il manifesto - 08 Gennaio 2003
Australia impossibile per gli immigrati
Incendiati cinque centri di detenzione. Il governo parla di complotto e attizza la xenofobia
VITTORIO LONGHI
Sono giorni letteralmente di fuoco nei centri di detenzione australiani. Cinque incendi nel giro di pochi giorni in cinque delle sette strutture dove sono detenuti oltre 1.200 clandestini, per lo più iraniani e afghani. Tutto è cominciato nel nuovo, modernissimo centro di Baxter, Australia del Sud, dove la notte di venerdì 27 dicembre alcuni detenuti, esasperati per l'attesa di permessi di soggiorno che il governo fa durare anni, hanno preso fiammiferi, giornali, materassi, tende e lenzuola per appiccare i primi fuochi, propagati rapidamente in quasi tutto l'edificio. Nessun ferito, tranne i quattro portati all'ospedale per inalazione di fumo. Da quel giorno, il gesto di disperazione si è esteso ad altri quattro centri: quello di Port Hedland, quello di Woomera, noto per i lunghi scioperi della fame e per le denunce di abusi su minori, quello dell'isola di Christmas e quello di Villawood, vicino Sidney. La polizia ne ha approfittato per trasferire subito 40 persone, accusate anche della premeditazione degli incendi, dai centri di detenzione direttamente alle carceri più vicine. Inoltre, si stanno cercando i responsabili esterni di una presunta rete di agitatori che avrebbero coordinato le rivolte.

Il ministero dell'immigrazione, temporaneamente retto da Daryl Williams, vice di Philip Ruddock in questi giorni in vacanza, ha mandato la polizia federale a fare perquisizioni personali e negli alloggi di Baxter e Woomera. La ricerca ha portato solo a qualche telefono cellulare, alcune paia di forbici e un cacciavite. «I controlli proseguiranno anche nelle altre strutture» ha assicurato minaccioso Williams. La tesi dell'organizzazione sovversiva piace molto al governo che ha trattenuto, insieme ai 40, un attivista scozzese di 33 anni, Darren McCreadie.

«Non si tratta di un'azione pianificata - ha detto Naleya Everson, legale della Uniting Church che ha visitato Baxter subito dopo il rogo - ma è la reazione di alcuni individui seriamente traumatizzati da un trattamento molto duro». Concordi i medici del Royal College of Psychiatrists che hanno richiesto di poter effettuare perizie nei centri, ritenendoli «terreno fertile di disturbi nervosi, di tentativi di procurarsi ferite o addirittura suicidarsi». Anche secondo il quotidiano progressista The Age la premeditazione non esiste. Ci sarebbero fatti precisi che hanno contribuito allo scoppio quasi simultaneo della protesta. La settimana prima di Natale, alcuni tabloid avevano parlato della nuova struttura di Baxter come di un albergo di lusso a spese dei contribuenti. Questo ha alimentato la frustrazione dei detenuti che, anche nelle costruzioni nuove, sicuramente meno squallide dei vecchi lager di Woomera, sono comunque tenuti in segregazione. L'ultimo dell'anno poi, 488 richiedenti asilo hanno ricevuto una lettera dal governo con cui si rigettavano le loro domande e li si invitava brutalmente a tornare a casa, dato che non avevano più «alcun diritto di restare in Australia». Secondo gli avvocati, due terzi delle richieste hanno esaurito ogni possibilità di ricorso e su 1.236 domande sono solo quattro quelle che potrebbero essere accolte.

I mezzi d'informazione filogovernativi, intanto, concentrano l'attenzione pubblica sulla rete dei militanti pro-rifugiati e sul calcolo dei danni causati dagli incendi, stimati in circa 8 milioni di dollari. Si cercano tutti i pretesti utili a rafforzare gli argomenti del governo e la diffidenza dei cittadini australiani, sempre più decisi a chiudere definitivamente le frontiere. Il fatto che nella ricca ex colonia britannica non arrivino navi di clandestini da ben 14 mesi viene presentato come un successo dal premier conservatore John Howard. In realtà, le navi arrivano lo stesso, ma sono regolarmente dirottate sulle isole vicine, secondo gli accordi della Pacific solution, vero e proprio contratto commerciale che prevede denaro australiano in cambio di rifugiati indesiderati.