il manifesto - 27 Agosto 2002
Uno sceriffo di periferia
Gentilini, sindaco famoso solo per il suo razzismo
ERNESTO MILANESI
TREVISO
E' il sindaco sceriffo della Lega di Marca, cacciatore di «leprotti extracomunitari», alpino Doc tanto da rimetterci la patente di guida. Giancarlo Gentilini, classe 1929, sposato con Teresina, due figli, è nato a Vittorio Veneto ma con la fascia tricolore amministra il Comune di Treviso dal 1994. Incarna perfettamente lo spirito della città. Per 35 anni ha lavorato all'ufficio legale di CassaMarca, la banca di Treviso, fino a dirigerlo. Una scrivania preziosa per tessere e archiviare conoscenze, legami, informazioni. Sempre all'ombra di Dino De Poli, il democristiano (tanto da raggiungere il parlamento) che sa tenere insieme economia e consensi.

Gentilini si affaccia alla politica sull'onda lunga del leghismo. Starà sempre dalla parte di Bossi quando qualcuno strappa la bandiera della Lega, ma ogni volta in versione trevigiana: strizzando l'occhio ad Haider, esaltando i «berretti verdi», spendendosi personalmente perfino nello scontro elettorale con Forza Italia. Conquista il municipio per la prima volta, vincendo la sfida con il Tognana zio dell'attuale vice-presidente di Confindustria. Si ripeterà con un vero e proprio plebiscito nei confronti di Luciani, l'architetto della Fondazione della famiglia Benetton. Slogan della campagna: «Un sindaco, non una poltrona». Mossa vincente: il mazzo di carte da tresette con la sua faccia. Non potrà ripresentarsi alla scadenza del mandato: tuttavia, da sindaco a maggio ha contribuito in modo decisivo alla conferma di Luca Zaia alla presidenza della Provincia. Eletto consigliere dalla «sua Treviso», ha offerto le dimissioni.

Gentilini crede davvero in quello che dice, tanto da interpretare «istituzionalmente» quello che pensano i suoi elettori trevigiani. E si comporta di conseguenza, come quando fa eliminare le panchine per evitare che gli immigrati deturpino il civico decoro, stampa il teschio sull'asfalto delle strade pericolose, inneggia agli «alpini padani» ed esalta la razza Piave. E' il sindaco che chiude il teatro comunale perché «improduttivo» ma che non si perde una sagra.

Paternalisticamente decisionista, spudoratamente di parte. Gentilini non è un provocatore, piuttosto ci tiene ad essere il generale dell'esercito leghista di Treviso. Gli immigrati? «Travestiamoli da leprotti, così i nostri cacciatori potranno esercitarsi...». La droga? «Se vedo uno spacciatore fuori dalla scuola, io lo ammzzo». La sicurezza? «Bastano i miei berretti verdi, che dipendano da me senza interferenze di prefetto o questore».