il manifesto - 31 Maggio 2002
Tra lager ed espulsioni
La destra raddoppia la permanenza nei «centri», moltiplica le espulsioni e tenta il furto dei contributi. Oggi decide sulla sanatoria
ANDREA COLOMBO
ROMA
La maratona prosegue fino a sera. Gli articoli della Bossi-Fini passano uno dopo l'altro, gli emendamenti vengono falcidiati a ritmo anche più intenso. Viene approvato il raddoppiamento dei tempi di reclusione per i clandestini nei centri di permanenza, da 30 a 60 giorni. Va da sé che con i giorni raddoppierà anche l'affollamento. Sarà dunque necessario ampliare i centri e costruirne di nuovi. I lavori sono già in corso, nel centro romano di Ponte Galeria ad esempio, dove si recano i deputati verdi Cento, Bulgarelli e Zanella dopo aver abbandonato l'aula per protesta. «E' un lager», confermano al ritorno. «Con questa legge - proseguono - si introduce l'apartheid in Italia». Approvata anche la norma che toglie ai detenuti la possibilità di scegliere tra carcere ed espulsione. Saranno rinviati al paese d'origine senza più bisogno di ascoltare il loro parere, e poco male se qualcuno, in patria, rischia la pelle. La mattanza dei diritti più elementari si svolge in un clima da sagra, con tanto di festosi gestacci indirizzati agli avversari dai leader della destra. Più di tutti si esalta il capogruppo di An La Russa, e provoca le le indignate proteste della rifondatrice Valpiana, che gli sta seduta di fronte, e comprensibilmente se ne lamenta.

Ma non tutto funziona come dovrebbe nella marcia trionfale della destra. L'opposizione ha mezzi limitati (vero è che neppure li sfrutta tutti: date le assenze nella maggioranza, se mercoledì tutta l'oppsosizione fosse stata in aula la norma sulle impronte digitali sarebbe stata respinta). Ulivo e Prc escono dall'aula, chiedono la verifica del numero legale, ma stavolta i conti danno ragione al centrodestra e la corsa prosegue. L'intoppo vero, però, è nella maggioranza, è il solito emendamernto Tabacci che l'Udc si rifiuta di ritirare. Gianfranco Fini prende in mano le redini della mediazione. Il pacchetto che propone ai centristi è composto da un generico impegno a recepire il contenuto dell'emendamento che mira ad allargare le regolarizzazioni, più l'approvazione di altri due emendamenti dell'Udc. Il primo vorrebbe ampliare i confini dei ricongiungimenti familiari, permettendo ai genitori privi di altri figli in grado di mantenerli di raggiungere gli emigrati in Italia (la legge prevede invece che possano entrare soli i genitori di figli unici). Il secondo renderebbe più facile la permanenza dei minori.

Ma l'Udc conosce i propri alleati, non se ne fida e punta i piedi. Chiede un pronunciamento ufficiale del governo che impegni l'esecutivo a varare immediatamente il provvedimento sulle regolarizzazioni. Fini non spranga le porte. La Lega ci prova, ma per una volta si ritrova isolata: la richiesta del Carroccio di arrivare in giornata al voto definitivo, rendendo così inevitabile il cozzo frontale, viene respinta. Il ministro Giovannardi può infine annunciare che l'art. 29, quello sul quale grava l'emendamento Tabacci, verrà accantonato fino alla settimana prossima. «Domani - spiega Fini - c'è il consiglio dei ministri, che è la sede politica per eccellenza dove risolvere una diversa valutazione all'interno della maggioranza».

Che oggi il governo accetti di affrontare il problema posto dall'Udc è certo, lo stesso capogruppo leghista Cé ha dato il suo semaforo verde. Il problema è con quale strumento procedere. La Lega mira a un disegno di legge, un mezzo sufficientemente vago, sopratutto per quanto riguarda i tempi d'approvazione. L'Udc insiste per il decreto, cioè per la contestualità con l'approvazione della Bossi-Fini. Ha un ottimo argomento da spendere: l'art. 11 della legge introduce penalità fortissime per le aziende che con lavoratori al nero. Senza la contestualità, per le aziende stesse la situazione diventerebbe disastrosa.

A sera, l'Udc dava per vinta la partita e lo stesso Fini ammetteva che il decreto è possibile. Berlusconi, da parte sua, sovvertiva ogni logica dichiarando: «Non c'è problema. Troveremo una soluzione». Il carroccio ha però già pronta la sua contromossa: accetterà il decreto solo se i clandestini regolarizzati verranno inscritti nei flussi per il prossimo anno, in modo da non variare la somma finale. «Ci penserà Maroni - promette il senatur - a farli rientrare nei flussi».

Ma stavolta il governo non deve vedersela solo con il testardo Tabacci. La legge prevede che gli extracomunitari che tornano a casa perdano i contributi Inps maturati in Italia. L'opposizione parla di furto, l'An Teodoro Bontempo si schiera a suo favore e riesce a oottenere che l'emendamento dell'opposizione non venga respinto ma accantonato. Quando, poche ore dopo, la questione torna ai voti, il Polo fa muro. «Non possiamo privilegiare gli extracomunitari», arriva a dichiarare tra un gestaccio e l'altro La Russa. Il clima si scalda, volano insulti, ma alla fine D'Alema e Castagnetti, in tandem riescono a riaprire il discorso. «Forse - dice D'Alema -il governo non ha riflettuto abbastanza. La grande maggioranza degli extracomunitari viene da paesi che non hanno convenzioni sociali con il nostro paese. Agli italiani che non maturano la pensione vengono restituiti i contributi, o se raggiungono metà della pensioine minima, ricevono la pensone. Verso gli extracomunitari questo provvedimento rischia di rappresentare invece un sistema di rapina». Fini, a questo punto, accetta che la questione torni in discussione nel comitato dei nove. Se ne riparlerà lunedì. Come dei ricongiungimenti familiari e, se il governo non dovesse confermare l'accordo con l'Udc, delle regolarizzazioni.