il manifesto - 23 Maggio 2003
Un comitato nel cpt
PONTE GALERIA Si organizzano gli «ospiti»
CINZIA GUBBINI
ROMA
1 euro e 80 centesimi per una lattina di Coca-cola, 3,40 per tre bottigliette d'acqua da mezzo litro. Prezzi da centro storico di Roma per i turisti. Sono invece i soldi che i migranti (gli «ospiti») del centro di permanenza temporanea romano di Ponte Galeria devono sborsare per acquistare i suddetti generi alimentari. Un piccolo sopruso rispetto alla detenzione lunga due mesi per persone che non hanno commesso alcun reato (i volontari della Croce rossa, addetti agli acquisti, sostengono che quelli sono i prezzi del bar...non si può cambiare bar?); ma per chi vive all'interno del centro diventa un ostacolo enorme. E così è da questo problema «minore» che è partita una protesta senza precedenti nei cpt italiani. Gli immigrati hanno deciso di costituire un comitato. Hanno deciso, cioè, di provare a mettere in piedi una vertenza politica. Il nucleo delle persone a cui è venuta in mente questa idea proviene dal carcere. Migranti che, dopo aver pagato il loro conto con la giustizia italiana in una carcere «vero», sono state trasferite nel cpt in attesa di essere espulse. E' questa una pratica ormai generalizzata nei centri di detenzione italiani, e che non ha alcuna giusitificazione, visto che i centri servono per identificare gli immigrati di cui è incerta la nazionalità - problema che non dovrebbe sussistere nel caso di una persona condannata da un tribunale. Tuttavia con questa nuova e numerosa categoria di «ospiti» è più difficile far passare sotto silenzio alcuni abusi: la difficoltà di incontrare un avvocato, i prezzi alle stelle, il divieto di vedere un medico al di fuori di certi orari, e così via.

«Non sono scemo, sono stato in carcere, lo so quali sono i miei diritti - è la dichiarazione rilasciata qualche giorno fa dal presidente del comitato, un ragazzo africano ora espulso - qui ci trattano come le bestie. Io me ne voglio andare dall'Italia, ho fatto tre anni di galera, e invece mi tengono qui chiuso da più di un mese». E' stato proprio lui a far girare, in sordina, un foglio in cui hanno apposto il loro nome 104 persone (ora ne sono rimasti 81). Un supporto lo hanno trovato dall'associazione «Score Italy», che da fuori dirama i loro comunicati. La novità ha portato alla luce un aspetto finora sottovalutato: è impossibile distribuire all'interno del centro volantini o qualsiasi altra cosa che informi gli «ospiti» sui loro diritti.

Tutte e 104 le persone hanno nominato l'avvocato dell'associazione, Stefano Oliva, che però non li ha potuti incontrare. Questa è un'altra delle denunce di cui si fa carico il comitato - che si chiama «Comitee for improvement» - la difficoltà, cioè, di incontrare i rappresentanti legali. L'avvocato Oliva ha anche inviato una lettera formale di protesta al centro di permanenza e alla questura di Roma: «Prima di tutto - racconta - avevo chiesto di poter parlare con i miei assistiti in gruppo, altrimenti non ce l'avrei fatta a portare avanti tutti i ricorsi, oltre al fatto che avrei occupato la sala per troppo tempo. Niente, non c'è stato nulla da fare: si può parlare solo con una persona per volta. Ma oltretutto non è possibile conferire con una persona in una stanza separata: bisogna parlare lì, con la polizia presente. E' una violazione di diritto». Ponte Galeria, poco tempo fa, è stato completamente ristrutturato.

Ora il comitato lotta per la sopravvivenza. Il problema più grande è, ovviamente, il turn over elevatissimo. Si tratta, tuttavia, di un'esperienza che potrebbe moltiplicarsi.