il manifesto - 23 Febbraio 2003
L'ultima cortina dell'Europa
Al confine orientale polacco l'Ue costruisce la nuova barriera anti-immigrati
L'ingresso della Polonia nell'Ue è previsto per il prossimo anno, ma già dal `98 fervono i lavori per la costruzione della frontiera con l'ex Unione Sovietica
Prove d'Unione. Ingenti somme di denaro per le strutture di controllo, briciole per l'assistenza. La protesta delle associazioni umanitarie

ANGELA PASCUCCI
INVIATA A VARSAVIA
Skrihyczyn, frontiera polacca con l'Ucraina. Sullo schermo spettrale del thermal detector, forme scure di daini si muovono tra la vegetazione della foresta che corre lungo il confine. D'un tratto entrano nel rettangolo grigio alcune figure umane, poco più che ectoplasmi, e il silenzio gelido del crepuscolo si rompe improvvisamente: sirene, rombo di motori, grida. Gli agenti della Guardia di frontiera circondano gli uomini, li buttano faccia a terra, li ammanettano e li trascinano via. Dopo un paio di minuti è tutto finito, tra risate e pacche sulla schiena. Perfettamente riuscita, l'esercitazione messa in scena a beneficio dei giornalisti venuti fin qui dai 15 paesi della Ue per visitare il check point di Dorohusk e l'area circostante. Ma l'11 gennaio scorso è così che è arrivato al capolinea il viaggio di un gruppo di 21 immigrati provenienti dall'Asia, per la maggior parte indiani. E non ci sono state pacche sulla schiena. Portati nelle celle della guarnigione e identificati, sono entrati nel percorso di espulsione. Sul lato sinistro dello schermo del termal detector marca Zeiss, all'interno di un pulmino Volkswagen in dotazione alla guardia di frontiera, c'è il logo dell'Unione europea e la sigla del programma Phare, i cui fondi finanziano l'acquisto delle sofisticate attrezzature e buona parte dei costosi investimenti che faranno della Polonia il nuovo confine orientale dell'Europa dei 25. «Tutto questo, grazie ai vostri soldi, signore e signori», ironizza l'interprete. Una valanga di soldi. Dal 1998 tra i 50 e i 60 milioni di euro l'anno sono stati stanziati per ergere la nuova cortina, e non bastano neppure, perché la Polonia dovrà metterci del suo. Il comandante della guarnigione ha voluto solo dimostrare quanto fossero ben spesi e quanto il suo paese sia determinato ad adeguarsi agli standard imposti dal cosiddetto acquis comunitario per fare argine alle orde orientali. Checché se ne dica della fedeltà polacca all'Europa, negli stessi giorni in cui il premier Leszek Miller si schiera a fianco di George Bush, qui fanno di tutto per dimostrare che ci credono davvero.

Ufficialmente, Varsavia entrerà nell'Unione l'1 maggio del 2004 ma sarà pronta all'ingresso nell'area Schengen solo alla fine del 2006, forse. Fino a quella data, la vera frontiera resterà quella tedesca, che peraltro continuerà a fare argine anche ai polacchi (le restrizioni all'emigrazione economica polacca resteranno infatti in vigore fino al 2011). Nel frattempo, un lavoro immenso, articolato e costoso è in atto su tutto il confine che corre per 1.200 chilometri lungo il Baltico, la Russia, la Bielorussia e l'Ucraina.

La storia della Polonia, vittima sistematica delle guerre d'Europa, fa del suo tormentato confine un luogo «mitico» per i suoi abitanti. E' un contrappasso singolare quello che oggi consegna proprio ai polacchi la salvaguardia di un'entità difficile da determinare, e non solo in termini di barriere geografiche, che quasi non esistono, ma proprio per la sua mobilità storica, che ha rimescolato nel corso dei secoli uomini, culture, beni. Lo rivela la mole dei traffici, più o meno legali, che vi si intrecciano, e la quantità dei passaggi. Nel 2001 lungo il confine con Russia, Bielorussia e Ucraina si sono registrati oltre 27 milioni di attraversamenti individuali.

