il manifesto - 11 Ottobre 2002
L'indotto del giovane Abdel
Lavorare (al nero) in Tunisia per conto dell'industria dell'auto italiana. Condizioni tragiche e pochi soldi per pagarsi otto tentativi di sbarcare in Italia clandestinamente. Storie di auto, di globalizzazione e di emigrazione, viste dall'altra parte del mare
LEO PALMISANO
TUNISI
Abdel è un uomo di 30 anni che ha abbandonato la scuola dopo la bocciatura all'esame di licenza liceale. Abita in una cité (quartiere povero) di Tunisi con i genitori: la madre fa la colf presso varie famiglie occidentali che abitano nella capitale; il padre ha perso il lavoro da tempo perché alcolizzato. Abdel lavora in una fabbrichetta sita in un edificio a due piani con i muri scrostati, dietro il palazzo del ministero degli interni, in un quartiere industriale una volta meta di numerosi imprenditori italiani. I fumi della resina si vedono e pizzicano il naso non appena si varca il cancello. Tre operai la spalmano sulla superficie di quella che sembra una vasca da bagno ma che potrebbe essere la carrozzeria di un'auto da corsa; nessuno ha delle protezioni sul viso, neanche il saldatore.

«Lavoro qui da due mesi e qualcosa; c'è chi ci lavora da cinque anni. Non so come fanno, perché io già comincio a tossire, anche se spero sempre che siano le sigarette. Dal lunedì al venerdì, dalle 8 alle 12 e dalle 13 alle 17 e oltre, dipende dalle consegne del sabato. Il sabato dalle 8 alle 15, ma se c'è da consegnare facciamo anche di più. Facciamo automobili e bus per l'Alfa Romeo. Automobili da corsa: non tutto, però, solo la scocca in resina, quella più leggera, come per le barche. Facciamo tutto a mano, è un lavoro difficile, di precisione. Dobbiamo stare molto attenti, perché ci vuole pazienza, siamo come degli artigiani. No, questa non è la sede dell'Alfa in Tunisia, l'Alfa sta a Cap Bon, dove il boss ha un castello. Sai, lui chiama i suoi operai anche per farsi pitturare la casa o per curare il giardino, fargli da autista. Sono cose che devono fare, me lo dicono altri che hanno visitato la fabbrica o che ci lavorano. Non prendono di più, perché lavorano lì quando dovrebbero essere in fabbrica. Lui è il proprietario, capisci? Chi può dirgli di no?

In fabbrica per 120 dinar

Solo quelli con il contratto, che saranno 3 o 4 su 24 lavorano lì; tutti gli altri, uomini e donne - perché ci sono delle ragazze che ci lavorano - non hanno contratto e stanno qui. La mia paga è 120 dinar al mese (circa 90 euro) e questo lavoro non mi piace perché è pericoloso. Lavoro senza protezione con la resina, e la resina ti entra nei polmoni. Non ci sono filtri, dobbiamo strappare delle magliette e mettercele sulla bocca e sul naso, altrimenti respiriamo tutto. C'è solo una maschera in tutta la fabbrica, e non funziona nemmeno. Qualcuno è pagato di più, dipende dalla mansione e dall'anzianità. Io sono quasi l'ultimo arrivato, quindi non posso reclamare, sennò mi cacciano e lo dicono a tutte le ditte che sono nel quartiere, così dopo non posso più lavorare qui. Siamo controllati, è la norma. Anche gli italiani ci controllano, ci dicono che non dobbiamo lamentarci, perché lavoriamo per una grossa ditta e che forse arriveremo a lavorare a Cap Bon, ma io lo lascio prima questo lavoro.

Ogni tanto ci dicono che ci saranno dei controlli da parte delle autorità, ma l'ingegnere dell'Alfa, che è un italiano che lavora a Cap Bon ma che viene quando ci sono da fare le consegne, ha dei buoni contatti e non verrà mai nessuno a controllarci. E poi la fabbrica è come se non esistesse, perché non c'è niente di regolare. L'Alfa sta a Cap Bon, non qui. E poi ancora qui quasi tutte le fabbriche lavorano così: tedesche, francesi, tunisine... Non siamo gli unici.

