il manifesto - 09 Agosto 2002
Siviglia, sgomberato l'«encierro» degli immigrati nell'università
La polizia fa irruzione all'alba nella Pablo de Olavide, occupata da due mesi, e arresta 270 magrebini. Portati nel cpt di Tarifa, saranno espulsi
Nessuna mediazione Gli immigrati, lavoratori stagionali nelle campagne, chiedevano la regolarizzazione. Ma il governo ha scelto la linea dura

ANGELO MASTRANDREA
Per «evitare l'inevitabile aumento della tensione» (citiamo testualmente dalle agenzie di stampa) l'università aveva fornito loro «tavoli da ping pong e altri giochi». Ma due settimane fa l'atteggiamento era cambiato: «I giochi furono ritirati e gli occupanti furono invitati a sgomberare». Peccato che insieme ai giochi alle centinaia di immigrati magrebini asserragliati nell'università Pablo de Olavide di Siviglia sono stati ridotti anche cibo e acqua, e che al gruppo di contatto del locale Social forum sia stato impedito ogni contatto con gli occupanti. Fino a ieri mattina alle 6,15, quando centinaia di poliziotti in assetto anti-sommossa e a cavallo hanno fatto irruzione nel campus, dal 15 luglio abitato solo dagli immigrati in lotta, e abbiano arrestato tutti o quasi gli occupanti, sorpresi in pieno sonno. A chiedere lo sgombero, il vicerettore dell'università Juan Jimenez (la rectora Rosario Valpuesta, che pure nei primi tempi dell'occupazione si era opposta a qualsiasi intervento con la forza all'interno del campus, è in vacanza), dopo che lo stesso aveva provveduto, nei giorni scorsi, a presentare formale denuncia contro gli attivisti del gruppo di contatto, accusati di aver preso soldi da non precisati paesi arabi e non si sa bene perché, e dopo aver dichiarato che «l'encierro si è trasformato in una forma di lotta senza alcuna possibilità di riuscita» proprio per colpa degli attivisti, che non avrebbero accettato la mediazione del «difensore del popolo» Juan Chamizo, che aveva proposto di valutare caso per caso e regolarizzare gli immigrati che avevano le carte in regola. Ma facciamo un passo indietro, e ricostruiamo una storia peraltro ben nota ai lettori del manifesto. E' il 10 giugno, siamo alla vigilia della cumbre dell'Unione europea a Siviglia, e 450 immigrati, per il 90 per cento algerini, occupano tre padiglioni della seconda università cittadina, cercando di approfittare dell'inevitabile attenzione mediatica dovuta all'imminente vertice, che avrà all'ordine del giorno proprio il tema dell'immigrazione. La loro rivendicazione è prettamente locale, anche se interessa migliaia di marocchini e algerini che oltrepassano lo stretto di Gibilterra per cercare lavoro in Spagna: il governo autonomo dell'Andalusìa, infatti, ha deciso di fare un contratto stagionale a 7.500 donne provenienti dall'est europeo per la raccolta di fragole nella zona di Huelva, invece di regolarizzare i seimila nordafricani che tradizionalmente svolgevano questo lavoro. E che così si ritrovano irregolari e a rischio espulsione, sulla base della ley de extranjeria del governo Aznar.

Siamo all'immediata vigilia del vertice, e se da un lato il governo decide di evitare disordini, grazie anche al fatto che la mediazione della rectora aveva consentito il regolare svolgimento degli esami in cambio dell'ospitalità, dall'altro accerchia l'ateneo e impedisce ogni accesso. «Nei giorni del vertice ci avevano chiesto di dare loro una lista di nomi che sarebbero potuti entrare», spiega Erica del gruppo di contatto, «poi, concluso il summit e sfumata l'attenzione mediatica, prima ci hanno vietato l'ingresso, poi hanno cominciato ad attaccarci». Sfumato il primo tentativo di mediazione, gli attivisti hanno tentato di ampliare il sostegno agli immigrati coinvolgendo il rappresentante dell'Unicef in Marocco, Serifi. Ma anche questo tentativo è risultato vano. Così, man mano che passano i giorni, il numero degli occupanti diminuisce: molti infatti decidono di fuggire approfittando di alcuni varchi incustoditi, cercando migliore fortuna nelle campagne di Lerida, in Catalogna, a Barcellona o nella raccolta di pomodori ad Almerìa. Nell'ultimo incontro, avvenuto la sera prima dello sgombero, «ci siamo visti attraverso le sbarre della recinzione», dice ancora Erica, «loro erano stravolti e molto dimagriti rispetto alla volta precedente, tre settimane prima. L'università è chiusa dal 15 luglio, dunque anche il bar, e ieri pomeriggio (l'altro ieri per chi legge, ndr) hanno staccato anche le bombole del gas». Ma in 270 hanno resistito fino al blitz di ieri mattina, e solo una ventina sono riusciti a scappare prima dell'arresto. Per gli altri la destinazione, in attesa del rimpatrio, è il centro di permanenza temporanea per immigrati di Tarifa, città di frontiera con il Marocco che solo ieri ha assistito all'ultimo sbarco di 70 clandestini.