Le principali modifiche contenute nel disegno di legge sull’immigrazione e l’asilo approvato dalla Camera dei deputati il 4 giugno 2002.
(20/06/2002)
Il 4 giugno 2002 la
Camera dei deputati ha licenziato il testo del disegno di legge
sull’immigrazione e l’asilo, con diverse modifiche rispetto al testo trasmesso
dal Senato (all’esame della Camera con il n. 2454). Il disegno di legge è stato
quindi trasmesso nuovamente al Senato, dove riprende l’esame con il n. 795-B.
Se il testo verrà approvato senza modificazioni, sarà trasmesso al Presidente
della Repubblica per la promulgazione e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
In caso di nuove modifiche apportate dal Senato, il d.d.l. dovrà tornare alla
Camera per una nuova votazione.
Si analizzano di seguito le principali novità rispetto al primo testo approvato dal Senato
(n. 795-A)
Viene accentuato il vincolo tra la predisposizione e prosecuzione di
programmi per interventi non a scopo umanitario nei confronti di Paesi non
appartenenti all’Unione europea, e l’impegno dei Paesi destinatari della
cooperazione e degli aiuti nel prevenire l’emigrazione illegale, il traffico degli esseri umani e il rientro illegale in territorio
italiano di cittadini
espulsi. Rispetto al testo votato dal Senato, l’impegno dei Paesi terzi viene
richiesto non solo per combattere le organizzazioni criminali operanti
nell’immigrazione clandestina (oltre che nello sfruttamento della
prostituzione, nel traffico di stupefacenti e di armamenti) ma nella prevenzione
e repressione dei flussi migratori illegali tout court. L’adozione su scala europea di misure di questo
genere è stata recentemente discussa, non senza contrasti, dai Ministri della
giustizia e degli interni dell’UE, riuniti a
Lussemburgo il 13 giugno, in preparazione del vertice di Siviglia dei Capi di Stato e
di governo dell’Unione, in programma per il 21 e 22 giugno.
Con il rilascio del visto d’ingresso, è previsto che le
rappresentanze diplomatiche o consolari italiane rilascino una comunicazione
scritta che illustri i diritti e i doveri dello straniero relativi all'ingresso ed al soggiorno in Italia.
Oltre ai motivi di esclusione dal rilascio del visto già
previsti dalla legge in vigore (mancanza dei requisiti, motivi di ordine
pubblico o di sicurezza dello Stato italiano o di uno dei Paesi Schengen), sono
esclusi dal rilascio del visto anche tutti gli stranieri che abbiano riportato condanna
penale, anche a seguito di sentenza “patteggiata”, per uno dei delitti per i
quali l’art. 380, commi 1 e 2, cod. proc. pen. prevede l’arresto obbligatorio
in flagranza,
ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento
dell’immigrazione clandestina verso l’Italia o dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso
altri Stati, il reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della
prostituzione o di minori da destinare ad attività illecite. La norma non distingue né tra le
diverse tipologie d’ingresso, né in relazione alla gravità e/o al numero dei
reati commessi, introducendo così un criterio di esclusione automatica che
opera anche in casi in cui il rilascio del visto deriva dal riconoscimento di
un diritto di carattere fondamentale (ricongiungimenti familiari).
Il decreto con il quale il
Presidente del Consiglio dei ministri stabilisce annualmente le quote massime di stranieri da
ammettere nel territorio dello Stato per lavoro subordinato, stagionale e
autonomo, dovrà essere definito entro il termine del 30 novembre di ogni anno,
come già previsto nel testo approvato dal Senato. In caso di mancata
pubblicazione del decreto di programmazione, l’adozione da parte del Presidente
del Consiglio di un decreto transitorio, nei limiti delle quote stabilite per l’anno
precedente, diventa facoltativa.