Incidenti? Ce ne sono sempre. Ci tagliamo spesso, ma non possiamo usare i guanti perché non ce ne sono, e non c'è un'infermeria, ma solo una bottiglia di alcool se qualcuno si fa male. Ho dei colleghi che sono a casa in malattia perché si sono sentiti male, si sono intossicati, tossivano sangue e si sentivano stanchi, perché la resina fa così, te ne accorgi subito. E anche le vernici. È soprattutto quando abbiamo le consegne che si lavora di più. Il sabato arriva un container e carica i pezzi, docici per volta, e poi li imbarca al porto. Sono quei pezzi che dovrebbero venire da Cap Bon. Questo lavoro si fa qui perché così pagano meno dei regolari di là e ci fanno fare degli orari che altrove non si fanno. Forse cominceremo a lavorare di più perché quest'Alfa prenderà delle commesse da altre ditte come la Ferrari. Così ho sentito dire dall'ingegnere. E' lui che gestisce questa fabbrica. Non lo so di preciso di chi sia la proprietà; c'è chi dice dell'ingegnere, chi dice dell'Alfa. Non lo so ma che cambia? C'è un tunisino tutto ben vestito che sta sempre qua. È a lui che si chiede per essere assunti. A Tunisi tutti lo conoscono. Io ci sono arrivato tramite un amico, perché ci sono tanti che vengono a lavorare qui in fabbrica, ti pagano meglio che in altri posti. Però con quei soldi non posso fare niente. Ormai ho 30 anni, e vorrei farmi una famiglia, dei figli, andare a vivere da solo, ma non posso, non ce la faccio

.Tutte le volte che ho tentato di emigrare

Voglio riprovare a partire per l'Italia: costa quasi 1000 dinar (circa 750 euro); se lavoro per un anno forse ce la faccio a pagarmi il viaggio. Ho provato a partire otto volte, dico otto, ma non ci sono mai riuscito, Mai. Sono sfortunato, forse, però mi piace l'Italia. Sai, il fatto di lavorare per l'Alfa mi fa amare di più l'Italia, voi amate la velocità, come noi tunisini, le belle macchine... Prima facevo dei lavori per cui ero pagato meno e lavoravo anche di più. In Tunisia non è facile lavorare se hai già 30 anni. Ne ho di amici che sono partiti e che hanno fatto un po' di fortuna. Alcuni sono partiti con delle ditte italiane, ma io non potrò fare così, perché non è possibile. Prima di me ci sono tutti gli altri e non voglio lavorare così a vita, anche se dicono che in Italia si è più protetti, ma io non ci credo. Non conosco la legge italiana, ma mi tengo in contatto con degli amici che sono lì. In realtà non sono molti, ma ogni tanto li chiamo.

L'ultima volta che ho provato a partire è stato l'anno scorso. Erano otto anni che stavo con una ragazza, e lei mi diceva che dovevo cercarmi un lavoro. Allora le ho detto che partivo per l'Italia, ma quando non ci sono riuscito lei mi ha lasciato. La prima volta sono partito nel 1991, con degli amici. Poi ho provato più volte, ma mi è sempre andata male. Ti racconto come funziona. Io vado in un caffè dove so che c'è qualcuno che può procurarmi un posto per partire. Alcune persone fanno circolare la voce che si può partire, poi raccolgono la gente. Non sono loro i passeurs (uassìd, in arabo), ma spesso dei tunisini che si pagano il viaggio recuperando cinque o sei persone. C'è un accordo tra loro e il passeur. Questi caffè non li trovi dappertutto, ma solo in alcuni quartieri di Tunisi, come nel mio o a El Omrane, Ras Ettabia, nella Medina... lì tu prendi accordi e paghi un anticipo, così prenoti il posto sulla barca (balancies). Ti dicono di farti vedere nel caffè, per sapere quando si partirà, ma possono anche non farsi vedere più. È capitato anche a me, ho pagato e ho perso l'anticipo, perché forse la polizia li ha scoperti, anche se qualcuno mi ha detto che erano poliziotti proprio quelli a cui ho dato i soldi . Se ti va bene, dopo due settimane ti avvisano, allora ti dicono che devi andare in quel paese, che può essere Tbulba o Kebalta, sotto Sousse e Monastir, poi cambiano sempre; ma ci devi arrivare come ti dicono loro.

