il manifesto - 20 Giugno 2002
Siviglia, università occupata
La storia dei 450 nordafricani, venuti a raccogliere fragole. E beffati
ANGELO MASTRANDREA
INVIATO A SIVIGLIA
Bachim Kerrar, algerino, tra i 457 occupanti che sarebbe azzardato definire asserragliati nel campus universitario Pablo de Olavide di Siviglia, è di sicuro uno di quelli più in avanti con l'età, nonostante non dimostri più di 40 anni. Noi non l'abbiamo riconosciuto, ma un suo compagno, anch'egli algerino come il 90% degli occupanti, sì. E' lui l'uomo immortalato da un fotografo dell'Associated press e il cui volto seminascosto da una coperta campeggiava sul manifesto dell'altro ieri. Potenza dei media, nel giro di pochi secondi Bachim è diventato il miglior promotore del giornale che abbiamo mai visto, e la sua foto è affissa tra le copertine del Paìs e del Mundo nel murales sui giorni dell'occupazione. Per noi, non poteva esserci miglior passe partout per prendere in rassegna voci e storie, volti e nomi diversi. Alcuni non parlano spagnolo, segno di una pessima integrazione o più semplicemente di una breve permanenza in Spagna. Qualcuno parla inglese, tutti il francese, e per farsi capire ne vien fuori un pastrocchio di lingue a volte difficile da interpretare. «Cosa vogliamo? E' semplice, la regolarizzazione para todos, per tutti», spiega Rabah da Algeri, «la maggior parte di noi è senza lavoro, senza diritti di soggiorno, dorme per strada o sotto i ponti». Il problema è sempre lo stesso: il permesso di soggiorno che non arriva per via di una lex de extranjeria non troppo dissimile dalla nostra Bossi-Fini. E da venerdì il Consiglio europeo che si riunirà proprio qui a Siviglia discuterà la proposta di armonizzare la chiusura dell'Europa agli immigrati irregolari, come quelli della Pablo de Olavide, tutti maschi e giovani, e come la gran parte dei seimila che ogni anno raccolgono le fragole nella zona di Huelva, poco lontano. Solo che quest'anno c'è qualcosa di nuovo: il governo autonomo dell'Andalusia ha deciso di preferire settemila donne dell'est europeo. E loro, che da sempre sono sfruttati dai caporali spagnoli per questi lavori, hanno deciso di ribellarsi. Così dieci giorni fa sono entrati nel campus universitario e hanno occupato una struttura, dove per tutto il giorno si susseguono assemblee e incontri soprattutto con gli studenti dell'ateneo. Non ci fosse stata la cumbre, il vertice europeo, probabilmente la loro protesta si sarebbe arenata nei giornali locali, come l'ennesimo sbarco di 35 «clandestini» a Tarifa, un tiro di schioppo da Siviglia ma anche dal Marocco. «Non faremo niente durante i giorni del vertice», dice ancora Rabah. «Staremo a sentire cosa decideranno. Vogliamo stare in pace con tutti», getta acqua sul fuoco per svelenire il clima. Ancora ieri, il delegato del governo Josè Torres Hurtado ha parlato infatti di tremila «violenti» pronti a mettere a ferro e fuoco Siviglia nei giorni del vertice, e il capo della polizia, illustrando nei dettagli la zona vigilada, variante spagnola della «zona rossa», ha spiegato che non sarà tollerato alcun tipo di violenza. E si capisce che, a repressione avviata, i primi a soffrirne potrebbero essere proprio gli immigrati di Pablo de Olavide. Almeno per ora la situazione nel campus, ai margini della città, praticamente in campagna, è tranquilla, fatto salvo che per varcare l'ingresso devi superare un posto di blocco della polizia. «Ma al secondo giorno di occupazione la polizia è entrata e ha arrestato due persone, anche se non potevano. Uno di loro è stato anche ferito», denunciano gli occupanti. E' Karim Kabbali, algerino, finito in carcere non prima di passare per l'ospedale per una frattura. L'altro arrestato è un marocchino, otto persone sarebbero state fermate e rimpatriate prima di riuscire a forzare il blocco e unirsi ai compagni. La polizia nega tutto, anche perché non potrebbe entrare all'interno senza l'autorizzazione della rectora. Che si chiama Rosario Valpuerta e fin dall'inizio ha consentito all'occupazione affermando che «si tratta di un problema sociale e la risposta non tocca all'università», e soprattutto ha costituito un baluardo insormontabile contro le tentazioni repressive della polizia. In cambio, ha ottenuto che gli esami e le attività dell'ateneo proseguissero: gli enormi spazi del campus, il secondo della città, possono benissimo ospitare qualche centinaio di persone in più. E il problema, finito sulle prime pagine dei giornali come già era accaduto due anni fa agli immigrati che si barricarono nella chiesa di Santa Maria del Pi a Barcellona, ha costretto in qualche modo il governo locale a trattare, sia pure molto blandamente. La soluzione prospettata ieri mattina appare però «poco concreta» ai sin papeles, e soprattutto non risponde alla loro richiesta, che è quella della regolarizzazione per tutti. In buona sostanza, è stato loro proposto di valutare ogni singolo caso in base alla lex de extranjeria, una cosa che, promettono le autorità locali, consentirebbe di mettere in regola circa il 60% degli occupanti. E gli altri? Rimpatriati. Una sorte che, a dispetto di qualsiasi trattativa, potrebbe toccare, una volta spenti i riflettori accesi dai media a causa del vertice e della corrispettiva contracumbre dei movimenti, addirittura a tutti. Appena si allontaneranno dalla protezione della rectora.