il manifesto - 07 Aprile 2002
Una cartolina d'amore da Tirana
Anteprima a Tirana di «Hotel Dajti, una storia al di là del mare» di Carmine Fornari, che racconta la relazione impossibile tra un italiano e un'albanese. Con Flavio Bucci e Piera Degli Esposti
ROBERTO SILVESTRI
TIRANA
Èstato proiettato con successo, venerdì sera, nella affollata multisala del centro Millennium (della Warner), e dopo un rinfresco grondante confezioni famiglia di Coca e Fanta, il secondo film di Carmine Fornari, Hotel Dajti, una storia al di là del mare. Il film, girato tra l'Albania e la Puglia, sarà dal 12 aprile nelle nostre sale. Ma Tirana, battute a parte, città dagli indici di criminalità tra i più bassi d'Europa, grazie a un sindaco socialista e esperto (amato anche perchè impedisce che il centro città sia guastato, come Verona, da bancarelle che spacciano cianfrusaglia pesante) fa il possibile per non farsi stritolare dall'economia di mercato, ma di guidarla a beneficio di tutti. Salvaguardando un livello tradizionalmente alto di offerte culturali e stimolando gli istituti culturali stranieri a collaborare. L'Italia, grazie all'ambasciatore Mario Bova e al responsabile culturale De Gasperis, e all'arrembaggio della Francia, reagisce da un po' con insolita grazia. Non solo con una stagione sinfonico-operistica e di conferenze ben congegnata. Si parla di distribuizione di film italiani sottottitolati in albanese (dopo Hotel Dajti anche Albania Blues di Nico Cirasola). Di finanziamenti per cineteca, biblioteca e mediateca; di film-commission che attiri troupe a girare a prezzi e standard qualitativi competitivi (dal '45 all'85 si realizzavano fino a 14 film socialisti-reali all'anno, un patrimonio amato, trasmesso in tv e venduto in vhs), di una scuola di cinema annessa ai bellissimi Studi, fondati nel `44 e bisognosi di restauro. E anche questa «prima» (dopo Annecy) di Hotel Dajti rompe la freddezza tra gli intellettuali delle due rive (in sala molti cineasti, lo scrittore Yilliet Alicka, sceneggiatore di Slogans e il ministro della cultura Agron Tato). Il film è una romantica tragedia dell'amore eterno (con espliciti omaggi al dolce poetar anni 30), basata sui ricordi non autobiografici del padre del regista (medico a Tirana durante l'Impero e la guerra). Anche se la maggior parte del racconto, una storia vera (un illusionista italiano un po' arrangiato fugge lì e si innamora di una ragazza albanese bene che le magie le fa davvero, ma poi, costretto ancora alla fuga, condividerà una straziante separazione di 40 anni ...) si svolge oggi e coinvolge l'odierna arte di arrangiarsi, moda obbligatoria, anche se in prima linea sbattono sempre i pescatori poveri. E elabora quelle memorie con la secchezza, la freddezza e il turbamento che suscitano, alla fine di un secolo-incubo, i nuovi drammi (scafisti, profughi, traffici d'armi, Sacre Corone Global, i troppi annegamenti...) e i business veri, illusionisticamente non collegati al rapporto sempre squilibrato tra Italia («Occidente») e Albania (un pericoloso «altrove»).

L'Hotel Dajti del titolo (che prende il nome dal monte che lo domina) è l'albergo più austero, demodé e intellettuale della capitale. Costruito durante la rapace occupazione fascista, è uno spazio capace di magie: e proprio lì, in un teatrino poi chiuso durante Hoxha, si svolgevano gli spettacoli indimenticabili della coppia Andrea e Sara, gli attori Michele Venitucci, una sorta di irresistibile De Sica, e Sarah Bauman, una grinta da «calligrafica» degna di Adriana Benetti, perfino quando, come San Giuseppe da Copertino, lievita in aria e riempie di grazia e surrealismo quei soffitti dai volumi infiniti. Il Dajti è come allora, stanze modeste, certo, ma accogliente, metafisico, coi vecchi mobili, i banconi di legno intarsiati da scalpellini rococò, le radione a valvola, lampadari a goccia liberty introvabili altrove e gli interminabili corridoi che ancora risuonano dei complotti tra Memet Sheu e Enver Hoxha e, proprio l'altro ieri, anche di quelli dei nostalgici monarchici, riuniti per la festa di compleanno del figlio dell'ex re Zogu e per il suo ritorno (ormai permesso) in patria. Già ha deciso di affittarsi il Dajti per un anno, anche se furono proprio gli italiani a cacciar via suo padre, non uno stinco di democratico...

Star del film sono, nella parte della coppia oggi - lui da Molfetta va a riabbracciarla morente nella rinata Tirana - due forze della natura: ossessionato dall'horror vacui come ogni illusionista Flavio Bucci; e, sempre più incisiva se sceglie il «levare» di fraseggio, Piera Degli Esposti. Sono identici ai loro omologhi giovani, non fosse per ciò che bene spiega ai giornalisti l'attrice, festeggiatissima: «voglio farmi manifesto di un dolore, essere testimone, traccia ben visibile, di una vita perduta. Come una delle tante, troppe vite perdute in fondo al mare, persone di cui sentiamo in tv e di cui non sappiamo niente. Vorrei che la mia Sara restasse viva, trasmettesse il suo dolore». «Com'è Sara adesso?» chiede Adrea. «È bellissima, risponderà il testimone di questa love story, un altro girovago per forza, il giovane attore emergente Francesco Giuffrida.

Documentarista «di profondità» (recentemente nella Haiti del neoschiavismo) e sceneggiatore, Carmine Fornari, presentò anche l'opera prima, L'amico arabo, a Tunisi (set di un film che si avvaleva di competenti tecnici e attori arabi) per sfondare uno di quei tanti, psicologici «muri di Berlino» che avvolgono il nostro paese confermandone l'ottuso provincialismo. E come invisibilità o quoziente di diffamazione, l'Albania, paese verde e orgoglioso, povero ma primatista in dignità e autovalorizzazione, e che da Otranto si vede così bene, non è secondo a nessuno.

E proprio per andare al di là dei pregiudizi e della martellante propaganda che i media elaborano per inventare capri espiatori (cos'è albanese per l'immaginario collettivo: lo scrittore Kadare? John Belushi? Il contrabbandiere-pappa? L'unico pirata della strada punibile? il vicino musulmano?) questo road movie delle emozioni, gioca la carta della love story romantica, dell'opera intimista, delle sfumature psicologiche: «Una piccola storia - ha spiegato Fornari - dove i grandi eventi del secolo scorso, vissuti senza clamore, quasi in silenzio e solitudine, hanno inciso profondamente le vite delle persone ed il cuore di molti, molto spesso distruggendone i sogni e la gioventù. Non pretendo di lanciare messaggi politici, né di raccontare i legami, storici e recenti, fra due paesi cosi vicini e tanto legati nei secoli, che non devono recidere quei fili sottili che, tra ricordi e emozioni, ha sempre unito la gente del Mediterraneo. Se un solo italiano,visto il film, vorrà visitare l'Albania Hotel Dajti (che ha ottenuto il finanziamento pubblico) non sarà stato girato invano.