A me hanno detto di non farlo in taxi, perché i tassisti ti vedono forestiero e s'insospettiscono e possono chiamare la polizia. Allora io ci sono andato in treno, ma non sono arrivato direttamente lì, ho dovuto passare da M'saken e da lì risalire. Non devi arrivarci direttamente, loro non vogliono. Questo serve per sicurezza. Una volta che arrivi sul posto, di solito hai appuntamento in un mercato perché c'è troppa gente, lì vedi l'uomo che ti conosce, ma non gli devi parlare, lui ti fa cenno di seguire una certa direzione, e tu la segui sempre, senza fermarti mai, perché prima o poi arrivi in un caffè dove c'è già qualcuno come te che aspetta.

Al caffè un altro ci dice di uscire separati e di raggiungere a piedi una spiaggia entro una certa ora. Ci dà le direzioni e noi partiamo. Non si può camminare tutti insieme, è pericoloso. Allora si marcia anche per dodici quindici chilometri, al tramonto, perché così nessuno ci guarda in faccia. Quando siamo sulla spiaggia dobbiamo aspettare che passi la barca, che deve farci un segnale luminoso. In quel momento paghiamo il resto. Qualcuno paga direttamente il pilota, se questo è l'accordo. L'ultima volta è andata così, sono partito e sono arrivato quasi a Lampedusa; ma la polizia italiana s'è messa ad inseguirci costringendoci a rientrare a Mahdia; lì c'era la polizia tunisina che ci aspettava. Forse erano stati avvisati dai loro colleghi italiani, non lo so. Ho visto dei pezzi grossi. Ci hanno portati in questura e ci hanno arrestato.

In quaranta su una barca

Quando sono arrivato al carcere, ho conosciuto un avvocato che mi ha detto che ci faceva uscire se accettavo di rifare il viaggio con un altro uassìd. Non avevo molti soldi, ma ho rifiutato lo stesso. Forse ho fatto bene perché non so se questi avvocati lavorano per la polizia o per questa e per gli uassìd, forse tutti ci mangiano. Molti abboccano ma non ho potuto verificare come gli va a finire, sai qui è meglio non parlare con nessuno di queste cose, in giro ci sono sempre troppi spioni e sbirri.

Un'altra volta ho deciso di partire da Mahdia, avevo già pagato, ma ci hanno fatto aspettare in campagna per nove giorni. Eravamo quasi 40, c'erano senegalesi, marocchini, libici, uomini e donne. Ci portavano da mangiare ogni giorno e ci dicevano che dovevamo aspettare il bel tempo per la traversata, ma il decimo giorno è arrivata la polizia, allora siamo scappati negli uliveti e ci siamo rimasti per tre giorni, senz'acqua. Io mangiavo olive, ma ero assetato, così ho cercato dei contadini ma non ne ho trovati, allora sono tornato nella casa dove ci avevano raccolti e visto che non c'era più nessuno ci sono entrato. Lì dentro, però, sono arrivati i proprietari, mi hanno detto di aspettare ma ho capito che volevano chiamare la polizia e allora sono scappato di nuovo. Quella volta mi è andata bene, è stato nel 1998. Non sempre si parte dalla costa centrale della Tunisia, finora quando vuoi prendere una barca è lì che si va perché è stato il punto meno controllato. Tutta la zona da Hammamet fino a Chela è piena di porticcioli e di balancies.

