«Cosa fate là fuori? Entrate, questa è la casa di Dio,
la casa di tutti». Il vescovo accoglie in Duomo i quaranta marocchini
sfrattati, bivaccanti davanti alle porte della chiesa. Li sistema
nella cappella della Madonna, sulla destra, c'è spazio . All'ora
della messa, predica ai fedeli indicandoli: «Cristo è venuto sulla
terra per dare scandalo. Questi sono i poveri cristi di oggi, i
beati ultimi, nostri fratelli, uomini donne e bambini sulla strada
perché nessuno vuole affittargli una casa. Che vergogna, che peccato
mortale per tutti noi!».
Eh, magari: son cose da «Miserabili». Questo è il sogno che avevano
fatto Michele, Sergio, Laila, quando le ruspe del comune hanno
raso al suolo le case popolari occupate da una comunità di marocchini,
e hanno deciso di portarli ad abitare simbolicamente davanti alle
porte del Duomo. Adesso è il terzo giorno, è domenica mattina,
il vescovo Paolo Magnani ha appena finito di celebrare la messa
grande, decide di uscire, di vedere: «Dove sono?». Là in fondo,
eminenza. «I bambini, dove sono i bambini?». Qua, in braccio alle
mamme. «Adesso diamo le caramelle ai bambini. Tieni, prendi le
caramelle. Tieni, prendi». Ha la mano piena di caramelle, le tasche
sotto la stola piene di caramelle. Al bambino: «Tò, la caramella».
Alla mamma, rapido: «Io sto facendo molto, spero di aiutarvi,
non dovete star qui in eterno». Al bambino: «Prendi la caramella,
è buona». Alla mamma: «Penso a voi, non crediate che io sia indifferente.
Nel giro di due-tre giorni spero che tutto sia risolto». Al bambino:
«Ecco, prendi le caramelle». Alla mamma: «Ma non lasciatevi tirare
a forme estreme».
Povero vescovo. Che colpe ne ha, lui? L'hanno preso in mezzo.
Gli immigrati, e quei ragazzacci no global dell'«M21», gli dicono:
«Trovaci una casa». I leghisti, che governano Treviso con lo sceriffo
Gentilini, gli dicono: «Giusto, trovagliela tu». Il più insistente
è il senatore Piergiorgio Stiffoni. Che da una parte vede rosso:
«Hanno un bel coraggio, questi, ad occupare il Duomo. A Casablanca
li avrebbero già gettati in mare. Il Duomo di Treviso non è mai
stato occupato, mai! Neanche dai nazisti! Neanche da Napoleone,
che aveva portato i cavalli dentro Santa Caterina!». Dall'altra
rispolvera antiche ruggini con monsignor Magnani: «Quello non
è un vescovo, è un agente immobiliare. La curia possiede condomini
interi, tutti affittati a caro prezzo, e sta anche molto attenta
a chi li dà, solo gente solida, coppie sposate con redditi fissi.
Vediamo un po', se ne affitta qualcuno agli immigrati». E il sindaco?
Gentilini esterna da una festa leghista: «Dietro la protesta c’è
una cospirazione bolscevica! Non vogliamo casbe in città! Gli
immigrati annacquano la nostra civiltà, la nostra razza Piave!».
Che città, la Treviso del terzo millennio. Bellissima. Sotto
il vestito, niente. Vive di immigrati, e li teme. Giovedì i marocchini
sono entrati in duomo per due ore. Si è scatenata la rabbia: «Profanazione!».
Il vescovo ha dovuto quietare, «non c'è stata profanazione». Adesso
il pronao, saliti dieci gradini, sotto sei gigantesche colonne,
è un limbo. Una quarantina di marocchini, uomini e donne, bambini
e ragazzi. Stuoie colorate per terra, per dormire. Bottiglie d'acqua
e angurie, trapunte luride e vecchie coperte. Odori acidi, marmi
lerci. La vita non è fatta di rose, quando ti demoliscono la casa
sulla testa, togliendoti anche il resto, abiti, piatti, mobili
che stavi comprando a rate, saponi, dentifrici, pannolini. Da
questo piccolo monte Nebo, scrutano come Mosè la terra promessa.
Non gli serve una valle di latte e di miele, gli basta un buco
per dormire, come a Giuseppe e Maria. Per di più, pagando.
Rari fedeli gli passano accanto scantonando, per andare a messa.