Per converso, la prevista “possibilità” di introdurre nel decreto
flussi restrizioni all’ingresso di lavoratori provenienti da Stati che non
collaborano adeguatamente nel contrasto dell’immigrazione clandestina o nella
riammissione dei propri cittadini rimpatriati, diviene una regola (“Nello
stabilire le quote i decreti prevedono restrizioni numeriche …”).
Il nuovo comma 4-ter dell’art. 21 D. Lgs. 286/98, introdotto con un
emendamento votato alla Camera, prevede esplicitamente la possibilità di un coinvolgimento
attivo delle Regioni nella
programmazione dei flussi di ingresso. Le Regioni potranno infatti far
pervenire alla Presidenza del Consiglio, entro il 30 novembre di ogni anno, “un
rapporto sulla presenza e sulla condizione degli immigrati extracomunitari nel
territorio regionale, contenente anche le indicazioni previsionali relative ai
flussi sostenibili nel triennio successivo in rapporto alla capacità di
assorbimento del tessuto sociale e produttivo”.
Un’importante modifica al meccanismo generale di
regolazione degli ingressi per motivi di lavoro è costituita dalla modifica
dell’art. 27 D. lgs
286/98 (ingresso per lavoro
in casi particolari), con la quale la Camera ha deciso di considerare “fuori
quota” (non rientranti quindi nel decreto annuale di programmazione dei flussi)
le assunzioni presso strutture sanitarie pubbliche e
private degli infermieri professionali.
Contratto di soggiorno.
Viene specificato che la sistemazione alloggiativa garantita dal datore di lavoro
nell’ambito del “contratto di soggiorno per lavoro subordinato” deve rientrare
“nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia
residenziale pubblica”. L’espressione impiegata richiama quella già in vigore
per l’accertamento dell’idoneità alloggiativa nella procedura del
ricongiungimento familiare. Mentre poi il testo votato dal Senato prevedeva che
l’onere relativo alla sistemazione alloggiativa ricadesse interamente sul
lavoratore, l’emendamento approvato dalla Camera ha demandato al regolamento di
attuazione di prevedere a quali condizioni i costi per gli alloggi garantiti
con il contratto di soggiorno saranno posti a carico del lavoratore.
Lo straniero che richiede il rilascio o il rinnovo del
permesso di soggiorno è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici. Si tratta come è noto di una
delle disposizioni più controverse inserite nel testo del d.d.l. dalla Camera
dei Deputati. Per bilanciare il carattere discriminatorio della disposizione,
la stessa Camera ha poi votato un ordine del giorno che, dopo aver riconosciuto
che l’approvazione dell’emendamento sulla rilevazione delle impronte digitali
comporta il verificarsi di una “non giustificata disparità di trattamento ai fini
dell’identificazione tra cittadini stranieri e cittadini italiani”, impegna il
governo ad introdurre l’identificazione tramite rilevazione dei “dati
biometrici” nella carta d’identità e nel documento elettronico per tutti i
cittadini, avvalendosi della possibilità in tal senso già prevista dall’art. 36
del d. lgs. n. 443 del 28.12.2000. Anche qualora venisse data attuazione a
questa previsione resterebbe comunque un fondamentale elemento di
differenziazione nelle finalità per cui le impronte verrebbero rilevate,
rispettivamente, per i cittadini stranieri e per quelli italiani o comunitari,
nonché nel loro utilizzo. Mentre infatti l’apposizione dell’impronta sulla
carta d’identità avrebbe la stessa finalità che ha attualmente la fotografia
(consentire l’identificazione del titolare del documento) e la raccolta e
conservazione delle impronte verrebbe presumibilmente affidata (come già
avviene per le fotografie) alle anagrafi, nel caso degli stranieri le impronte
verranno direttamente raccolte e conservate dalle autorità di polizia e daranno
luogo a periodici riscontri (in occasione quanto meno di ogni rinnovo del
permesso di soggiorno) a prescindere dall’esistenza di motivi di indagine
specifici.
Il rinnovo del permesso di soggiorno è richiesto dallo
straniero al questore della provincia in cui l’interessato dimora.
