il manifesto - 01 Luglio 2003
DA NORDEST
Il dire leghista è il fare
GIANFRANCO BETTIN
Vorrei riprendere, da questo particolare «osservatorio a nordest», le considerazioni sviluppate l'altro giorno da Ida Dominijanni a partire dall'intervento del capogruppo leghista Alessandro Cè nel dibattito alla Camera dei Deputati sull'immigrazione. Ha perfettamente ragione Dominijanni a negare a quell'intervento dignità culturale, non tanto perche lo stesso Cè ne sia privo (chi lo sa?) o perché non alluda a un contesto di ragionamenti significativo, ma proprio perché il modo scelto dalla Lega nel suo insieme per affrontare tali questioni sul terreno politico fa strame di ogni argomentazione con la quale interloquire anche polemicamente. Con chiunque si esprima nel modo in cui la Lega, e Cè, si sono espressi finora non c'è nessuna possibilità di interloquire. Con chi nega in radice la dignità dei migranti, con chi semina odio e, se potesse, sparerebbe davvero su queste persone (che esita perfino a definire tali), c'è solo da marcare la più profonda, radicale, intransigente differenza e, quanto ai loro ragionamenti, mostrarli in tutta la miseria culturale e politica, e in tutta la brutalità, che li distingue.

Ma, ecco l'importanza di quanto sottolineato da Dominijanni, intorno a questo ciarpame si sta davvero «aggrumando nel cuore nero della destra italiana» un'ideologia. E per questo, appunto, tutto il tono e il contenuto del discorso leghista sull'immigrazione, «è un manifesto che va preso sul serio perché colloca con precisione l'origine della destra italiana dove va collocata: non sul proscenio comico di un'Italietta minore, ma sul palco tragico della crisi culturale, sociale e politica generata dalla globalizzazione».

Chi vive e agisce nei territori in cui questo «manifesto» si traduce in quotidiani discorsi e, spesso, in concrete politiche, come accade nel Nordest, ha perfettamente chiaro di cosa si tratti. Si tratta del fatto che ostacola in ogni modo il riconoscimento di diritti elementari per i migranti, che li reputa al più come manodopera, che li criminalizza costantemente, che li vessa con ogni genere di difficoltà da quelle burocratiche (sadicamente kafkiane) a quelle che fanno della vita quotidiana un calvario per gli stessi regolari (che si provino, ad esempio, ad affittare una casa!).

Intorno a questo «discorso» e a questa pratica, la destra più oscura, ma più visceralmente presente in zone della nostra società, è al lavoro, protetta dall'ombrello del centrodestra ufficiale e dalla disperata necessità che Berlusconi ha di tenersi stretto Bossi. Come ha ricordato domenica su La Repubblica Ilvo Diamanti, neanche il solo uso di questo linguaggio è privo di conseguenze. Spostando il confine del «dicibile» - le cannonate, gli insulti, il disprezzo, le minacce - prepara lo spostamento di cio che è davvero possibile fare. Il «cuore nero» si prepara a conquistare il cervello e le mani della destra. E' meno difficile di quanto non si creda, con sapiente dosaggio di operazioni demagogiche (si veda, in altro ambito, come stanno usando i blackout per far passare cose che fino a ieri non avrebbero neanche osato proporre).

Certo, esistono anche controtendenze. Proprio in questi giorni un sondaggio realizzato dall'Osservatorio sul Nord Est per conto del Gazzettino registra che, per la prima volta, la quota di coloro che pensano che l'immigrazione sia un bene ha superato quella di chi la considera un pericolo (35% contro 32%). E' un dato importante, anche se gli «impauriti» restano molti. Ma significa che bisogna contrastare quell'ideologia nera in formazione senza compiacerne talune pulsioni, magari per dimostrare che «siamo meglio della destra sul suo stesso terreno», cosa che al centrosinistra è capitato in questi anni di fare.