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Da La Repubblica del 18 Dicembre 2000

Lega, sfila la paura "No all’orda islamica"

E l’Ulivo diventa "Servo del Corano"

PIERO COLAPRICO -

I «cattivi» in fondo al corteo, a invocare la «Secessione», abolita dal nuovo corso leghista, o a gridare gli antichi slogan dell’origine, come «Il 25 aprile è nata una puttana, Repubblica italiana». Sono i «Volontari», gli studenti, i giovani. Ma al resto del corteo, una massa tra le 10 mila e le 15 mila persone, ogni gruppo con il proprio striscione, questi discorsi di spaccatura istituzionale non paiono interessare più di tanto: «Salam, Salam, governo dell’Ulivo sei servo dell’Islam», questo lo slogan più gettonato del corteo di ieri. Insieme al futuribile «Con la legge BossiBerlusconi, clandestini fuori dai coglioni». I neofascisti di «Destra per Milano», che avevano annunciato la partecipazione inneggiando all’accoppiata BossiHaider, se ci sono, non si vedono. Immigrazionesicurezza è il binomio che riscalda, nella domenica più fredda di dicembre, il popolo leghista. Strano popolo, per chi è abituato ai comizi: marciano compatti dalle 11 alle 13, sfilano nel centro della città, dal palazzo di Giustizia a Largo Cairoli, a volte elevando il «Va pensiero», a volte le canzoni dialettali che si sentono ormai solo all’osteria, ma alle 12.30, ben prima che Umberto Bossi cominci a parlare, si disperdono per Milano. Sarà che è nelle valli è già passata l’ora di pranzo, sarà che è il Natale dello shopping, ad ascoltare il lunghissimo e molto politico Senatur non resteranno in tantissimi. Larghi spazi sotto il monumento a Garibaldi. Se i toni più d’una volta sono volgari, la manifestazione resta sempre pacifica. A tratti, quasi rilassata, i gruppi perdono contatto l’uno dall’altro, c’è chi improvvisa corse a rotta di collo, come gli «Universitari Padani», chi intona ritornelli alla Cochi e Renato. La sfilata è continua: «Siamo i soliti quattro gatti, eh?», è lo sfottò per i cronisti che contano i cartelli. Dopo qualche manifestazioneflop, sono state chiamate a raccolta tutte le sezioni, e si vede. Svetta la bandiera di Dino Macchi, segretario di Vedano Olona, «l’unica con l’Alberto da Giussano», dieci metri di «materiale che usa l’Enel per l’alta tensione», una specie di vela su un mare di cartelli. Un’anziana, magra come il fil di ferro, gira e volta un casalingo rettangolo con un triplice invito: «Clandestino va a Ciampi…No. ExtraCee: va dà via i pee. Vu cumprà: va a cagà». Un signore in cappottone da bulgaro è l’unico che sceglie una vignetta. Si vede una guardia svizzera davanti a una fila di poveracci di ogni parte del mondo. In alto la scritta: «Il Papa dice: accoglieteli. Noi abbiamo scelto di abitare in Vaticano». Corre un cane vestito di verde e con in testa un cappellino da Babbo Natale, un altro, razza bretone, con un «collare padano» è al guinzaglio di una signora di Torino. Aquile bifronti e gialle della Mitteleuropa intorno a una nave di cartone con a poppa la scritta «Padania». Molti gli striscioni in dialetto, molti gli slogan che la Lega non vuole si definiscano xenofobi. Eccoli: «Marocchino Mussulmano, vai fuori da Milano»; «Vogliamo sentir suonare le nostre campane, non essere sommersi da orde mussulmane»; «Trafficante albanese, torna al tuo paese». C’è chi canta, come allo stadio: «Come mai, come mai, le nostre case agli extra e niente agli operai?». E qualcuno vibra per una sfumatura poetica più sofferta: «Milano ritorni alle mamme e ai bambini, leviamoci dai piedi questi clandestini». Ma è una sola parola, ritmata, che basta a provocare sonore ondate di entusiasmo: «Espulsioni». E ogni tanto, rimbomba una domanda al megafono: «Chi siamo noi?». «Padani», risponde il coro, allargando il più possibile le "a". Preceduti dallo slogan della sezione «XV settembre», e cioè «Governo romano, servo del Corano», fanno un po’ tenerezza i leghisti arrivati dalla Capitale: «Siamo venuti in cinquanta esatti». Sentono parlare solo di Padania, di popoli del Nord, vedono spesso cartelli con «Roma ladrona», o «Basta Roma». Assicurano di non sentirsi come topi che fanno tifo per i gatti: «Non c’entra la città, ce l’avemo col Governo, con le istituzioni. Siamo qui a protestare perché stanno creando un’invasione di clandestini e non è questa Italia multietnica che noi vogliamo lasciare ai nostri figli».