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il manifesto - 08 Ottobre 2002 OIPAZ pagina 18
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pag.18

OIPAZ
La fuga dei camici bianchi
MARCO D'ERAMO
 
L'obelisco della discordia
ANGELO DEL BOCA
 
 

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La fuga dei camici bianchi
Africa addio Medici e infermieri lasciano gli ospedali d'Africa per i paesi sviluppati. In cerca di stipendi e condizioni di vita migliori


E' emergenza Aids L'epidemia, complice la carestia, potrebbe uccidere milioni di persone. E i mal equipaggiati ospedali sono pieni di morenti

MARCO D'ERAMO
Martin Vogel fa il medico a Shaunavon, un paese di 2.200 abitanti dello Saskatchewan, in Canada. James Temlett è neurologo ad Adelaide, in Australia. Sikinive Kumalo fa l'infermiera in Gran Bretagna. In comune hanno di lavorare nella sanità e di venire tutti e tre dal Sudafrica. Sono solo tre casi della grande fuga di personale medico che sta subendo l'Africa australe. Il peggior caso è lo Zambia dove oggi ci sono in tutto e per tutto solo 400 dottori (per 8,8 milioni di abitanti). Ma solo pochi anni fa lo Zambia aveva 1.600 dottori, pochi rispetto agli standard dei paesi ricchi, ma pur sempre il quadruplo di oggi. In Zimbabwe, nell'ospedale principale di Bulawayo, seconda città del paese, tre dei quattro chirurghi sono partiti quest'anno per l'estero. La fuga dei medici e degli infermieri si verifica come il travaso di liquido nei vasi comunicanti. C'è prima una migrazione dai vari paesi verso le nazioni africane più ricche, come Sudafrica e Botswana, poi dal Sudafrica verso il Commonwealth. Dice un medico canadese: «I dottori canadesi vanno negli Stati uniti, i sudafricani si trasferiscono in Canada per sostituirli; allora il Sudafrica drena medici dallo Zimbabwe e così via in una carosello da pazzi».

Secondo la South African Medical Association (Sama) almeno 3.500 dei 26.000 dottori sudafricani vivono all'estero, ma la cifra reale è più vicina ai 5.000 medici emigrati. E secondo il maggior sindacato di infermieri del paese, Denosa (Democratic Nursing Organization of South Africa), più di 300 infermieri lasciano il paese ogni mese. L'emigrazione si dirige verso gli Stati uniti e i paesi ricchi del Commonwealth (Australia, Canada, Gran Bretagna e Nuova Zelanda).

Questi quattro paesi sono grandi consumatori di medicina, ma nello stesso tempo hanno penuria di dottori. Gli Usa hanno infatti solo 2,7 dottori ogni mille abitanti; l'Australia 2,5; la Nuova Zelanda 2,2; il Canada 2,1; la Gran Bretagna 1,7. A paragone, la Germania ne ha 3,5; la Spagna 4,4 e l'Italia 5,9. Il Sudafrica ha invece un medico ogni 1.684 abitanti, il Kenya uno ogni 6.000 abitanti e lo Zambia un dottore ogni 22.000 abitanti. Questo senza guardare le varie specialità: così per esempio, il direttore dei servizi medici del Kenya ha detto al quotidiano di Nairobi Daily Nation che il paese ha 600 dentisti in tutto, cioè un dentista ogni 69.000 abitanti!

Senza l'afflusso di medici stranieri, il sistema sanitario dei ricchi stati anglosassoni sarebbe ancora più in crisi di quanto è oggi. Vi sono oggi 1.500 medici sudafricani in Canada. Nel Saskatchewan quasi un quinto dei 1530 dottori praticanti viene dal Sudafrica, tanto che il dottor Martin Vogel è stato il primo sudafricano a diventare presidente dell'ordine di medici di questa provincia. Il sistema sanitario inglese è in crisi così profonda che ha difficoltà a reclutare in patria e quindi si rivolge all'estero (come d'altronde fa anche il sistema scolastico inglese che recluta maestri e insegnanti dalle ex colonie). Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), di recente un paese europeo ha reclutato un'intera leva di infermieri diplomati di un paese africano.

Vi sono perciò vere e proprie agenzie di reclutamento che pubblicano pagine intere di pubblicità sui giornali. Una di queste agenzie, la Pearls International Nursing Agency, con sede in Gran Bretagna, ha pubblicato una pubblicità sul quotidiano di Harare Daily News in cui invita, per conto di istituzioni sanitarie canadesi e australiane, infermieri diplomati dello Zimbabwe a formulare domande di assunzione. Nel suo immaginifico linguaggio, il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ha detto che la Gran Bretagna viene «alla fine della notte per rubare infermieri, dottori e farmacisti» dal paese.

D'altronde i paesi ricchi offrono salari infinitamente più alti. In Sudafrica un'infermiera diplomata può guadagnare al massimo 716 dollari Usa al mese (un dollaro vale circa un euro), e il suo stipendio base, dopo quattro anni di studio, è di 296 dollari. In Zimbabwe lo stipendio di un infermiere è di 281 dollari. In Canada o in Australia gli stipendi sono almeno il triplo: anche se il costo della vita è più alto, rappresenta sempre un bel salto.