E’ stato eliminato dal testo dell’art. 24, nella parte in cui modifica il
6° comma dell’art. 40 D. Lgs. 286/98, il limite massimo del 5% che, nel testo approvato dal
Senato, era stato introdotto per l’accesso di immigrati regolarmente
soggiornanti agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Restano invariate
le altre limitazioni, rispetto al testo attualmente in vigore: in particolare,
la possibilità di partecipare ai bandi di assegnazione degli alloggi di E.R.P.
è limitata agli stranieri titolari di carta di soggiorno o di permesso di
soggiorno valido almeno due anni, e che inoltre esercitino una regolare attività di lavoro a
subordinato o autonomo.
La sanzione penale prevista nei confronti del datore di
lavoro, per l’impiego di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno,
ovvero il cui permesso di soggiorno sia scaduto revocato o annullato, viene
ulteriormente inasprita rispetto all’aggravamento già contenuto nel testo
approvato dal Senato. Mentre infatti l’attuale Testo unico (art. 22, co. 10)
prevede per tale reato la sanzione alternativa dell’arresto da tre mesi a un
anno o dell’ammenda da lire due milioni a lire sei milioni, il testo approvato
dal Senato aveva inasprito la previsione sanzionatoria, prevedendo la pena
congiunta dell’arresto da tre mesi a un anno e dell’ammenda di “2.500 euro per
ogni lavoratore impiegato” (la previsione della sanzione congiunta comporta
l’impossibilità di definire il procedimento penale con il versamento di una
oblazione, come invece era possibile secondo il sistema sanzionatorio dettato
dalla legge 40/98). L’emendamento approvato dalla Camera ha ulteriormente
inasprito l’entità della sola pena pecuniaria, con previsione di un’ammenda di 5.000
euro per ogni lavoratore impiegato. Con un’altra modifica, è stato opportunamente precisato
che l’impiego di lavoratori stranieri il cui permesso di soggiorno sia scaduto
di validità comporta illecito penale solo qualora non ne sia stato richiesto il
rinnovo, nei termini di legge.
La possibilità di rientrare in Italia “per il tempo
strettamente necessario per l’esercizio del diritto di difesa”, mediante
concessione di apposito visto,
viene estesa anche alla parte offesa, mentre il testo originario dell’art. 17
D. Lgs. 286/98 prevedeva tale possibilità soltanto per lo straniero sottoposto
a procedimento penale.
Si tratta di un’altra modifica molto controversa della disciplina
vigente, dettata dal comma 11 dell’art. 22 D. Lgs. 286/98. Sia nel testo
approvato dal Senato, sia in quello poi licenziato dalla Camera, viene
riaffermato senza modificazioni il principio secondo cui, salve le disposizioni
particolari concernenti il lavoro stagionale, “in caso di rimpatrio il
lavoratore straniero conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale
maturati e può goderne
indipendentemente dalla vigenza di un accordo di reciprocità”. Sennonché, nel
testo trasmesso dal Senato l’11° comma dell’art. 22 era stato radicalmente
modificato, eliminando del tutto la successiva previsione in base alla quale il
lavoratore che ha cessato l’attività lavorativa in Italia e lascia il
territorio nazionale ha la facoltà di richiedere la liquidazione dei
contributi versati in suo favore presso forme di previdenza obbligatoria. Eliminando dal
testo della legge la possibilità di richiedere la liquidazione anticipata dei
contributi versati si conseguiva in pratica l’effetto di ridurre la prima parte
della norma ad una mera petizione di principio, in quanto i contributi versati
dai lavoratori stranieri che lasciano l’Italia prima di aver maturato il
diritto alla pensione sarebbero stati incamerati, senza possibilità per il
contribuente straniero di chiederne in alcuna forma la restituzione. La
modifica infine approvata dalla Camera conferma l’eliminazione dal testo della
possibilità di liquidazione anticipata, ma prevede che il lavoratore straniero
possa godere dei diritti previdenziali e di sicurezza sociale “al verificarsi
della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente, al compimento
del sessantacinquesimo anno di età, anche in deroga al requisito contributivo minimo previsto dall'articolo 1, comma
20, della legge 8 agosto 1995, n. 335”.