Una balancie di sedici metri può portare fino a 32 persone, ognuna paga 1000 dinari. Le barche non sono dei passeurs. I passeurs fanno dei contratti stagionali coi proprietari per la pesca, poi cercano un pilota capace e si accordano sul prezzo del trasporto. Così il proprietario può dire che non ne sapeva niente. Non so se a volte le barche siano rubate; forse succede, ma è pericoloso. So che fanno dei contratti, così nessuno sa niente dell'altro. Sono contratti regolari, registrati alla capitaneria. Anche se tutti sanno che l'uassìd non fa la pesca, nessuno gli nega l'affitto della barca. Se la barca è sequestrata o va perduta l'uassìd la ripaga al proprietario, lo stabilisce il contratto. Ma quando una balancie è sequestrata, l'uassìd fugge, perché dal contratto lo possono prendere. Allora qualcun altro versa i soldi al proprietario così non parla con la polizia. L'uassìd non viaggia mai, c'è sempre e solo il pilota. Una volta non ho nemmeno conosciuto l'uassìd. Un'altra volta si è presentato alla partenza, su un camion, per farsi pagare e augurarci buon viaggio. Finora io ho conosciuto solo uassìd tunisini, ma so che ci sono dei turchi, degli egiziani e dei libanesi. Poi ci sono i libici che ti portano a Malta, questi li conosco. Devi andare nel sud e lì devi domandare di passare la frontiera, poi arrivi in Libia e cerchi il passaggio. Ma ci sono dei libici che vengono qui a cercare i passeggeri, perché ce ne sono di più che in Libia. Sembra che da Malta sia più facile.

Prendere contatti con un passeur dipende se sei nel quartiere giusto o se hai dei soldi. Ma devi sempre fare attenzione, perché ci sono quelli che fingono, che ti rubano i soldi, o che ti promettono un passaggio e non te lo danno. A me è capitato una volta, ero su un camion, al porto di Tunisi. Mi ero nascosto in un tubo di acciaio per l'acqua che doveva arrivare a Genova. Il tunisino che portava il camion mi aveva caricato, ma quando è arrivato il camionista italiano che gli doveva dare il cambio per il viaggio, mi ha scoperto e mi voleva denunciare, allora mi sono gettato in mare. Avevo pagato 350 Dinar.

Costa sempre di meno andare in nave, ma ti prendono quasi sempre. Comunque nessuno ti restituisce i soldi. Quella volta rintracciai l'autista, ma quello mi disse che se li era spesi, allora mi promise un altro viaggio, ma non l'ho più fatto perché di quello non mi fido. Poteva denunciarmi. Quasi ogni anno ho provato a partire per l'Italia. Non ho mai cambiato destinazione perché per arrivare in Francia è meglio passare per l'Italia, e se vuoi andare in Spagna devi arrivare in Marocco in aereo. Forse la prossima volta passo da Malta, perché lì trovo subito degli italiani che mi danno degli indirizzi».

La stampa tunisina ha parlato molto dell'annegamento di decine di tunisini vicino alla spiaggia di Scoglitti le settimane scorse. E a proposito del rischio di morire, ecco cosa dice Malek, 18 anni, che abita nella seconda città della Tunisia, e vuole cercare di partire clandestinamente.

La paura di morire in mare ti passa

«Paura di morire in mare? Sì, certo, chi è non ha paura? La paura la superi una volta che sei in barca. Noi lavoriamo anche un anno per partire, non possiamo permetterci di farci fermare dalla paura. Qui, nel quartiere, c'è una famiglia che non ha notizie di due figli da due mesi; nessuno sa se sono vivi o morti. Sai, per noi che non possiamo «permetterci» un visto, o un amico all'ambasciata, il mare è l'unica via. Cosa vuoi che c'importi della paura? Il costo del viaggio dipende dalle stagioni, adesso che c'è più controllo in mare costa intorno ai mille dinar (circa 750 euro). Si lavora per un anno e poi si parte, tanto i viaggi ci sono sempre. Per contattare gli organizzatori basta andare in quel quartiere vicino; ci sono due o tre caffè dove c'è sempre qualcuno che prepara un viaggio. Non è difficile, basta farsi vedere interessato, mostrare un po' di soldi, e ti procuri il passaggio. Qualche volta vengono a cercarci direttamente nel nostro quartiere, ma si tratta di parenti o amici di qualcuno che vogliono procurarsi il passaggio gratis portando quattro o cinque di noi.

Le famiglie non sono tutte contente, ma acconsentono, che devono fare? Mia madre è d'accordo, perché qui non posso fare gran che: la Tunisia è troppo cara per i tunisini. Mangiare, farsi una famiglia, una macchina costano parecchio. Come fai se quando sei veramente fortunato guadagni 200 dinar? Poi c'è la politica. In Tunisia tutto è nascosto. Devi stare zitto perché chiunque può parlare con la polizia, e gente come me se è arrestata non lavorerà più. Allora non è meglio partire?».