il manifesto - 25 Agosto 2002
Dove sei cara e dolce Albania?
Tirana anno zero «Tutti dicono di voler andare in America o in Italia, ma poi tutti vogliono tornare...». Incontro con il regista albanese Fatmir Koci
NICOLA FALCINELLA
Un ragazzo di 23 anni che abita a Tirana con i genitori e per vivere si ritrova ad accompagnare un tedesco che ha acquistato un vecchio bunker nel sud del paese e lo vuole portare verso i centro Europa. La sua fidanzata, la bella Klara, non vede l'ora di partire verso l'Italia e sognare un avvenire migliore, magari nel dorato mondo dello spettacolo che vede ogni giorno in tv. È l'asse portante di Tirana, anno zero, un road-movie ritratto di un'Albania in movimento del quarantenne Fatmir Koci, al debutto nel lungometraggio. Presentato alla Mostra di Venezia 2001, il film ha recentemente ricevuto una menzione al festival di Frontiera di Siracusa. Abbiamo incontrato il regista in occcaione della sua partecipazione al festival di Friburgo dove era presentato fuori concorso.

Quale immagine di Tirana ti interessava mostrare?

Il modo di mostrare la città, o la scelta dei movimenti di macchina non sono finalizzati ad accentuare le situazioni, ma a mostrare cosa succede nella vita reale, volevo ci fossero il paesaggio e la gente. Tutto è basato su storie vere, sia la vicenda principale di Klara sia quelle secondarie: ho preso dalle cronache dei giornali e da quel che mi hanno raccontato gli amici. È collocato nel 1998 ma è un quadro dell'Albania negli anni Novanta, un insieme di storie che raccolgono gli stati d'animo degli albanesi in quegli anni. A loro è rivolto questo film.

Al centro c'è il desiderio di emigrare, tutti gli sforzi di Klara sono per convincere il fidanzato a partire...

Nel film e anche nella realtà tutti dicono di voler andare in America o in Italia. La stessa protagonista parte e poi torna, o almeno è quello che lascio intuire. Non ho fatto il film per dare un giudizio su chi parte o su chi resta, non è nemmeno possibile, serve tempo per vederne gli effetti sulla società, per vedere le scelte di ciascuno e per misurarne i drammi. Quando l'Albania usciva dalla dittatura, l'immigrazione era positiva perché dentro non c'erano posti di lavoro ora non lo so, il paese sta cambiando, io preferisco contribuire dall'interno.

Quali sono le caratteristiche dell'emigrazione albanese?

Penso che partano per non tornare, per stabilirsi altrove. Quando però conoscono la realtà fuori diventano emigranti classici, con la voglia di tornare, tormentati dal dilemma sul che fare, con la nostalgia che uccide l'emigrante. Solo pochi riescono a superare questo ponte dell'integrazione, necessario per vivere a Milano o in un'altra città. Io non ho mai voluto emigrare, ho osservato e ascoltato gli altri. La fuga di un milione di persone in poco più di 10 anni è stata una questione internazionale perché ha interessato molti paesi. L'Albania era un paese chiuso, una dittatura opprimente, non si poteva uscire o entrare in contatto con altri, l'unica cosa positiva è che si studiava, c'erano buone scuole di arte o di musica sul modello russo. Nel frattempo l'immaginazione degli albanesi lavorava nel fare apparire tutto splendido all'estero. Il ruolo delle tv è stato fondamentale per far scattare il desiderio, per far compiere questo salto mortale a molte persone.

L'Italia è molto vicina all'Albania ma la conosce pochissimo, e non conosce neppure il suo cinema.

Produciamo 2-3 film l'anno, ma penso che in Italia si sia vista solo qualche pellicola di realismo socialista. Il mio è andato a qualche festival e stiamo cercando una distribuzione italiana. Mostro una faccia meno nota del paese, in maniera quasi neorealista, sarebbe importante farlo vedere. Il rapporto reciproco è una cosa che noi sentiamo molto, l'Italia è culturalmente un paese di riferimento, per la storia e per la religione, non dimentichiamo che i cattolici sono il 22% della popolazione. E politicamente siamo entrambi un gran «casino».

E il futuro dell'Albania?

Ci dobbiamo giocare la chance di essere tra ovest e est. Non dobbiamo diventare come i paesi occidentali, credo ci sia una via migliore e che per essere accettati non si debba per forza diventare come la Germania o l'Italia, anche se l'occidente ha cose molto buone come la democrazia aperta. Noi siamo un paese piccolo ma bellissimo, con risorse naturali, siamo un incrocio di culture. Dovremmo però lavorare tutti, invece molti preferiscono stare nei bar o girare in macchina. La nostra storia recente, con l'arrivo del capitalismo, è stato un su e giù

Ora sta lavorando a un nuovo film...

Sto adattando L'année noire di Ismail Kadarè, ambientato nel 1914, quando i grandi d'Europa misero sul trono d'Albania Wilhelm, un re tedesco che restò solo 6 mesi. Cerco elementi simili tra il passato e il presente. Sarà probabilmente una coproduzione fra la mia società ed altre europee.