Come è noto, il disegno di legge all’esame del Parlamento
prevede due principali restrizioni all’ambito dei possibili beneficiari del
dritto all’unità familiare. La prima riguarda l’eliminazione della possibilità
di ricongiungimento con “parenti entro il terzo grado, a carico, inabili al
lavoro secondo la legge italiana” (art. 29, comma 1, lettera d, di cui è
prevista l’abrogazione). Viene invece introdotta la possibilità di
ricongiungimento con i soli “figli maggiorenni a carico, qualora non possano
per ragioni oggettive provvedere al proprio sostentamento a causa del loro
stato di salute che comporti la invalidità totale” (nuova lettera b-bis del 1°
comma dell’art. 29: testo approvato dal Senato e confermato dalla Camera, senza
modificazioni). La seconda limitazione riguarda i “genitori a carico” (art. 29,
comma 1, lettera c), per i quali il testo approvato dal Senato prevedeva il
ricongiungimento solo “qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o
di provenienza”. La Camera dei deputati ha introdotto sul punto un parziale
temperamento dell’esclusione, prevedendo una deroga nel caso di genitori
ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano “impossibilitati al loro
sostentamento per documentati gravi motivi di salute”.
La domanda di nulla osta al ricongiungimento familiare, da presentare
presso lo sportello unico per l’immigrazione presso la prefettura-ufficio
territoriale di Governo competente per il luogo di dimora del richiedente,
dovrà comprendere la documentazione attestante i rapporti di parentela, coniugio e la minore
età,
autenticati dall’autorità consolare italiana. La modifica, già approvata dal Senato e confermata
dalla Camera, comporta il ritorno alle vecchie procedure, alle cui lungaggini e
difficoltà il sistema in due fasi previsto dalla legge 40/98 era riuscito
almeno in parte ad ovviare.
Il testo del d.d.l. lascia inalterata la previsione del 1° comma dell’art. 32 (Disposizioni concernenti minori affidati al compimento della maggiore età), dove si prevede la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, o per esigenze sanitarie o di cura, al raggiungimento della maggiore età, allo straniero che abbia beneficiato di un permesso per motivi familiari ai sensi dell’art. 31, 1° e 2° comma, e “ai minori comunque affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184”.
La concreta applicazione della norma aveva dato origine a molte difficoltà e prese di posizione, a fronte di un’interpretazione restrittiva del Ministero dell’interno, che da un lato ha finito per privilegiare in molti casi (ad es.: minori affidati in Italia a parenti entro il IV° grado; minori non accompagnati sottoposti a tutela) la concessione del permesso “per minore età” (art. 28, co. 1, lett. a, d.P.R. 394/99) anziché per motivi familiari ai sensi dell’art. 31, dall’altro ha escluso la possibilità di far rientrare tali permessi nella previsione dell’art. 32, una volta raggiunta la maggiore età. Tale interpretazione è stata peraltro recentemente censurata dalle prima giurisprudenza amministrativa in materia che, non mancando di sottolineare i profili di illegittimità costituzionale che l’art. 32 presenterebbe qualora lo si dovesse interpretare in modo tale da comportare un’irragionevole disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente analoghe (minori non accompagnati affidati ai sensi della legge 184/83 oppure “soltanto” sottoposti a tutela) ha sostenuto la possibilità di applicare estensivamente la norma in questione, giudicando pertanto illegittimi dinieghi di concessione del permesso di soggiorno basati unicamente sulla precedente titolarità di un permesso per minore età, anziché per motivi familiari (cfr. TAR Piemonte, n. 952/02; TAR Toscana, n. 880/02).
