il manifesto
29 Giugno 2008
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CULTURA & VISIONI

taglio medio
RAGAZZI «Dall'Atlante agli Appennini» di Maria Attanasio
Una storia moderna sulle orme di De Amicis
Francesca Lazzarato

DALL'ATLANTE AGLI APPENNINI DI MARIA ATTANASIO, ORECCHIO ACERBO, PP. 108, EURO 14,50

«Eh andiamo! - disse l'altro. - Non ce n'è ancora abbastanza della gramigna del tuo paese a Rosario! Vattene un po' a mendicare in Italia!". E gli chiuse il cancello sulla faccia». Basterebbe sostituire i riferimenti geografici, e una frase del genere potrebbe venir messa in bocca a un qualsiasi italiano «perbene» soddisfatto per l'approvazione del nuovo pacchetto sicurezza di un governo ormai pronto a stipare anche i minorenni extracomunitari nei Centri di Detenzione ed Espulsione prima di cacciarli dal sacro suolo patrio, a prendere loro le impronte digitali su base rigorosamente etnica e, visto che ci siamo, a toglierli ai genitori per «integrarli» a dovere, come facevano un tempo i nordamericani o gli australiani con i bambini dei nativi.
A pronunciare l'invito di cui sopra, invece, è un omone arcigno che, nella ricca città di Rosario, respinge con disprezzo un tredicenne genovese giunto in Argentina per cercare sua madre, una delle tante «donne coraggiose» costrette ad andare dall'altra parte del mondo e a «mettersi a servizio di qualche casa ricca» per aiutare la famiglia. Inutile precisare che il tredicenne è Marco, il protagonista di Dagli Appennini alle Ande, uno dei nove racconti mensili inseriti da Edmondo De Amicis nel suo celeberrimo Cuore, apparso nel 1876 a beneficio dei giovanissimi figli di un'Italia nuova di zecca, che vi avrebbero trovato una quantità di esempi edificanti e di retorica patriottarda, ma anche il nero profondo del gotico metropolitano, e poi avventure, delitti e e un approccio sorprendentemente laico alle cose della nazione.
A rileggerlo adesso, nel centenario della morte di De Amicis, Dagli Appennini alle Ande è ancora capace di stupirci per la sua capacità di ritrarre la situazione degli emigranti italiani nei remoti paesi in cui li spingeva la miseria, insieme alla durezza di uno Stato incapace di offrire ai più poveri se non tasse crescenti e coscrizione obbligatoria (sull'argomento l'autore sarebbe tornato con grande efficacia nel 1890 in Sull'oceano, e poi nel 1897 con In America). E proprio da una rilettura attenta del più lungo e avvincente fra i racconti del Cuore è partita Maria Attanasio, scrittrice e poetessa siciliana, che ce ne offre una versione contemporanea in cui gli Appennini diventano il massiccio dell'Atlante e la terra promessa non è più l'Argentina ma l'Italia, dove il marocchino Youssef viene a cercare sua madre, altra «donna coraggiosa» cui il bisogno ha imposto di lasciare i figli per poterli aiutare da lontano.
Appena uscito per Orecchio Acerbo, Dall'Atlante agli Appennini (le illustrazioni in bianco e nero sono di Francesco Chiacchio, che parteciperà domani pomeriggio insieme all'autrice e a Goffredo Fofi a una presentazione del volume alla libreria Libri Liberi di Firenze, in via San Gallo), non è però un calco o una semplice riscrittura ammodernata del testo deamicisiano, pur non esitando a seguirne il filo. Se da una parte Maria Attanasio ri-racconta a grandi e piccoli (questo è più che mai un libro per tutti) una storia del nostro passato, dall'altra la immerge nel presente in modo tutt'altro che automatico, consentendoci così di misurare tutte le possibili differenze e somiglianze tra il suo «qui e ora» e il «molto lontano e molto tempo fa» di un'Italia che alla fine del XIX secolo vide partire per terre assai lontane oltre mezzo milione di emigranti.
Spogliata da ogni retorica grazie a un linguaggio asciutto che spesso riproduce il parlato e prende nota di varianti regionali e dialettali, e allo stesso tempo lontana dalla semplice cronaca grazie a un'indubbia vena poetica, la vicenda di Youssef riassume le tappe quasi obbligate del viaggio di un ragazzo solo che parte dalle coste dell'Africa su barconi malconci per essere abbandonato in vista della riva italiana: qualcuno non ce la fa a raggiungerla, gli altri vengono portati in un centro di accoglienza molto simile a un carcere. Poi la fuga, la clandestinità, la lunga ricerca da una città all'altra, l'incontro con trafficanti che usano i bambini per spacciare, mendicare, rubare. E il lieto fine duramente guadagnato, quel ricongiungimento con i propri affetti che la Attanasio lascia sobriamente alla nostra immaginazione, rinunciando ai profondi singhiozzi, alle chiome scarmigliate e alle braccia scarne ma capaci di stringere «con la forza di una tigre» descritti da De Amicis.
Ma non sempre per i tanti Marco e gli innumerevoli Yussef il finale è stato ed è questo: la sorte dei minori non accompagnati che varcano mari e oceani - come un tempo i piccoli musicanti abruzzesi o pugliesi venduti dai genitori ai capoccia «americani», o i ragazzi extracomunitari in cerca di sopravvivenza, di scuola, di cure e di ricongiungimento familiare - è troppo spesso diversa. Sta a noi far sì che, nonostante tutto, lo scalpiccìo di «strani piccoli piedi, nuovi piccoli piedi» come quelli di Youssef venga percepito come una promessa per il futuro, non come una minaccia. E storie così servono anche a questo.


 
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