il manifesto - 16 Ottobre 2002
RASSEGNA
Bollywood incontra Bologna
Il cinema indiano al Lumière. Tra i film, c'è anche lo storico «Bharat Mata»
ELFI REITER
BOLOGNA
Pianeta Bollywood. Il cinema indiano fra costume, mito e business. È il titolo della rassegna di film con esposizione di materiali al Museum für design a Zurigo, che dopo un lungo tour è approdata al cinema Lumière a Bologna (fino al 22 ottobre). Perché proprio la Svizzera organizza una rassegna di film bollywoodiani? «Ci siamo accorti che si girano più film indiani che svizzeri sulle Alpi», spiega Rosa Maino, responsabile della programmazione del Kino Xenix di Zurigo, e Naman Ramachandran, giovane critico di Sight & Sound nonché uno dei massimi esperti del fenomeno Bollywood, aggiunge: «Ciò accade per due motivi: uno perché le montagne svizzere assomigliano al paesaggio in Kashmir, dove a partire dai primi anni 80 era difficile girare per l'instabilità politica; e due perché la Svizzera è come un piccolo paradiso per loro...». Chori Chori Chupke Chupke (2001) di Abbas Alibhai infatti è girato in parte nel paese alpino e nonostante l'ambientazione borghese rispecchia comunque al di là della sua struttura tipica bollywoodiana - che prevede momenti tragici o di commedia intervallati da episodi stile musical cantati e danzati - i valori tradizionali della famiglia indiana.

A Bologna diversi punti vendita di alimentari pakistani e del Bangladesh importano videocassette per venderle o noleggiarle alle numerose comunità pakistana, bangladese e indiana, che per altro presenziano anche le proiezioni affollate nella sala della Cineteca di Bologna raggiungendo quasi il 50% del pubblico totale. «Finalmente la Bollywood wave è arrivata in Italia dopo aver toccato già altri paesi europei. Il 2001 è stato un anno importante per il cinema indiano: nel mese di dicembre Kabhie Kushi Kabhie Gham (Talvolta felici, talvolta tristi) di Karan Johar era al terzo posto nella classifica inglese, Lagaan di Ashutosh Gowariker ha concorso per l'Oscar al miglior film straniero e Monsoon Wedding di Mira Nair ha vinto il Leone d'oro a Venezia». A Cannes 2003 si annuncia la retrospettiva con i maggiori successi degli ultimi 15 anni al festival di Locarno, e grazie alle sale esaurite nel tour tedesco di «Pianeta Bollywood» il campione d'incassi Kabhie Kushi Kabhie Gham ha trovato un distributore e uscirà in Germania. Ma se è vero che a Colonia ancora adesso (la rassegna è passata in agosto) gli indiani chiedono altri film da vedere, è anche vero che il cinema indiano non è solo Bollywood. Certo è la parte più esportata dei circa 850 titoli prodotti all'anno nelle varie lingue, sono 200 i film bollywoodiani girati in hindi, la lingua ufficiale parlata soprattutto nel nord dell'India e che è uguale all'urdu parlato in Pakistan, mentre nel sud dell'India le produzioni cinematografiche parlano in tamil, telugu, malayalam e kannada. C'è un universo intero da scoprire accanto ai prodotti della fabbrica Bollywood che da un lato suscitano interesse per le tematiche vivaci e alla peggio fanno uscire gli spettatori contenti, perché soddisfatti per il divertimento di tre ore e oltre al costo del biglietto attorno alle 20 rupie (a dire di Rachmaranan il motivo della lunghezza inusuale per noi europei dei film bolly è l'esplicita richiesta degli indiani di «entertainment a lunga durata»).

«Pianeta Bollywood» porta 10 film a Bologna e tra i titoli datati fra il 1998 e il 2001 ci sono due esempi storici: Miss Frontier Mail (Miss posta di frontiera) girato da Homi Wadia nel 1936 (19 ottobre, ore 21.30), storia della «sorella bionda di Zorro» alle prese con il male per trovare la felicità, non proprio un bolly doc ma un film d'azione prodotto dai grandi studios. L'altro è Bharat Mata (Madre India) del 1957 diretto da Mehboob Khan (passato lo scorso 9 ottobre), una sorta di risposta a Via col vento. «Per la storia e lo stile - precisa Ramachandran - si rifà al modello sovietico del cinema real-socialista nonché all'iconografia trionfalista di Leni Riefenstahl. Non va dimenticato che in quegli anni i rapporti politici con gli Usa erano interrotti ed era l'Urss a fornire aiuti militari e economici. L'allora primo ministro Nehru era un fan del socialismo leninista, purtroppo solo a livello teorico...».

C'è un fenomeno intrigante ora fra i giovani filmmaker che girano opere a basso costo in digitale o in 16mm contaminando tradizione e sperimentazione. Girati in inglese dai figli della middle class nei grandi centri urbani, da Mumbay (nome hindi di Bombay), a Delhi, da Calcutta e Gast nel West Bengala, a Hyderabad, Andhra Pradesh e Chennay (dal 2000 il nome in lingua tamil di Madras, centro della produzione Bollywood) nel sud dell'India si snocciolano titoli come Bombay Boys di Kaizad Gustad, Hyderabad Blues di Nagesh Kukunder, Mango Soufflé di Mahesh Dattani o English August di Dev Benegal. Potrebbero essere loro a rispondere alle esigenze avanzate dagli indiani di voler un cinema diverso accanto alla fabbrica di sogni bollywoodiana e al cinema d'autore indirizzato più al pubblico ristretto dell'intellighenzia che oltre a amare i film di Sathajit Ray un tempo amavano Rossellini, De Sica, Antonioni e oggi adorano Moretti, Benigni nonché Tornatore. Per contro Bollywood, per superare la crisi in India, gira già pensando all'audience occidentale. «Un esempio di questo nuovo fenomeno, benché venduto come film d'autore, è Monsoon Wedding di Mira Nair - aggiunge Ramachandran - un'opera cinica che ha sfruttato un genere finora sottovalutato e non a caso in India è stato un grande flop, facendo più rumore sui giornali che incassi al botteghino...».