il manifesto
16 Settembre 2008
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CULTURA & VISIONI

taglio medio
SAGGI
Il codice differenziato del dominio razziale
Dall'Africa all'Europa, «L'invenzione dell'etnia»
Alessandro Corio

LIBRI JEAN-LOUP AMSELLE E ELIKIA M'BOKOLO INVENZIONE DELL'ETNIA, MELTEMI , PP. 282, EURO 21,50 Da più di un decennio con cadenza regolare si ripresenta in Europa, assumendo non di rado connotazioni e derive xenofobe, la proposta di una schedatura/censimento degli immigrati e delle cosiddette «minoranze etniche», con relativa archiviazione delle impronte digitali, ai fini non dichiarati di una criminalizzazione preventiva. Simili istituzioni di controllo e di governo delle popolazioni hanno una lunga storia all'interno della modernità e, prima di «ritornare» in Europa, sono state a lungo perfezionate nelle pratiche di dominio coloniale. I censimenti, le classificazioni somatiche, le schedature, le carte di identità etniche, fino all'«invenzione» delle impronte digitali, hanno fornito a lungo al potere coloniale efficaci strumenti per governare le popolazioni assoggettate, anche attraverso l'uso di «saperi» - demografia, epidemiologia e, non ultima, l'etnografia - che assumono l'altro come oggetto e che tendono a «congelarlo» all'interno di rigide categorie, rappresentandole come primordiali e anteriori alla modernizzazione introdotta dall'Occidente, ed assegnando a questa irriducibile differenza una particolare vocazione all'essere colonizzata. In tali forme disciplinari e discorsive non v'è alcuna differenza sostanziale tra una discriminazione «negativa» ed una «positiva». Quando si afferma, in Itlia, di voler prendere le impronte digitali ai minori rom «per il loro bene», favorendo un processo di integrazione scolastica e sociale o la concessione della cittadinanza a chi risultasse privo delle figure genitoriali, non si fa altro che consolidare e rafforzare un meccanismo di separazione e di inclusione differenziale (quello che Etienne Balibar ha definito «razzismo culturalista») che è alla base oggi delle politiche di governo delle migrazioni in Europa. La categoria che ha avuto l'impatto storico più significativo sulle popolazioni alle quali è stata applicata in epoca coloniale e che continua oggi a giocare un ruolo fondamentale nel governo dei movimenti migratori e delle popolazioni di rifugiati è la categoria di etnia . La pubblicazione in Francia, nel 1985, della raccolta di saggi curata da Jean-Loup Amselle e Elikia M'Bokolo Au cœur de l'ethnie , finalmente tradotto in Italia col titolo meno evocativo L'invenzione dell'etnia , ha dato inizio ad un fondamentale lavoro di decostruzione di questo concetto centrale nella storia della relazione tra etnologia e avventura coloniale. Il termine di «etnia» è stato infatti applicato a gruppi sociali che dovevano essere classificati a parte, negando loro una qualità specifica, la storicità e la complessità, in opposizione alle società evolute e storiche, per le quali si è utilizzato invece il termine di «nazione». La definizione stessa dell'antropologia come scienza e l'identificazione di un suo oggetto specifico, le società semplici o fredde, è legata a categorie connesse a, e prodotte da, le forme della dominazione coloniale. Per gli autori dei saggi qui raccolti, come per coloro che, negli ultimi anni anche in Italia, hanno rimesso in questione la nozione di un'essenza culturale ed identitaria legata ad un'origine, non si tratta dunque di dissolvere l'esistenza dell'antropologia né di ignorare l'autorappresentazione della diversità culturale e le sue politiche. Questi studiosi adottano infatti un approccio costruttivista nei confronti degli oggetti della «ragione etnologica», cogliendone la dinamicità, la complessità, le fratture e le contraddizioni e rilevando la natura politica di ogni definizione identitaria. Dalle ricerche condotte in differenti paesi africani, dal Rwanda alla Costa d'Avorio, dal Congo al Mali, emerge una visione degli spazi statuali, linguistici, economici e culturali in cui il processo di definizione identitaria è basato sull'incontro con l'altro, lo scambio, il movimento, il conflitto, le figure dell'estraneità e del margine, le quali mettono radicalmente in crisi un immaginario fatto di «sostanze», che appaiono sempre più come meri feticci dell'etnologo. L'importanza e attualità di un lavoro critico di questo tipo risulta ancora più evidente per analizzare come l'uso di un linguaggio etnicista intende produrre nuove forme di razzismo e di esclusione, a cui risultano estremamente permeabili le politiche dominanti della vita quotidiana.

 
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