La Camera dei deputati ha introdotto nell’art. 32 T.U., dopo il 1° comma, tre nuovi commi (1-bis, 1-ter, 1-quater).
In base a tali commi, la possibilità di rilasciare, al compimento della maggiore età e ai sensi del 1° comma dell’art. 32, un permesso per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, viene estesa anche ad altri ex-minori, sempre che il Comitato per i minori stranieri non abbia adottato nei loro confronti una decisione di rimpatrio. Per rientrare nella previsione, i minori stranieri dovranno trovarsi in Italia da non meno di tre anni, aver seguito per almeno due anni un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, avere la disponibilità di un alloggio e frequentare un corso di studio, svolgere un’attività lavorativa o disporre di un contratto di lavoro, anche se non ancora avviato.
Il comma 1-quater introdotto dalla Camera precisa che i permessi rilasciati “ai sensi del presente articolo” (e quindi, anche quelli rilasciati in base al 1° comma dell’art. 32, che riguardano per lo più minori giunti in Italia con ricongiungimento familiare o addirittura nati in Italia!) verranno detratti dalle quote di ingresso definite annualmente.
Dopo molte discussioni, anche in seno alla maggioranza di governo,
circa l’opportunità di estendere anche ad altri rapporti di lavoro subordinato
i meccanismi di regolarizzazione già previsti soltanto per il lavoro domestico
e di assistenza familiare (c.d. emendamento Tabacci), il testo votato dalla
Camera mantiene infine la previsione di una procedura di “emersione di lavoro
irregolare” limitata a “colf e badanti” (nel nuovo testo, si tratta
dell’articolo 33). Per quanto concerne invece gli altri tipi di rapporto di
lavoro subordinato, è stato approvato alla Camera un ordine del giorno che
impegna il Governo “a presentare un provvedimento che, all'entrata in vigore
del disegno di legge sull'immigrazione, dia soluzione alla posizione degli
extracomunitari già presenti irregolarmente nel territorio italiano ma che
prestano lavoro subordinato che preveda condizioni analoghe a quelle della
normativa sull'emersione del lavoro sommerso.” .Sono noti e ampiamente dibattuti i dubbi tuttora esistenti circa le
modalità e i tempi con cui verrà introdotta la più ampia procedura di
regolarizzazione che il Governo si è impegnato ad introdurre. In particolare,
non è ancora sicuro se essa verrò introdotta contestualmente all’entrata in
vigore della nuova legge, oppure successivamente. Permangono dubbi anche sullo
strumento normativo che potrà essere impiegato, nonché sull’ampiezza delle
condizioni che verranno previste per l’emersione dei contratti di lavoro.
Nel testo relativo alla “dichiarazione di
emersione” sono state comunque introdotte alcune importanti modifiche.
Innanzitutto, la procedura di regolarizzazione non riguarda più soltanto i
rapporti di lavoro iniziati nei tre mesi antecedenti il 1° gennaio 2002 (testo
approvato dal Senato), ma viene estesa a tutti i rapporti iniziati nei tre
mesi antecedenti la data di entrata in vigore della nuova legge, con possibilità quindi di regolarizzare
anche la posizione di lavoratori domestici entrati irregolarmente in Italia nel
corso del 2002. Per i collaboratori domestici, viene mantenuta la limitazione
di una sola possibile regolarizzazione per ogni nucleo familiare; per i
rapporti di assistenza alla persona non vi sono invece limiti numerici, ma si
dovrà presentare una certificazione medica della
patologia o handicap del componente la famiglia alla cui assistenza è destinato
il lavoratore.
