il manifesto
31 Gennaio 2008
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CAPITALE & LAVORO

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«Vita d'inferno», il lato oscuro del pomodoro
Dossier di Medici senza frontiere sul lavoro immigrato nelle campagne del sud Italia. Tra caporali, sfruttamento e condizioni di vita peggiori che nelle bidonville In baracche fatiscenti fredde e senz'acqua, costretti a versare una parte della diaria agli sfruttatori. E quando arriva la polizia, a fine raccolto, se la prende solo con loro
Gabriele Carchella

Lo scenario ricorda un campo rifugiati, ma le condizioni di vita possono essere peggiori. Senza acqua né riscaldamento, accampati in baracche fatiscenti, con problemi di salute e senza contratto. Così vive il popolo degli stranieri impiegati nell'agricoltura del sud Italia. E' Medici senza frontiere (Msf) a dare visibilità a questa manodopera sfruttata e ignorata. Lo ha fatto ieri presentando il rapporto «Una stagione all'inferno». Da allora, purtroppo, nulla è cambiato. Nemmeno il diverso colore dei governi ha fatto la differenza. Anzi, in alcuni casi c'è stato addirittura un peggioramento: «I centri di accoglienza, per esempio, dove sono stati attivati, come ad Alcamo e in provincia di Trapani, ospitano solo gli immigrati regolari. Ma il 72% degli intervistati non ha il permesso di soggiorno», denuncia Antonio Virgilio, responsabile dei progetti italiani di Msf. Si crea così una discriminazione. Tanto più ingiusta se si pensa che la legge italiana dal 1988 sancisce il diritto alle cure mediche per tutti gli stranieri, a prescindere dallo status giuridico.
Nel rapporto sono i protagonisti, per la maggior parte giovani di sesso maschile, a parlare in prima persona. Msf ha infatti intervistato 600 immigrati e visitato 643 di loro. Quasi la metà del campione proviene dall'Africa subsahariana, poco meno del 40% è originario del Maghreb, il 10% del Sudest asiatico e il 4% dei nuovi paesi dell'Unione europea. Le risposte degli intervistati gettano luce sull'oscura filiera che si cela dietro la frutta e gli ortaggi esposti in bella mostra, a prezzi competitivi, nei nostri mercati. Nove immigrati su dieci non hanno un contratto di lavoro e non possono così godere di tutela giuridica né di protezione sociale. Anche tra gli stranieri regolari, del resto, la maggioranza (68%) lavora in nero. L'agricoltura del Meridione assomiglia insomma a un Far West senza legge, dove migliaia di stranieri sono alla mercé di datori di lavoro senza scrupoli. Quando poi le forze di sicurezza si muovono, lo fanno di frequente colpendo i più deboli. «Le forze dell'ordine intervengono spesso a conclusione del raccolto, prendendo di mira i lavoratori irregolari», ricorda Loris De Filippi di Msf Italia. «L'immigrato è un lavoratore invisibile, ma esiste ed è il fulcro di un sistema di produzione basato su manodopera sottopagata».
Una giornata di lavoro di 8-10 ore vale agli immigrati una retribuzione che varia da 25 a 40 euro. Ma in alcuni casi le paghe sono ancora più basse. Una parte della diaria, dai 3 ai 5 euro, va a finire spesso nelle tasche dei caporali. E anche solo lamentarsi del sistema può costare caro. Come è capitato a un sudanese di 22 anni fuggito dal Darfur. Il giovane è stato medicato dal team di Msf per una ferita al labbro causata dall'aggressione di un caporale. La sua colpa? Essersi lamentato delle basse paghe. Seppure il rapporto non affronta questo tema, è facile immaginare che i tentacoli della criminalità organizzata arrivino a controllare una parte non piccola del mercato agricolo. Gli alloggi malsani e la mancanza di attrezzature adeguate per lavorare fanno sì che sia facile ammalarsi. Secondo il rapporto, il 76% degli intervistati ha detto di essere arrivato in Italia in buone condizioni di salute. Ma la visita medica ha rivelato che per il 72% del campione si sospetta qualche patologia. Ben il 73% dei «casi sospetti» è interessato da una malattia cronica. Curare questi malati non è facile. Il 53% degli immigrati ha detto di non aver cercato assistenza sanitaria per varie ragioni. Nel complesso, il 75% degli stranieri ammalati non ha risolto il suo problema di salute. Il 71% degli intervistati è inoltre privo di tessera sanitaria.
Alla luce di questo scenario, Msf chiede a enti locali, prefetture e Asl di garantire le condizioni minime di accoglienza per i lavoratori agricoli. Tra le misure suggerite l'apertura di laboratori dedicati e l'utilizzo di mediatori culturali. La prima risposta arriva dalla Coldiretti, che ha annunciato ieri il via libera all'ingresso di 80mila lavoratori immigrati stagionali. L'autorizzazione scatta il primo febbraio per favorire la regolarizzazione degli immigrati.
Lettera22