il manifesto - 06 Settembre 2002
Quanto costa l'«ospitalità» australiana. In carcere
Ai richiedenti asilo chiusi nei centri di detenzione presentati conti pazzeschi, per molte migliaia di euro
MASSIMILIANO CIVILIHEIDI GLEDHILL
SIDNEY
Dopo sei mesi nel centro di detenzione di Maribyrnong, presso Melbourne, per Shahid Quereshi, asylum seeker, è arrivato il momento di pagare. Il pakistano, che ha ottenuto un visto provvisorio, deve rifondere i contribuenti australiani per il soggiorno offertogli dal governo: 27mila dollari australiani (14.600 euro) per una squallida stanzetta con quattro persone; un materasso logoro e coperte troppo corte come talamo, continui maltrattamenti e insulti degli agenti di custodia e irruzioni nel corso della notte con torcia puntata sulla faccia ogni ora. E tre docce e quattro gabinetti, spesso fuori uso, da dividere fra settanta persone, un solo asciugamano per tutta la durata della permanenza. Ancora, pasti di infima qualità e, soprattutto, nessunapossibilità di uscire da questo incubo per una passeggiata. Shahid ora deve saldare il suo debito con lo stato australiano: 58 euro al giorno, come per un albergo a tre o quattro stelle. La pratica di addebitare i costi della detenzione ai richiedenti asilo quandovengono rilasciati o espulsi è in vigore da molti mesi, ma Qureshi è stato il primo ad opporsi per vie legali, con un'istanza alla Corte federale: secondo il suo avvocato, il «conto» per la detenzione presentato dal governo è contrario alla costituzione.

Generalmente la maggior parte dei richiedenti asilo hanno troppa paura di rappresaglie per contestare l'addebito. Numerosi detenuti nei centri di permanenza hanno ricevuto conti fino a oltre 36mila euro per il costo della loro detenzione, come prescrivono - dopo gli ultimi emendamenti - le leggi australiane sull'immigrazione. Quereshi però sente di non aver nulla da perdere: il trattamento subito è stato così degradante che il governo non potrebbe fargli nulla di peggio.

E mentre proseguono gli ammonimenti degli psichiatri relativamente ai danni che soprattutto i minori subiscono da un'esperienza di detenzione durante la quale sono regolarmente testimoni di tentativi di suicidio e di atti di autolesionismo, giusto un anno fa la vicenda della Tampa irrompeva nel panorama politico aussie. A commemorare la ricorrenza piovono disgraziate dichiarazioni governative: «Le misure di protezione dei confini prese l'indomani di quell'episodio ci hanno consentito di asserire il nostro diritto di determinare chi si stabilisce in Australia».

Era il 26 agosto quando una delle tante carrette cariche di centinaia di profughi - che regolarmente, al termine della stagione delle piogge, solcano le acque dell'Oceano Indiano - stava affondando. Un cargo battente bandiera norvegese, il Tampa, raccolse il segnale di allarme, salvò i clandestini prendendoli a bordo e puntò dritto verso le acque territoriali australiane alla ricerca di soccorsi. La marina australiana intimò più volte al capitano della nave norvegese di fare retromarcia e cercare aiuti nelle acque indonesiane ma questi, viste le pessime condizioni di molti dei suoi passeggeri, disobbedì costringendo il governo a ordinare un abbordaggio.

Più di quattrocento profughi furono salvati ma quell'episodio risultò decisivo per le sorti politiche del paese: con le elezioni alle porte i liberali, già al potere, annunciarono un ulteriore giro di vite contro l'immigrazione illegale . E cavalcando l'onda xenofoba si riaggiudicarono anche quella tornata elettorale. A tutt'oggi, in Australia non sono più entrati immigrati illegali. Gongola il ministro dell'immigrazione Ruddock: «La politica australiana sta creando nuovi standard internazionali in materia di immigrazione e viene osservata con interesse da altri paesi».