Gli ingressi del Duomo sono vigilati, è nato, con tanto di badge,
un improvvisato «servizio d'ordine» cattolico, ragazzi e qualche
adulto possente. Il sacrista sorride: «Da giovedì la gente non
viene. Hanno paura. Arrivano solo turisti». Entra una signora
anziana: affitterebbe la casa ad un marocchino? «Mai! Io la casa
me la sono fatta coi miei soldoni, lavorando una vita; se la facciano
anche loro». Un'altra: aiuterebbe i marocchini? «Se vogliono del
pane, lo do: non sono cattiva. Altro, no». Due pensionati: «Dovrebbero
passare quello che abbiamo passato noi in miniera, prima di protestare».
«Io vorrei occupare una moschea, e poi vedere cosa succede». Un
giovane scout: «Hanno ragione a protestare, ma sono strumentalizzati.
Mi dà fastidio che occupino proprio la chiesa».
Predica, in una chiesa semipiena, del vescovo: «La differenza
di fede con gli islamici è irriducibile, non è irriducibile essere
tutti persone che nascono, muoiono, soffrono». Raccoglimento finale:
«Per coloro che non hanno un alloggio, affinchè trovino persone
accoglienti e disponibili, preghiamo». Don Giorgio, il parroco,
si appella: «Se qualcuno sa di qualche casa libera. . .». Nessuno
sa.
Che lavoro sta facendo, sotto sotto, la Chiesa? Quello che toccherebbe
alla politica. Venerdì il vescovo ha cercato il sindaco Gentilini:
«Non si è fatto trovare». El vècio alpìn, il marshall Genty, ha
zero intenzioni di pensare agli immigrati, se non per sbatterli
via. Ha sostenuto la tesi che gli immigrati non risiedono a Treviso,
dunque non è affar suo. Lorenzo Biagi, portavoce del vescovo,
ridacchia: «In comune dicono che sono marocchini di Venezia! Sono
di Borgo Venezia, che è un quartiere di Treviso». Monsignor Magnani
è passato al prefetto; ha trovato il vice. Oggi, dovrebbe esserci
un incontro.
I marocchini aspettano, testardi. Per una notte le donne e i bambini
sono andati in case di amici per lavarsi, riposarsi un po'. Tre
sono state ospitate dalla gente di «M21». Solo una, dalla classica
«cittadina qualsiasi» di buon cuore, fattasi avanti spontaneamente:
Carmela Cocco, pensionata. Attenzione: l'unico esemplare solidale
vive a Treviso, ma è veneziana purosangue. Tanto per restare in
tema: altra razza. Dice: «Per prima cosa, mi sono scusata con
loro in quanto italiana». Sotto le colonne passano preti dei migranti,
attori come Paolini, politici un po' convinti un po' spiazzati,
vecchi partigiani. «Sono qui perché è giusto esserci», dice il
segretario regionale diessino Cesare De Piccoli. E Giampaolo Sbarra,
il diessino avversario storico di Genty in comune: «Le case sfitte
ci sono, gli immigrati possono pagare, bastava che il comune si
attivasse per costituire un fondo di garanzia per rassicurare
i privati. Ci stavano anche gli industriali. Il comune non ha
voluto. Questi problemi non si risolvono perché fa comodo perpetuare
il gioco delle parti: tu occupi, io sgombero, tu sgomberi, io
occupo».
Arriva una ragazza albanese, eccitata: «Questi fare furbi, vuole
soldi solo per bere. Io qui da un anno e ancora no permesso, che
paura hanno di me?». Mohamed, camionista da Rabat, il più anziano
coi suoi 46 anni, spiega paziente: «Io sono in Italia da 24 anni,
ho moglie,quattro figli, guadagno un milione e seicentomila al
mese. Per affittarmi un monolocale chiedono un milione e trecentomila.
Abbiamo vissuto un anno in un furgone, prima di occupare quelle
case, che erano del comune, vuote, senza finestre». Amin, uno
dei figli, che fa le superiori e parla in trevigiano, s'infiamma:
«Quele case non gèra da buttar giù. L'hanno fatto solo parchè
gerimo marocchini». Dal Duomo esce un comunicato ufficiale: «Sofferenza,
disorientamento» per l'occupazione, ed insieme condanna del modo
in cui Treviso calpesta la dignità degli immigrati; per la loro
esistenza, finalmente sbuca il termine giusto: «un calvario».