Significative novità sono state introdotte per
quanto concerne la presentazione della dichiarazione di emersione. Una modifica approvata alla Camera prevede
infatti che la dichiarazione sia presentata agli uffici postali, a spese del richiedente. Poiché le
dichiarazioni dovranno esser presentate entro due mesi dalla data di entrata in
vigore della nuova legge, per quanto concerne la data di presentazione, farà fede il timbro dell’ufficio postale. Alla dichiarazione di emersione dovrà essere
allegata, oltre ai documenti già previsti dal testo approvato dal Senato (tra
questi, l’attestazione di avvenuto pagamento di un contributo
forfettario, pari all’importo trimestrale corrispondente al rapporto di lavoro
dichiarato), anche una certificazione medica della
patologia o handicap del componente la famiglia alla cui assistenza è destinato
il lavoratore. La certificazione medica non è richiesta per i rapporti di
lavoro domestici.
Nei venti giorni
successivi alla ricezione della dichiarazione, la prefettura - ufficio
territoriale del Governo e la questura competenti per territorio verificano
rispettivamente l'ammissibilità e la ricevibilità delle dichiarazioni, nonché
la mancanza di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno. Se la
questura accerta la mancanza di motivi ostativi e la prefettura considera
ammissibile la dichiarazione, la prefettura invita le parti (datore di lavoro e
lavoratore) a presentarsi per stipulare il contratto di soggiorno e per il contestuale
rilascio del permesso di soggiorno.
Tra i motivi
ostativi al rilascio del permesso di soggiorno che la questura dovrà
verificare, assumono particolare rilievo:
a)
l’insussistenza a carico del prestatore d’opera straniero di provvedimenti di
espulsione adottati
per motivi diversi dal mancato rinnovo del permesso di soggiorno. Già il testo
approvato dal Senato (che non è stato sul punto modificato dalla Camera)
prevedeva l’esclusione dalla procedura di regolarizzazione dei lavoratori
stranieri espulsi, facendo salvi soltanto i decreti espulsivi adottati a carico
di persone già in precedenza titolari di permesso di soggiorno non rinnovato;
b)
l’insussistenza di segnalazioni ai fini della non ammissione nel territorio
dello Stato, anche da parte di Paesi con i quali l’Italia abbia stipulato
specifici accordi in tal senso (Accordi di Schengen);
c)
l’insussistenza di denunce per uno dei reati indicati negli articoli 380
e 381 del codice di procedura penale (reati per i quali è previsto l’arresto,
obbligatorio o facoltativo, in flagranza). Sul punto, si segnala che il
criterio di esclusione dalla procedura di regolarizzazione già previsto nel
testo approvato dal Senato è stato notevolmente inasprito dalla Camera
dei deputati. Il testo originario prevedeva infatti l’esclusione in caso di condanna,
anche non definitiva. Nel nuovo testo è invece sufficiente a
determinare il rigetto della domanda una semplice denuncia, alla quale non
sia ancora seguito alcun accertamento, ancorché non definitivo, di responsabilità
penale. Inoltre, l’ostatività
della mera denuncia è esclusa solo nel caso in cui il relativo procedimento si
sia concluso con un provvedimento che esclude il reato o la responsabilità
dell’interessato, oppure nel caso di riabilitazione. Non saranno
quindi sufficienti a rimuovere l’ostatività della denuncia penale nemmeno
provvedimenti di archiviazione o sentenze di non luogo a procedere per difetto
di una condizione di procedibilità (es. mancata presentazione della querela per
il furto semplice), ovvero per intervenuta prescrizione del reato. In tali
casi, infatti, pur non essendo pervenuti ad una sentenza di accertamento della
responsabilità, la sussistenza del reato e la responsabilità del denunciato non
può essere nemmeno esclusa. Si segnala che la disposizione, così formulata,
presenta criteri di esclusione ancor più rigidi di quelli previsti in
generale per il rilascio dei visti d’ingresso (condanna per taluno dei
delitti previsti dall’art. 380 c.p.p.) e, unita alla mancata previsione di una
“sanatoria” dei decreti di espulsione adottati per irregolarità dell’ingresso o
del soggiorno, è suscettibile di vanificare un numero presumibilmente rilevante
di domande di regolarizzazione;
d) il non essere
lo straniero destinatario dell’applicazione di una misura di prevenzione.
