il manifesto - 17 Luglio 2002
SISTEMA MONDO
Doppio sogno, parabole dall'Islam
Nuove diaspore Fra modernità e tradizione, il complesso rapporto di attrazione e repulsione che lega il mondo musulmano all'Occidente. E regola l'integrazione delle comunità immigrate
Cercando un'altra Mecca Dal Golfo alle Twin Towers, un'originale griglia di lettura dei nuovi codici politici e culturali de «L'Islam globale». Per Rizzoli, l'ultimo libro di Khaled Fouad Allam

OTTAVIO DI GRAZIA
Comincia con una storia questo importante libro di Khaled Fouad Allam (L'Islam globale, Rizzoli, pp. 202, euro16,00), algerino, docente alle Università di Trieste e Urbino, uno dei massimi specialisti di sociologia del mondo musulmano ed esperto di Islam contemporaneo. La storia di Zohra, una donna analfabeta che vive, da molti anni, nella banlieue parigina ma che ha trascorso infanzia e giovinezza in Algeria. Zohra ha una figlia - Naïma - nata e cresciuta in Francia dove sta facendo un dottorato alla Sorbona. La madre le chiede: perché porti il hijab? La figlia le risponde: perché così è scritto. E perché Dio mi ama e ci ama. La madre ribatte: «Ma figlia mia, se tu ami Dio, non hai bisogno di dimostrarlo con il hijab, amalo nel tuo cuore».

Zohra e Naïma rappresentano due generazioni, due modi di relazionarsi alla religione e alla propria identità. Per la madre, «l'identità non è strategia, ma coincide con l'esistenza interiore». Ansie, emozioni e conflitti che attraversano la sua vita in Francia sono mediate dal suo passato, dalle sue origini. Per Zohra, che è analfabeta, «conta più ciò che si è di ciò che è scritto; per lei la tradizione si mantiene nel silenzio della storia».

La figlia, vissuta in Francia, studia filosofia. Si è misurata con Kant, Cartesio, Pascal, ma ha bisogno di una diversa e nuova legittimazione.

Scrive Khaled Fouad Allam: «il velo manifesta, dunque, nuove condotte e prassi che non si iscrivono necessariamente in un messaggio fideistico e, allo stesso tempo, rivela il malessere sotterraneo provocato dalla derisione e dal rifiuto».

Mettere il velo è un simbolo più che una vera e propria prassi. Il simbolo di un Islam che si percepisce come fuori dai processi storici, quelli di ieri e quelli di oggi.

La storia di Zohra e Naïma è una metafora. L'era globale, in cui viviamo, è racchiusa in questa metafora. Non c'è più, scrive Khaled Fouad Allam, «Islam da una parte e Occidente dall'altra, ma Islam e Occidente in uno stesso villaggio globale».

La globalizzazione è un «immenso spazio di incontro di mondi che fino a ieri si ignoravano; al contempo, però, genera il disordine, il caos della storia, in cui la cultura può divenire strumento di comprensione fra i popoli ma anche il suo opposto, uno strumento di annientamento».

Del resto, il fenomeno della globalizzazione ha prodotto ulteriori sviluppi: ha prodotto un diffuso senso di irrequietezza, di incertezza, di insicurezza, l'età dei non-luoghi, in cui prevale l'apparenza rispetto alla sostanza, in cui la parola diventa riciclaggio della vuota chiacchiera. L'era globale è anche questa inquietudine che diventa abitudine. Le certezze non reggono più nel sistema-mondo della globalizzazione «perché esso coniuga ritmi, credenze, sentimenti diversi, talvolta contrastanti».

«In questa incertezza appare ineludibile un'analisi attenta delle profonde trasformazioni che l'Islam ha attraversato nell'ultimo secolo, perché solo attraverso la comprensione delle tensioni passate e presenti saremo in grado di evitare tentazioni regressive sia nel mondo musulmano sia in Occidente».

«Il rapporto del mondo musulmano con l'Occidente è un insieme contraddittorio di attrazione e rigetto». In questo rapporto va ricercata la crisi che attraversa l'Islam odierno che ha portato a un recupero della tradizione ma anche a una presa di distanza da essa.

I fenomeni della reislamizzazione vanno di pari passo con la mondializzazione; i discorsi dei predicatori viaggiano da un capo all'altro del mondo, così come avviene per i simboli e i costumi. «Un'intera generazione standardizza i comportamenti, dando luogo a una versione islamica del `pensiero unico' occidentale».

Nel dibattito attorno all'Islam, che si è sviluppato in seguito ai tragici eventi dell'11 settembre, abbiamo assistito a uno scialo di prese di posizione che a volte hanno sfiorato l'inconsistenza argomentativa se non l'idiozia assoluta. Quello che è mancato, a mio parere, è stata la voce dell'Islam. Si è parlato per conto dei musulmani, facendo emergere, provocatoriamente, solo le posizioni puramente apologetiche e dunque inconcludenti sul piano teorico, oppure, ci si è trascinati stancamente in dotte ricostruzioni del passato storico, ricordando le grandi figure che nei secoli hanno fatto grande e dato lustro alla civiltà islamica.

In Occidente lo studio dell'Islam si è svolto nell'ambito dell'islamologia, vale a dire lo studio del pensiero religioso e filosofico e della storia del mondo musulmano. Questo approccio deriva dall'orientalismo classico su cui ha scritto pagine insuperate Edward W. Said. In sostanza si trattava dell'immagine europea e occidentale dell'Oriente che non sempre è stata in grado di decifrare l'evolversi dei movimenti nell'Islam contemporaneo.

