il manifesto - 11 Gennaio 2003
Sogni clandestini
Il nuovo film di Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, cattura in immagini girate subito dopo la seconda guerra mondiale, l'attualità di razzismo e intolleranza
CRISTINA PICCINO
Lo spazio è la parigina Maison Victor Hugo, la stanza da letto (con baldacchino) dello scrittore. É lì che Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian hanno liberato le loro immagini «zingare». Rom (uomini) - il titolo di questo film dell'infaticabile coppia di cineasti - compone un nuovo frammento nel loro personale e provocatorio viaggio dentro e oltre la Storia, cercando con la lucidità della consapevolezza di renderne visibili gli spazi offuscati, quelle manipolazioni che sono già atti di revisionismo. Un lavoro che usa immagini esistenti, antiche, fotogrammi di cineoperatori spesso sconosciuti scovati nelle lunghe ore dentro agli archivi che raccontano guerra, colonialismi, a volte semplicemente, come in questo caso, momenti di quotidiano. E da qui Ricci Lucchi e Gianikian partono per rovesciare il senso acquisito di quelle immagini, ne svelano la violenza, la capacità esplicita e insieme accuratamente mascherata di produrre nel tempo immaginari ben radicati e consegnati alla memoria. Finchè, in questa vivizezione del senso, quei «vecchi» filmati rivelano un presente ancora più duro, un'attualità che è quasi premonizione se non fosse prima di tutto Storia. Quell' «esotico» esplorato da più punti di vista in molti altri film (Dal Polo all' Equatore; Il fiore della razza-Archivi italiani n.1 fino a Images d'Orient-Tourisme vandale ) diventa dichiarazione di razzismo, arriva al presente delle xenofobie, riguarda la storia delle colonie, tutto quanto è «superiorità», il percorso di un occidente che si pone sempre e comunque al centro, che impone i prezzi da pagare allora come oggi. É strano pensare che il presente sia già stato tutto filmato. A volte, quando parli con Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian della loro ricerca ti dicono che hanno paura, che è come se ogni volta alzando il velo su quegli archivi avessero la possibilità di vedere da vicino, e con chiarezza, le dinamiche attuali: cioè di nuovo guerre, razzismi, globalizzazione. Rom (Uomini) parla anche di questo. E nel passato, nelle immagini girate sul lago di Como subito dopo la seconda guerra mondiale, in quelle famiglie borghesi con gli abiti «buoni» della domenica che guardano il gruppo di Rom appena arrivati, di nuovo si parla dell'Italia di oggi. La stessa di chi vorrebbe «riscrivere» i libri di Storia, cancellare Resistenza, 25 aprile, fascismi (il colonialismo italiano non è mai stato scritto). C'è negli sguardi di quegli uomini e donne curiosità, imbarazzo, stupore ma anche diffidenza se non disprezzo. Gli Zingari sono sporchi, i loro bambini corrono scalzi sul prato, un piccolino dorme avvolto negli stracci. Le donne danzano, qualcuna si nasconde, gli uomini sorridono con in braccio i figli. La ragazzina vestita di tutto punto li osserva stupita, la madre la prende subito per mano. Loro, gli «zingari» sono « rumore e odore» che danno fastidio, le risate, la musica, una forma d'esistere che non coincide con la propria.

L'idea di installare Rom (Uomini) nella Maison Victor Hugo è stata di Harald Szeemann, curatore di Aubes. Reveries au bord de Victor Hugo, (fino al 19) una delle molte iniziative organizzate per il bicentenario della nascita dello scrittore. Sogni perché le opere di artisti contemporanei scelte e messe accanto ai disegni realizzati dallo stesso Hugo soprattutto negli anni di esilio, non illustrano l'universo dello scrittore ma nell'idea di Szeemann lavorano sulle possibili affinità. Troviamo così «segni» tra gli altri di Joseph Beuys, Christian Boltanski, Antonin Artaud, Yves Tanguy, Marcel Duchamp, René Magritte, Annette Messager, Louis Soutter, Zou Xiaohu, Gary Hill, Minnette Vàri, Jospeh Cornell... E in Rom (uomini) questo «sogno» diventa in qualche modo vicinanza in un'estraneità, quella dello scrittore esiliato e quella in cui vivono nel nord Italia di quel momento i rom tornati dopo il genocidio subìto nei lager nazisti del quale però non sembra preoccuparsi nessuno. E in quell'indifferenza è come se ci fosse la chiave delle emarginazioni di oggi, lo stesso sospetto e rabbia verso tutti i migranti alimentato per creare fratture, per cercare un colpevole col quale annullare responsabilità e strategie economiche, sociali, antropoligiche, e più in generale neutralizzare l'opacità consunta di questo pensiero occidentale. É la stessa frattura di Rom, l'incontro che è già negato, stigmatizzato nella distanza. Quei fotogrammi ricolorati in composizioni complesse e raffinate di chiaroscuri, nella luce che sfuma piano sono vita, attualità, pensiero. La forza inarrestabile che è dentro ongi immagine.