbale apparentemente incomprensibile che
si vuole lode di Dio), guarigione, profezia, esorcismo - così come
figurano nel racconto della Pentecoste degli Atti degli apostoli.
(Traduzione di M. G. G.)
|
aa
|
|
qq |
Neo
imperialismo
Ignacio Ramonet
Il caos
del dopoguerra
Catherine Samary
La rivincita
dei giudici di Atene
Gilles Perrault
Pulsione di morte
Valerio Evangelisti
Il fragile statuto
degli zingari francesi
Chantal Aubry
Legge sulla sicurezza
interna, articoli 19 e 19bis
Un rapporto preoccupante del Undp sui rom
dell'Europa centrale e orientale
Vichy e la memoria dei nomadi
Regressione democratica
nel paese basco spagnolo
Cédric Gouverneur
Un quarto di secolo dell'Eta
Crimini e menzogne
di una «guerra di liberazione»
Alain Gresh
La strategia della confusione infinita
Alain Joxe
Un'aggressione contro la civiltà
May Muzaffar
Quando gli americani volevano governare la Francia
Annie Lacroix-Riz
In nome del «destino manifesto» degli Stati uniti
Maurice Lemoine
Convenzionali o di distruzione di massa, le armi uccidono i civili
Chantal Bismith e Patrick Barrot
Massacro nelle Filippine
Il G8, un club di ricchi
molto contestato
Gustave Massiah
L'ordine mondiale secondo
John Maynard Keynes
James K. Galbraith
L'Unione europea
è malata di atlantismo
Bernard Cassen
Un biglietto d'ingresso
costoso per Praga
Karel Bartak
I pensionati traditi dai fondi pensione
Martine Bulard
I campi della sete del Sudan
Fabienne Rose Emilie Le Houerou
Eruzione annunciata
del vulcano boliviano
Walter Chávez
Una nuova sinistra all'offensiva
W. Ch.
Il teatro
della memoria
Il monopolista degli ultracorpi
Daria Lucca
Notizie dal fronte - Robert Fisk
Veronica Raimo
Rifugiati - Nuruddin Farah
Francesco Longo
Il quarto secolo - Édouard Glissant
Geraldina Colotti
Berlin La città delle pietre - Jason Lutes
Stefano Liberti
Omofobia a cura di Paolo Pedote - e Giuseppe Lo Presti
Ornella Bellucci
Classi meticce Giovani, studenti, insegnanti nelle delle migrazioni
- a cura di E. Fravega e L. Queirolo Palmas
Mattia Diletti
|