In ogni caso, il risultato è che questo «mondo» continua a essere ridotto entro schemi semplificatori e fuorvianti. Niente riesce a opporsi alla tendenza di considerare l'Islam come un blocco statico e monolitico destinato a esprimersi per sua stessa natura attraverso il fondamentalismo e la violenza e comunque in forme estreme e «incompatibili con i nostri valori». Per molti - Huntington, Sartori, Baget Bozzo, Fallaci - questa è stata la vera epifania dell'11 settembre, che ha squarciato il velo delle ambiguità e ha mostrato il volto intrinsecamente violento dell'Islam, della sua natura premoderna e antidemocratica e del suo carattere espansionistico e pericoloso per la «nostra civiltà». Questa tesi, ovviamente, è insostenibile e quel che è peggio relega un intero e variegato mondo religioso e culturale ai gruppi radicali che se ne pretendono i legittimi e unici interpreti.

La stessa espressione «11 settembre» è diventata consunta, retorica, quasi un dovere ideologico e un puro esercizio linguistico.

Questa data rinvierebbe inevitabilmente a una interpretazione politica del nostro tempo, stabilirebbe un «prima» e un «dopo» e ci costringerebbe a rileggere intere pagine di teoria politica. Molto più concretamente, si sono aperti drammatici scenari sul cui sfondo emerge una sorta di regolamento di conti espressa da quella «guerra al terrorismo» di cui non si distinguono i limiti e gli obiettivi. La tentazione è quella di trasformare tutto in uno «scontro finale» tra sistemi culturali e politici, tra incompatibili visioni del mondo.

Questo libro di Khaled Fouad Allam, colma un incontestabile vuoto.

I temi che Khaled Fouad Allam affronta sono frutto di una riflessione maturata in un periodo che ha visto l'Islam e il mondo islamico coinvolti in drammatici eventi internazionali, dalla guerra del Golfo fino all'attentato dell'11 settembre; offrono uno spaccato originale e una griglia di lettura dei codici culturali, religiosi e politici dell'Islam con i quali tutti dobbiamo confrontarci.

Ragionando di Islam contemporaneo, sospeso tra aggiornamento e neoconservatorismo; del rapporto tra Islam e occidente, dell'attualità della sua dimensione storica; dell'antioccidentalismo che struttura una sorta di «globalizzazione invertita», Khaled Fouad Allam ci conduce attraverso i territori intricati di un pensiero che cerca di dar conto del complesso rapporto tra religione, violenza, sacro fino alle questioni - di stringente attualità - del modo di disporsi di un Islam della diaspora, in Europa e in Italia e del rapporto fra questo e le nuove frontiere della democrazia. Da questo punto di vista il problema dell'integrazione delle comunità immigrate e dunque della cittadinanza è centrale e come tale va continuamente ripensato.

L'autore non ci consegna tesi scontate. La sua è una posizione misurata, non ideologica, da cui emergono le lacerazioni interne al mondo islamico, le difficoltà di comunicazione, i tentativi di riaggiustamento.

Le domande incalzano: quali sono le radici sociali, economiche, politiche del disagio nell'Islam contemporaneo? In che rapporto stanno, nell'Islam, tradizione e modernità?

I problemi che stanno di fronte ai musulmani non sono di facile soluzione. Usciti da un realtà storica che vedeva coincidere i confini dello stato con quelli dell'identità religiosa, l'Islam ha incontrato nuovi modelli di vita, altri tempi, altri valori che ne hanno segnato radicalmente l'essenza.

Tra un Islam chiuso in se stesso e lo sradicamento culturale si è sviluppata quella malattia che l'autore chiama occidentalite, termine coniato dal pensiero musulmano per definire la patologica attrazione esercitata sull'Islam dalla cultura occidentale. Ma si tratta di qualcosa di fatale, di un destino ineluttabile? L'alternativa è giocata solo tra i poli della modernizzazione e della radicale reislamizzazione?

Questa scelta traumatica è alla base delle nuove tensioni che attraversano l'Islam.

Ogni autentico musulmano crede infatti che la sua religione si rivolga all'intero genere umano e che vale per ogni tempo e per ogni luogo. La sfida che gli viene lanciata è di provarlo.

La reazione estremista, che associa la violenza al sacro, nasce dalla frustrazione di una comunità che si sente usurpata dalla propria autonomia, sempre più emarginata nelle sue diversità.

Infatti è proprio nelle periferie, tra gli emarginati che matura il nuovo fondamentalismo. Termine che, fra l'altro, andrebbe ricostruito in tutta la sua pregnanza semantica e storica.

Come ultimo baluardo di difesa contro l'occidente, identificato come il nemico, le varie tradizioni islamiche vengono convogliate verso un «pensiero unico», astorico e decontestualizzato, che rifiuta l'altro visto come un nemico. Tutto ciò è giocato su una lettura del Corano in cui v'è una completa assenza di approccio critico delle fonti.

Rifiutare la relazione tra testo e storia equivale a dimenticare che i musulmani prima di essere dei credenti sono esseri viventi, uomini, donne, gruppi storici che agiscono come tutti gli altri gruppi umani. Affermare il contrario significa accettare l'idea che il comportamento dei musulmani obbedisca a idee pure, fuori dal peso della storia e dei suoi conflitti umani troppo umani. Fouad Allam dimostra che tutto questo complesso intreccio di questioni non è altro che un effetto collaterale di una profonda trasformazione e che la posta in gioco è imparare il linguaggio di una convivenza possibile e pacifica.