Quanto poi al tipo
di permesso di soggiorno che viene previsto per i rapporti di lavoro
regolarizzati con la dichiarazione di emersione, le modifiche introdotte alla
Camera dei Deputati hanno confermato,
pur con alcune differenze rispetto al primo testo licenziato dal Senato,
che si tratta di un permesso particolare. Il testo trasmesso dal Senato
prevedeva infatti il rilascio di un permesso di soggiorno “della durata di un
anno, rinnovabile per uguali, successivi periodi, se è data prova della
continuazione del rapporto e della regolarità della posizione contributiva
della manodopera occupata”. La peculiarità del tipo di permesso di soggiorno
rilasciato con la procedura di regolarizzazione si evinceva dunque: a) dalla
sua durata (non più di un anno anche in occasione dei successivi
rinnovi, allorché per i permessi collegati a rapporti di lavoro a tempo
indeterminato la norma generale prevede il rilascio di un permesso valido due
anni); b) dal fatto che la rinnovabilità del permesso era condizionata
alla continuazione del rapporto di lavoro, con ciò vincolando il
lavoratore alla prosecuzione dello stesso rapporto in base al quale era stata
concessa la regolarizzazione, e nulla prevedendo per il caso di cessazione di
tale rapporto. Le modifiche introdotte dalla Camera dei Deputati confermano
sostanzialmente tale impostazione, in quanto prevedono che il permesso
rilasciato a seguito della dichiarazione di emersione è rinnovabile in caso di
accertamento della continuazione del rapporto e della regolarità
della posizione contributiva del lavoratore straniero. Viene altresì
confermato che si tratta di un permesso di soggiorno della durata di un anno, mentre non
viene ripetuto che i successivi rinnovi saranno anch’essi vincolati a tale
termine massimo di durata.
In base alle modifiche apportate dalla Camera dl d.d.l., la
nuova misura del trattenimento del richiedente asilo viene prevista in appositi centri,
denominati centri di identificazione, le cui modalità verranno stabilite con apposito
regolamento. La
casistica dei casi di trattenimento resta invariata rispetto al testo
licenziato dal Senato, con l’unica modifica consistente nella precisazione che
il trattenimento deve sempre essere disposto, non solo quando la domanda di
asilo venga presentata dallo straniero fermato per avere eluso il controllo di frontiera, ma
anche quando si tratti di stranieri fermati per aver tentato di eludere tali controlli.
Nell’ambito della procedura semplificata per la definizione dell’istanza di riconoscimento
dello status di rifugiato, che viene seguita in tutti i casi di trattenimento
del richiedente asilo nei centri di identificazione, viene precisato che
l’audizione dell’interessato da parte della commissione territoriale deve avvenire entro 15 giorni dalla data
di ricezione della documentazione trasmessa dal questore. La decisione è adottata entro i successivi 3
giorni.
La più importante modifica introdotta dalla Camera dei
deputati riguarda però la previsione di una procedura di riesame della decisione adottata, nei
termini suddetti, dalla Commissione territoriale per il riconoscimento dello
status di rifugiato. La richiesta di riesame deve essere presentata dallo straniero
trattenuto nel centro di identificazione, con adeguata motivazione, entro il termine di 5 giorni
dalla comunicazione della decisione sulla richiesta di riconoscimento dello
status. Il riesame è affidato alla stessa commissione territoriale, integrata per l’occasione da un
componente della Commissione nazionale per il diritto di asilo. Nelle more della decisione, che
deve avvenire entro 10 giorni, il richiedente asilo resta trattenuto presso il
centro.
