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il manifesto - 22 Giugno 2003 prima pagina
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Party d'Europa
IDA DOMINIJANNI
Quando vuole anche l'Europa ci sa fare, decide, trova i soldi, usa le tecnologie. 140 milioni di euro stanziati per la ricerca sull'uso poliziesco dei dati biometrici non sono una barzelletta, e infatti il dato non fa ridere ma piangere se lo confrontiamo con le notizie che arrivano dal largo della Tunisia o da Lampedusa. Ma tant'è, gli immigrati sono stranieri e gli stranieri sono tutti potenziali terroristi. E l'alleato americano, terra di Marte, chiede perentoriamente all'Unione, terra di Venere, di imparare a usare almeno le tecnologie pulite se non vuole sporcarsi le mani con la guerra. Problemi di discriminazione? Nessuno, basterà inserire, col tempo, l'immagine della retina nei passaporti di tutti i cittadini europei. Progetto poco compatibile con la Carta europea dei diritti, ma si sa che il progresso scientifico non si lascia fermare dalle regole scritte. Bisognerà trovare i soldi anche per l'arsenale europeo, e questa sarà più dura dati i tempi di vacche magre, ma se l'Unione ha da essere una potenza il primo comandamento impone che abbia una difesa, armata. Ma l'Unione non uscirà mai dall'ombrello dell'Onu, ci assicura con sicura fede multipolare Solana, e qui possiamo dormire sonni tranquilli vista la validità della Carta dell'Onu testé sperimentata con la guerra preventiva all'Iraq. Sogni d'oro anche sui Balcani, terra di guerre che furono, perché Romano Prodi in persona, quello che firmò l'activation order per la partecipazione dell'Italia alla spedizione umanitaria in Kosovo, ci assicura che il futuro dei Balcani è nell'Europa e che anche quest'ultimo allargamento presto si farà. Sui Balcani l'Europa nacque morta, ma si sa che la politica ha la memoria corta e i sensi di colpa transeunti.

I soliti guastafeste, direte pensando al party spaziale che Silvo Berlusconi sta già immaginando, altro che le fioriere di Genova, per la storica firma del Trattato dell'Unione nel 2004. Che cosa contano questi dettagli di fronte al consenso più o meno generale ottenuto a Porto Carras dalla bozza della Costituzione europea? Invece contano, perché mentre si scrivono le carte i fatti vanno avanti e si mettono di traverso. E nelle maglie del compromesso costituzionale blindato da Chirac e Schroeder (e Fini: per ora) e zavorrato da Blair, possono sempre infilarsi non solo i veti sulla politica agricola, o i malcontenti della Spagna, o l'euroscetticismo della presidenza irlandese che seguirà a quella italiana, ma qualche incognita più sostanziosa, a cominciare dal problema dei problemi che va sotto il titolo dei rapporti fra l'Unione e gli Stati uniti, al centro del vertice di Washington prossimo venturo. Né i capi di stato europei possono riposare in casa propria: sugli scioperi dei metalmeccanici che vennero dall'Est è Schroeder, il più europeista del gruppo, a non poter dormire sonni tranquilli. Sotto e a lato dell'ingegneria costituzionale dell'Unione ribolle di tutto, corpi che contano nel mare tunisino e nel continente e nei cortei che pedinano i vertici, e non se ne potrà prescindere a lungo.

Alla presidenza italiana del semestre che si è aperto a Porto Carras spetterebbe sì un compito storico, se l'Italia avesse ancora il profilo di un paese da prendere sul serio. Ma non ce l'ha e quel poco che le restava l'ha perso, con quell'alta firma apposta sul lodo immunitario in nome della firma da apporre sulla Carta dell'Europa. Non sempre il decoro della faccia coincide con la dignità dell'anima. Il presidente del consiglio in carica giocherà tutto sul party europeo, trasformandolo, come sa fare bene, in un centro commerciale di scambi interni e internazionali. Ma immune com'è dalla giustizia italiana, non è detto che lo sia dal giudizio dell'Unione, né dallo zampino degli eventi.


 
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