Poi, ognuno ha le sue motivazioni. Per molti conta anche lo stress del lavoro. Il Christian Science Monitor ha intervistato a Johannesburg l'infermiera Sikiniwe Kumalo prima che partisse per la Gran Bretagna. Nell'ospedale sudafricano Helen Joseph Hospital aveva la responsabilità totale di 40 pazienti durante il suo turno. In Inghilterra ci saranno solo sei pazienti per infermiera. Il vicesegretario del sindacato degli infermieri Denosa, Thembi Mnogomezulu, ha detto: «Si è innescato un ciclo vizioso, per cui i pochi infermieri leali che rimangono nel servizio pubblico devono affrontare un carico di lavoro sempre più pesante e ormai irrealistico. Come datore di lavoro, lo stato l'anno scorso accettò d'introdurre incentivi per trattenere personale qualificato nei servizi sanitari, Fino a ora questi incentivi non si sono manifestati».

Il neurologo James Temlett lavorava al General Hospital di Johannesburg e insegnava all'università di Witswatersrand: se ne è andato in Australia infuriato per la politica verso l'Aids: il presidente del Sudafrica Thabo Mbeki ha a lungo sostenuto che l'Aids è un complotto bianco e che comunque questa malattia non è poi così grave; per di più, dopo aver vinto la causa con le grandi case farmaceutiche, il Sudafrica non compra le versioni generici dei farmaci retrovirali e taglia il bilancio della sanità: oggi questi farmaci vengono distribuiti soltanto alle vittime di stupro e alle donne incinte, e solo perché una sentenza della corte costituzionale vi ha costretto il governo.

Martin Vogel se ne è andato perché non sopportava la violenza urbana di Città del Capo con i suoi 3,1 milioni di abitanti. Per di più, dopo un anno passato in Canada, quando è tornato in patria, mentre era di turno in ospedale, uomini armati sono entrati in una chiesa durante la messa e hanno cominciato a sparare all'impazzata. E lui ha dovuto assistere a decine di morti e curare decine di feriti.

Vi è infine il desiderio di dare ai figli un'infanzia più serena e un'istruzione migliore. Insomma tutte le ragioni che causano la fuga dei cervelli dal Terzo mondo. Uno studio della Banca Mondiale riferisce che circa 70.000 laureati africani altamente qualificati lasciano la propria patria ogni anno per lavorare all'estero. Nel caso del Sudafrica e dello Zimbabwe un fattore importante per la fuga dei professionisti è la fine dell'apartheid e la perdita di privilegi da parte della «tribù bianca». L'Institute for Development research (Idr) di Parigi ha calcolato che tra il 1987 e il 1997 233.609 persone hanno lasciato il Sudafrica in direzione di Australia, Canada, Gran Bretagna, Nuova Zelanda e Stati uniti, e che 41.000 tra loro erano professionisti. Secondo le statistiche ufficiali, 10.000 persone hanno abbandonato il Sudafrica nel 2000. Ma le stime non ufficiali dicono che il numero di professionisti emigrati all'estero è almeno il triplo delle cifre ufficiali.

La fuga dei cervelli rappresenta una doppia tassa imposta dai paesi ricchi ai paesi poveri. Da un lato infatti istruire un medico costa molto caro e questi soldi sono persi se, appena laureato, il medico va a lavorare altrove. E in Sudafrica i sondaggi dicono che un medico su dieci si dice pronto a lasciare il paese nei prossimi cinque anni e che addirittura un interno su tre si dice pronto a emigrare (dopo la laurea in Sudafrica i medici devono fare un anno di internato in un ospedale pubblico). Dall'altro lato questi paesi poveri devono pagare alti salari per specialisti europei che sostituiscano gli emigrati. Secondo una stima, l'Africa spende ogni anno 4 miliardi di dollari per stipendiare 100.000 expats qualificati (expat è il diminutivo di expatriate, sinonimo di cooperante tecnico).

Questa penuria di personale medico acuisce una situazione sanitaria già drammatica per l'imperversare dell'epidemia di Aids e per la carestia che mette a rischio di morte milioni di persone, in una versione da XXI secolo di quegli Olocausti tardovittoriani di cui ha scritto in modo così impressionante Mike Davis. «Siamo in piena epidemia nazionale. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è gente che salti giù dalla nave. Già ora molti ospedali che hanno molti pazienti morenti sono male equipaggiati e hanno penuria di personale».

I paesi africani hanno chiesto alle altre nazioni del Commonwealth di non reclutare più personale medico e paramedico nel continente nero. Una delegazione sudafricana si è recata in Canada per discutere questo tema. Ma, come si è visto, la diaspora medica dipende non solo dalla domanda dei paesi ricchi, ma anche dall'offerta dei medici e infermieri che cercano una soluzione individuale alla crisi africana. E poi, gli stati potrebbero impedire assunzioni di medici stranieri solo negli ospedali pubblici, mentre, per esempio, gli Stati uniti non hanno nessun ospedale pubblico. E quindi le autorità non potrebbero agire. Se è vero, come sostiene l'Oms, che la peggiore sindrome dell'Africa è oggi non l'Aids o la malaria, ma la fuga dei medici, allora questa malattia peggiorerà ancora.




 
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