Dorohusk, nel voivodato di Lublino, è uno dei check point più trafficati. Di qui passa il corridoio stradale che unisce Kiev, Varsavia e Berlino, e già oggi i camion devono rassegnarsi a un'attesa media di quasi 10 ore in entrambe le direzioni. Adesso i controlli sono random, ma dopo l'entrata nella Ue tutto dovrà essere passato al setaccio. I lavori sono in corso per raddoppiare la capacità del posto di controllo e dotarlo di mezzi di sorveglianza più perfezionati: scanner ai raggi x, posti di controllo veterinari, unità cinofile. Dall'1 luglio di quest'anno, poi, entrerà in vigore il regime di visti con Ucraina, Bielorussia e Russia. D'un colpo, gli uffici che oggi rispondono a poco più di 250mila richieste, se ne vedranno piovere addosso tra uno e due milioni. Bisognerà dunque attrezzarli, aprire nuovi consolati, da San Pietroburgo a Kiev. Nuovo apparato burocratico, nuove assunzioni. Ne sono previste quattromila, per una struttura che alla fine conterà oltre 18mila persone, incluso il corpo delle guardie di frontiera. E allo stesso modo si va costruendo una gigantesca rete computerizzata per la gestione centralizzata delle informazioni, che dovrà poi inserirsi nel sistema d'informazione di Schengen (Sis).

Entrare in Polonia comincerà a costare, 5 euro per un visto singolo, 14 euro per un visto multiplo. Chissà se reggerà l'intenso commercio transfrontaliero di vodka e sigarette, ai limiti del contrabbando, che vive dei piccoli differenziali di prezzo da un confine all'altro e grazie alla complicità degli agenti che chiudono un occhio sull'entità delle merci, ben superiore alla quantità per «uso personale» consentita. D'altra parte lo stipendio di un agente è di appena 300 euro al mese. Per alcuni, arrotondare è già oggi una tentazione forte. La corruzione è diffusa e preoccupante, anche se le autorità affermano di aver cominciato a combattere con durezza il fenomeno. Probabile tuttavia che l'alzarsi della frontiera spazzi via il piccolo smercio, alzando il prezzo dei traffici più consistenti, in mano alle mafie. Ma esiste un problema di criminalità legata all'immigrazione clandestina? Al Quartier generale della polizia, a Varsavia, snocciolano cifre assai poco impressionanti. La criminalità venuta da fuori, dicono, non è mai stata un problema. Tranne un periodo in cui la lotta per il controllo del «mercato» polacco tra gang dell'est è sfociata in crimini efferati, mai visti prima, che hanno fatto grande scalpore sui media. Dal suo punto di osservazione, il generale Rapacki, vice capo della polizia criminale, rileva piuttosto un cambiamento interessante, iniziato alla metà degli anni `90, e che riguarda la collocazione della Polonia come crocevia di traffici globali. Da terra di passaggio, si sta trasformando in terra d'approdo. Nei loro progetti di vita, i migranti pensano sempre più spesso di aspettare qui l'ingresso in Europa. Mentre prostituzione e narcotici non si limitano più a transitare, ma si fermano. I polacchi, più ricchi grazie anche alla loro massiccia migrazione, sono infatti diventati grandi consumatori di droga e sesso. La prostituzione fiorisce e nella cattolicissima Polonia capita spesso di trovare sul parabrezza della macchina piccoli volantini o biglietti da visita assai espliciti nelle immagini hard, ai limiti estremi del porno, delle ragazze che si offrono. Non esiste neppure un problema di insofferenza culturale verso «l'altro» assicura il ministro degli interni, Krzystof Janik. L'unico dibattito che intriga i polacchi, a sentir lui, è quello sull'uso di cani e gatti nella cucina cinese e vietnamita. Quanto agli islamici, il rapporto è ottimo ed è stata avviata una proficua collaborazione con le loro autorità religiose.