Resta ferma la possibilità di ricorso al tribunale in
composizione monocratica, da presentare entro 15 giorni, che però non sospende il
provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale, assunto in conseguenza del rigetto della
richiesta di riconoscimento. E’ prevista soltanto la possibilità che il
prefetto, su richiesta dell’interessato, conceda l’autorizzazione a rimanere
sul territorio nazionale fino all’esito del ricorso. Resta quindi del tutto
insufficiente lo standard di protezione contro i rischi di persecuzione e di
subire trattamenti inumani e degradanti da parte del richiedente asilo,
rimpatriato nelle more del giudizio sulla decisione assunta dalla commissione
territoriale, nell’ambito della procedura semplificata. La Camera dei deputati
non ha infatti ritenuto di accogliere le pressanti richieste per l’introduzione
nel d.d.l. di un sistema effettivo di garanzie nel corso della procedura di
appello, in ultimo sostenute nella campagna “Diritto d’asilo, una questione di civiltà”,
sostenuta da ICS, Amnesty International e Medici senza Frontiere. Le cennate
lacune del d.d.l. risultano solo in parte attenuate dall’espressa previsione
(introdotta nel testo dalla Camera) di un obbligo per le commissioni
territoriali di valutare le conseguenze di un rimpatrio, alla luce degli obblighi
derivanti all’Italia dalla convenzioni internazionali, con particolare
riferimento all’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ove si stabilisce il divieto di
sottoposizione a torture o pene inumane o degradanti. Vale la pena in proposito di
rammentare che la Corte europea di Strasburgo ha in diverse occasioni
riconosciuto la violazione dell’art. 3 non solo da parte degli Stati
direttamente responsabili dell’applicazione di torture o pene inumane o
degradanti, ma anche di quegli Stati che ne sono indirettamente responsabili,
per avere rimpatriato lo straniero verso il Paese in cui rischia di subire
persecuzioni o verso un Paese terzo, che non offra adeguate garanzie di non
procedere a sua volta al rimpatrio in violazione dell’art. 3.
Rispetto alle scarne previsioni del d.d.l. approvato dal Senato, è
stata inoltre integrata dalla Camera la parte relativa al Sistema di
protezione per richiedenti asilo e rifugiati. I richiedenti
asilo non trattenuti nei centri e
privi di mezzi di sussistenza potranno essere accolti nell'ambito dei servizi territoriali di accoglienza attuati
dagli enti locali e finanziati dal Ministero dell’interno, in misura non
superiore all’80% del costo di ogni singola iniziativa territoriale, tramite il
Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo. I finanziamenti sono deliberati con decreto annuale adottato dal Ministro dell’interno. Nell’ambito di tale
decreto viene stabilita anche la misura e le modalità di erogazione di un contributo
di prima assistenza in favore del
richiedente asilo che non è trattenuto nei centri e non è destinatario di
servizi di accoglienza territoriali.
Ulteriore novità rispetto al testo approvato dal Senato è
l’istituzione di un servizio centrale di informazione, promozione,
consulenza, monitoraggio e supporto tecnico agli enti locali che prestano i servizi di
accoglienza. Tale servizio verrà affidato dal Ministero dell’Interno, con
apposita convenzione, all'Associazione nazionale dei comuni italiani. Tra le
sue competenze rientreranno anche i programmi relativi ai permessi per motivi
umanitari rilasciati ai sensi dell’art. 18 D. Lgs. 286/98.
Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia
La Camera dei deputati ha inserito nel testo del d.d.l. il
nuovo articolo 35, con il quale è prevista l’istituzione, presso il Dipartimento
della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno, della Direzione
centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, con compiti di impulso e
coordinamento delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell’immigrazione
clandestina,
nonché di tutte le attività demandate alle autorità di p.s. in materia di ingresso
e soggiorno degli stranieri.
Il successivo articolo 36, anch’esso introdotto dalla Camera,
prevede inoltre la possibilità che il Ministero dell’interno, d’intesa con il
Ministero degli affari esteri, possa inviare presso le rappresentanze
diplomatiche e consolari funzionari della Polizia di Stato, in qualità di esperti,
nell’ambito delle strategie finalizzate alla prevenzione dell’immigrazione
clandestina.