IL RACCONTO
/ La gente litiga davanti alla chiesa occupata
tra preoccupazioni degli industriali e appelli della Curia
Il
sindaco e la "razza Piave"
sul sagrato la città si divide
dal
nostro inviato PAOLO RUMIZ
MACCHÉ razza Piave, cervello di gallina! La
vera razza Piave teneva sempre in casa una pignatta di polenta per
i povareti!". Sole alto, caldo boia; davanti al sagrato del Duomo
la cattolica Treviso si sbrana sotto gli occhi dei musulmani. "Prova,
prova ti, mona, a occupar una moschea! I arabi te taia la gola!".
I marocchini sfrattati dalle ruspe guardano il pandemonio ai loro
piedi. Non avrebbero mai sperato tanto. Per strada non si parla
d'altro. La città che ha sempre cloroformizzato i conflitti si abbandona
a risse contradaiole, si estenua in incredibili autoanalisi a cielo
aperto. E la razza Piave resta nuda davanti a se stessa e alle sue
contraddizioni. Senza più la mediazione della politica. Piazza dei
Signori, ore tredici. "Che i vada via! I consuma el nostro gas,
la nostra acqua, i porta malattie!" ringhia un pensionato. "Si vergogni
- replica un camionista - le piaceva quando gli svizzeri dicevano
le stesse cose di noi?". Risposta: "Intanto mi no son più paròn
a casa mia". L'altro, imbestialito: "Qua bisogneria investir la
tredicesima per comprar un mitra". La temperatura sale, sopraggiungono
tre leghisti doc. "La tolleranza fa confusiòn!", sbotta uno.
E un altro: "Che se li prenda la Curia questi signori.
I preti sono pieni di case, perché non offrono le loro, invece di
predicare solidarietà ad altri?".
Nel suo ufficio, il sindaco Gentilini Gianfranco grida al telefono
come Capitan Fracassa. E' incazzatissimo con tutti: col vescovo,
gli industriali, la prefettura. Sono loro che hanno aperto la strada
al "complotto comunista" che manda gli stranieri a costruire uno
stato nello stato per uccidere l'identità veneta. Ormai, è a fine
mandato e lui delle mediazioni se ne fotte. Il podestà-sceriffo
ha un credo semplice, elementare e rotondo. Si riassume in un bisillabo:
"Fora", fuori. Chi? La risposta è un altro bisillabo: "Lori". Loro.
Cioè tutti quelli che non sono "noialtri", la mitica razza Piave.
E' gasato il sindaco che ha mandato le ruspe contro i marocchini.
Non gliene frega niente se Forza Italia e persino An chiedono prudenza.
Il suo telefono frigge di congratulazioni. La rocciosa segretaria
biondo platino impugna la cornetta come una "P 38". La Destra è
in linea. Spara: "Gentilini non mollare", "Sindaco sei un baluardo",
"Se cali le braghe, l'Italia è perduta". Interurbane da Cuneo, Milano,
Bergamo, Piacenza. Telegrammi da tutto il Nord. Lo sceriffo scintilla
di soddisfazione e brillantina. A Radio Padania ha appena cantato
la stirpe del Nord, che ha portato "ideali in tutto il mondo, ingoiando
rospi e quarantene". Ora inneggia alla legge Bossi-Fini, che metterà
le cose a posto.
A settecento metri, a due passi dal ponte Garibaldi sul fiume Sile,
anche il presidente degli industriali Sergio Bellato risponde al
telefono. Dev'essere un "comunista", perché risponde a chiamate
di tutt'altro tenore. In linea ha industriali di tutt'Italia, preoccupatissimi.
Dicono: la Bossi-Fini "fa schifo". Hanno paura che saltino le mediazioni.
Temono che si consumi uno strappo che blocchi la locomotiva del
Nord. Dicono: "Se gli immigrati vanno via, si ferma tutto. Concerie,
macelli, allevamenti, tessile, ristorazione, pulitura strade, carrozzerie,
servizi, turni di notte". E gli industriali, confessa Bellato, sono
stufi di essere sotto processo. "Se facciamo le case per gli immigrati
ci accusano di fare ghetti criminali, se non gliele facciamo ci
dicono di fare lo scaricabarile".
Anche la Curia non ne può più delle accuse di Gentilini. Per Don
Giuliano Vallotto, che ha la delega del vescovo per gli immigrati,
gli uomini di Bossi hanno dimostrato di appartenere a "una cultura
pagana e fascista". E Lorenzo Biagi, portavoce della Diocesi: Treviso
è stata schiacciata dal "cliché" di Gentilini e dal "tappo" della
Lega. "Questo sindaco è stato un megafono dei mali di pancia della
società e non delle sue più nobili spinte al cambiamento. La realtà
è diversa, la provincia è piena di stranieri accettati e integrati.
Soprattutto nelle scuole viviamo una fase di grande sperimentazione".
Sul sagrato le donne marocchine spazzano il pavimento con acqua
e detersivo; un piccolo atto di rispetto alla città e alla chiesa.
Il signor Dafani Mohammed è autista di camion, è da 24 anni in Italia
e da 15 anni ha regolare permesso di soggiorno. Spiega in perfetto
italiano: "Non vogliamo case gratis. Il problema è che se i datori
di lavoro non ci danno una mano, le case sul libero mercato sono
inabbordabili per noi". Ha mani grandi, piene di rughe, da spaccalegna.
Sembra anche lui una razza Piave. E, occupando il sagrato, non sa
di avere rispettato una tradizione locale. Nessuno gli ha mai detto
che è dai tempi del Beato Enrico da Bolzano che qui i senza casa
vanno a dormire sotto il Portego del Vescovo.
"Fora!", tuona Gentilini dei parassiti. Poi, appena scavi, tutto
si rovescia. Sarà magari un caso, l'avranno magari studiata i comunisti,
ma l'unico dei 24 sfrattati che non lavora è... l'unico italiano
del gruppo. E' un sardo, tristissimo. Con la barba non fatta, pare
il più extracomunitario di tutti. Che tempesta nell'identità di
Treviso. "La vera immigrazione che ha rubato l'anima alla città
- racconta il giovane storico Alex Casellato - è semmai quella recente
dei campagnoli veneti che hanno fatto saltare la leadership della
nostra grande borghesia urbana, laica e risorgimentale. Quella razza
Piave è morta davvero. E' stato Gentilini a celebrarle il funerale".
(27 agosto 2002)
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