Diversamente dall'occidente, l'immigrazione è una «non issue» qui, dal punto di vista politico, afferma il ministro, quasi a voler significare che «stiamo facendo tutto per voi». Certo, ci sono anche milioni di disoccupati polacchi che non guardano con favore quei 600mila stranieri che si contendono con loro gli scarsi posti di lavoro. D'altra parte, le risorse sono quelle che sono. La Polonia è un paese povero, due volte più povero della Spagna quando questa entrò nella Comunità europea. Per i rifugiati c'è poco o nulla: 12 mesi di scarso sussidio governativo e l'ospitalità nell'unico campo profughi, quello di Debak, vicino a Varsavia, con duemila posti letto. Dopo di che non c'è né lavoro né casa. Sparire nel nulla, e cercare di varcare un altro confine, è l'unica possibiltà che spesso resta per sopravvivere. Come dice Agnieszka Siarkiewicz, rappresentante dell'Alto commissariato per i profughi dell'Onu a Varsavia, preoccupata da una proposta di legge che vuole introdurre centri di detenzione invece di nuovi campi di accoglienza. Non sono pochi i rifugiati e i migranti disperati, spesso famiglie intere, che prima o poi battono alla porta di Acja Humanitaria, fondata nel 1992, la più antica ong della storia polacca, nata per aiutare i popoli colpiti dalle guerre e dai disastri economici prodotti dalle transizioni. La mancanza di fondi è disperante, anche se la dimensione del fenomeno è tutt'altro che enorme, sottolinea Malgorzata Gebert, che nell'associazione è la responsabile per i profughi. Quel che non trova giusto è la quantità enorme di soldi stanziati dall'Unione europea per le strutture di controllo rispetto alle somme irrisorie previste per l'accoglienza. Quanto poco possa la Polonia da sola, lo dice anche Janina Ochojska, minuta e appassionata, che di Azione umanitaria è la fondatrice. Ci sono 300mila bambini in Polonia al di sotto della soglia di povertà, figli di una disoccupazione ormai al 17%, e la sua organizzazione riesce a malapena ad aiutarne, attraverso programmi di collaborazione con le scuole, appena 5.000, grazie ai fondi raccolti tra i suoi concittadini.

L'Ue controlla il processo di allargamento dal 29esimo piano del grattacielo del Centro finanziario di Varsavia. E' qui che ha sede la delegazione della Commissione europea in Polonia, proprio a ridosso del Palazzo della cultura e delle scienze, «dono» di Stalin ai paesi fratelli, oggi assediato dalle nuove costruzioni, e tuttavia sempre incombente, con la sua aria da Gotham City. Emblema contro emblema, verrebbe da dire. I funzionari vegliano sull'utilizzo dei fondi, sovrintendono all'iter di avvicinamento agli standard. A guidarli, le «tavole della legge» che, diversamente dai semplici fondamentali di Mosè, continuano a crescere a ritmo esponenziale. Il cosiddetto acquis communautaire che sei anni fa veniva contenuto da 60mila pagine, ne occupa oggi oltre 105mila. Tutto da ingoiare in blocco. Come dice l'ambasciatore della Ue in Polonia, Bruno De Thomas, se vuoi entrare nel club devi accettarne le regole. C'è poco da negoziare. Si può solo guadagnare un po' di tempo. A questo punto, del resto, tornare indietro è materialmente impossibile. Ma resta l'ultimo brivido. L'8 giugno si svolgerà il referendum e nessuno, proprio nessuno, scommette sul suo esito. Il ministro degli interni Janik scherza amaro sull'«entrata dell'Ue in Polonia», punto di vista preferito dai polacchi, ma ha più dubbi che certezze sul dopo. E' la prima volta che si dà ai polacchi la possibilità di esprimersi e di mostrare il loro atteggiamento sulla questione, afferma il ministro, e molti hanno paura di quel che considerano un salto in una giungla di competizione. Il rischio più concreto è che manchi il quorum del 50% più uno richiesto dalla consultazione. L'affluenza alle ultime elezioni non lo ha neppure sfiorato. In quel caso, l'approvazione spetterebbe al Parlamento, che dovrebbe esprimersi con una maggioranza dei due terzi.

Un'unica speranza, par di capire, unisce le stanze di Bruxelles e quelle di Varsavia: che i parroci si mobilitino in favore. E la campagna per convincerli è già iniziata.