02 Marzo 2002
 
 
Blitz nelle moschee
Roma, operazione antiterrorismo dei Cc. Sei arresti e perquisizioni. Niente armi
ALESSANDRO MANTOVANI - ROMA

Icarabinieri hanno fatto scattare a Roma un'operazione in grande stile contro le presunte reti terroristiche islamiche. Su ordine del gip Adele Rando, nell'ambito dell'inchiesta condotta dai pm Franco Ionta ed Erminio Amelio, i militari dell'Arma hanno catturato sei persone. Un pakistano, Ahmad Naser, ritenuto il capo dell'organizzazione, è stato arrestato all'aeroporto di Fiuminicino con altri due uomini, appena sceso da un volo Saudia che lo riportava a Roma dalla Mecca. Gli altri finiti in manette sono nordafricani, tre algerini e due di nazionalità da accertare (per via dell'uso di nomi e documenti falsi, ieri sera c'era ancora qualche dubbio sulle generalità). Gli inquirenti sospettano legami (anzi, rapporti di "sottordinazione gerarchica") con il sanguinario Gruppo islamico armato algerino (Gia), nonché con il Fronte islamico di salvezza (Fis) che non è precisamente la stessa cosa. Gli uomini del Ros, della sezione anticrimine e del reparto operativo hanno perquisito la moschea di via Gioberti all'Esquilino, nei pressi della stazione Termini, e quella di via dei Frassini a Centocelle, uno dei principali centri islamici della capitale. Perquisizioni anche a Portonaccio (zona Tiburtina) e a Torre Angela (estrema periferia sud).Cominciata nella notte tra giovedì e venerdì, l'operazione è proseguita per buona parte della giornata di ieri.
E' stato sequestrato molto materiale: agende, documenti vari e videocassette inneggianti alla guerra santa, in particolari con immagini delle torture praticate in Cecenia sui "traditori" della causa islamica. L'operazione, secondo quel poco che si è appreso in procura, si basa su intercettazioni telefoniche e ambientali: nelle conversazioni gli indagati facevano riferimento a possibili attentati, sia pure in modo generico e discorsivo. Per esempio, alcuni di loro avrebbero accennato al "desiderio" di attentare alla vita di George W. Bush. In alcune registrazioni, però, si sentirebbero anche colpi d'arma da fuoco. Non risulta, comunque, il ritrovamento di armi, né di esplosivi.
Fonti vicine all'inchiesta parlano di un blitz contro la cellula italiana di Al Quaeda, l'organizzazione di Osama bin Laden. La procura di Roma, che lavora da circa un anno su questo gruppo, procede per associazione con finalità di terrorismo ed eversione e violazione della legge sugli esplosivi. Gli arrestati, si legge nell'ordinanza, avrebbero "costituito, organizzato e partecipato - in concorso con persone non identificate - ad una associazione costituita in territorio italiano ed in particolare a Roma, in collegamento logistico-operativo con omologhi gruppi operanti in altre città italiane ed in altri stati", proponendosi il "compimento di atti di violenza diretti all'eversione dell'ordine democratico". Tra l'altro, avrebbero "favorito l'ingresso in Italia dei sodali consentendone e favorendone la libertà di movimento al fine di trasmettere le direttive, gli ordini e tutte le notizie riguardanti l'organizzazione eversiva e i collegamenti con gli analoghi gruppi". Il pm Ionta, peraltro, è titolare anche del fascicolo contro i nove marocchini arrestati la scorsa settimana a Roma e sospettati di preparare un attentato all'ambasciata americana di via Veneto: avevano mappe, esplosivo comune e ferrocianuro di potassio; con il passare dei giorni, però, la vicenda si sta sgonfiando. Tuttavia, gli inquirenti fanno solo ipotesi sugli eventuali collegamenti tra i due gruppi. Sicura è soltanto la frequentazione delle stesse moschee: Torre Angela, Centocelle e soprattutto via Gioberti, il cui responsabile sarebbe proprio il pakistano arrestato all'aeroporto, ufficialmente titolare di un'agenzia di viaggi.
Gli inquirenti sospettano che la base del gruppo colpito ieri fosse proprio nel soppalco del centro "Armini" di via Gioberti, metà deposito di mercanzia da vendere - palloni, magliette - e metà luogo di preghiera senza troppe pretese: non c'è nemmeno un telefono. Nessun sospetto, invece, sulla moschea "al Huda" di Centocelle, presenza consolidata nel popolare quartiere della periferia sud est: esiste dall'ormai lontano'94 e ogni venerdì si contano fino a 5-600 fedeli riuniti per la preghiera. A Centocelle i carabinieri cercavano solo i documenti di uno degli indagati, il trentenne tunisino Ben Mansour Abdel Monaem, che oltretutto è portatore di un handicap che gli impedisce di camminare. Hanno avuto quello che cercavano e non hanno toccato nulla. L'imam Samir Khaldi, benché sia piuttosto rassegnato alle pressioni del dopo 11 settembre, ha fatto qualche osservazione ai militari: "Hanno camminato con le scarpe sui tappeti della preghiera. Ma quando glielo abbiamo fatto notare - ha raccontato - hanno chiesto scusa, dicendo di non conoscere le nostre regole. No, non si sono comportati male", ha concluso l'imam, che ha buoni rapporti con le autorità italiane e ci tiene a mantenerli. "Le perquisizioni che conosciamo noi sono tutt'altra cosa: arrivano a mitra spianato e buttano tutto all'aria", hanno aggiunto anonimi frequentatori della moschea, molti dei quali tunisini. Pensate al vosto paese? "No, amico, all'Italia".