il manifesto - 15 Ottobre 2002
E' arabo, ammazzalo
Massacrato con spranghe e mazze da baseball un giovane marocchino a Roma, è in coma. L'agguato compiuto da un gruppo di «irriducibili» laziali, arrestati. Un quartiere lacerato fra degrado e violenze ultrà
CINZIA GUBBINI
ROMA
E'stato un agguato in piena regola, un'aggressione preparata. I due ultras della Lazio che domenica sera hanno pestato a sangue il marocchino Abdel Kay a Roma hanno deciso una vera e propria spedizione puntiva ai danni di un immigrato. Probabilmente ai danni di un qualsiasi immigrato. Non si sa cosa sia successo all'incrocio tra via Carletti e via della stazione Ostiense: il movente dell'aggressione non è chiaro. I due appartenenti al gruppo laziale degli «Irriducibili» dicono che Kay - ora ricoverato in coma - avrebbe infastidito una ragazza. Ma le testimonianze di chi ha assistito al pestaggio, affacciato alla finestra di casa, gridando «Disgraziati, lasciatelo stare», raccontano un'altra storia: «Ho visto un ragazzo che correva, chiedeva aiuto, dietro di lui altri quattro con delle mazze da baseball in mano - racconta Filippo, un ragazzo che ha visto tutta la scena dalla finestra di casa - Al primo incrocio, è uscito un altro gruppo di persone, anche quelle con le mazze in mano. Saranno state in tutto sei o sette». Insomma, un accerchiamento. Abdel si deve essere trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. «Lo hanno picchiato a sangue, io gridavo e due di loro si sono spaventati e sono scappati. Il ragazzo si è rialzato e si è appoggiato a una macchina dall'altra parte della strada. Allora uno di quei balordi gli si è messo davanti, e ha sferrato un colpo in pieno viso. Così, a sangue freddo». La Digos ha arrestato due persone del «commando»: si tratta di Stefano Celi, 28 anni, noto nel quartiere come «er pasticca», e Simone Belli, 19. Entrambi «Irriducibili», entrambi frequentatori della sede del gruppo che si trova all'incrocio tra via Carletti e Via Bossi. Kay, 31 anni, invece, è un facchino, lavora per una cooperativa e vive in Italia da quattro anni con la sorella più piccola, che ieri ha trascorso tutta la notte fuori dalla sala di rianimazione. Impaurita, quasi si vergogna di piangere quando vede il fratello che viene portato in radiologia attaccato a un respiratore, con la testa completamente fasciata e gli occhi chiusi. Il suo fidanzato, Vittorio, un italiano racconta: «Abdel lavora da sempre, stava finalmente per essere regolarizzato con la sanatoria. E' uno tranquillo, gli piace il calcio, ma non ha certo i soldi per andare allo stadio». Insomma, uno che non ha tempo da perdere, e figurarsi se ha voglia di importunare le ragazze dei bulli del quartiere come sostengono gli aggressori. Lui che in quel quartiere ci va ogni tanto e dorme da amici in un seminterrato. Oppure si appoggia a casa del ragazzo della sorella, a Tivoli e cerca sempre di non dare nell'occhio, perché è «clandestino». «Lo chiamavano il fantasma», racconta Vittorio.

Er pasticca, Stefano Celi, e Simone Belli invece sono due che si mettevano in mostra, eccome. Non appartengono a gruppi politici, ma la loro violenza è nota tanto che Celi aveva già subito il provvedimento di allontanamento dagli stadi. Due «mele marce», insomma, conosciute dalla polizia. Secondo la quale lo sfondo razziale dell'episodio non è da mettere in discussione, e il motivo addotto da due giovani per giustificarsi «è assolutamente pretestuoso». Adesso sono accusati di tentato omicidio con l'aggravante delle motivazioni razziali.

Certo non erano soli. Altre due persone sono state individuate e risultano irreperibili, mentre si sta tentando di identificare almeno un quinto aggressore. E sicuramente non sono neanche troppo furbi, visto che per l'ansia di scappare hanno lasciato per terra un cellulare e tre mazze con su scritto «Irriducibili» e «Digos boia», simili a quelle trovate dentro la sede, ora sotto sequestro. Il gruppo ultras, tuttavia, sconfessa l'azione; e ieri pomeriggio parlava di «complotto», dolendosi per «l'evidente danno di immagine».

Ma quel gruppo di ragazzi che il sabato prepara gli striscioni per la partita non è ben visto dagli abitanti del quartiere. «Disgraziati», «teste calde» , «pericolosi», sono gli aggettivi che usano gli abitanti della via, ancora sconvolti per l'accaduto e ben attenti a non dire il proprio nome per paura di ritorsioni. Ma le stesse persone sono anche stanche di vivere in un quartiere che ha perso il lustro di un tempo: «Io ho paura a portare fuori il cane la sera», confessa Sara. Sono tantissime le persone che dormono per strada, in una zona molto «ricca» della città, in continua ristrutturazione per «rivitalizzare» il quartiere ma dove mancano completamente interventi sociali e culturali. «Da queste parti chi lavora per costruire una convivenza democratica è abbandonato», dicono i ragazzi del vicino centro sociale Villaggio Gobale. «Quel quartiere è una bomba a orologeria».