09 Agosto 2001
 
 
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MIGRANTI
Il clandestino non esiste per legge
AU. IL.


L' illustre costituzionalista Giovanni Sartori, inesausto quanto inascoltato propositore di marchingegni elettorali, cavalca ora il più bollente ronzino dell'immigrazione. Nell'editoriale del Corriere della sera del 6 agosto, dopo aver fulminato la grettezza degli imprenditori, avidi solo di forza lavoro a buon mercato, e il buonismo dei fautori di un'impossibile società multiculturale, lamenta che il progetto Bossi-Fini è benintenzionato ma controproducente, perché il reato di clandestinità concede per forza al clandestino il diritto di essere processato, appellarsi e restare in Italia - dati i tempi notori della nostra giustizia - per anni e anni, oltre tutto intasando le carceri e togliendo spazio ai futuri manifestanti antiglobali arrestati. "Il problema è allora di configurare un illecito la cui sanzione sia soltanto un'espulsione amministrativa contro la quale non sia ammesso ricorso... La mia idea è di far capo a una fictio juris. Questa: che il clandestino non entri in Italia finché non viene ammesso legalmente. Fino a quel momento il fatto che i suoi piedi camminino sul suolo italiano non ha nessun rilievo giuridico. Fino a quel momento è come se non fosse in Italia".

Potrebbe sembrare soltanto un'idea stupida, una variante benevola dei cattivi Bossi-Fini che vogliono sbattere gli immigrati irregolari in galera. Ma il candore giuridico svela un fondo che è molto peggiore della brutalità poliziesca dei governanti. Il diritto di sparare sui clandestini non è più radicale della loro cancellazione giuridica. Lo sterminio burocratico senza odio è peggio dell'odio che spinge allo sterminio, anche se per le vittime non cambia molto. Però ricordiamo, con Hannah Arendt, che mentre il normale padre di famiglia si trovava a disagio nell'identificarsi con le Sa, che uccidevano per piacere, si arruolava volentieri con le SS, che uccidevano per dovere. Questi clandestini che camminano con piedi carnali sulla nostra terra, ma non esistono per la nostra legge, novelli Schlemihl senz'ombra, sono l'ultima variante di una fattispecie che Giorgio Agamben ha illustrato nel suo Homo sacer: il capro espiatorio, la vittima del bando, colui che tutti possono impunemente offendere e uccidere, i portatori della nuda vita sulla cui esclusione e insieme presupposizione si fonda il principio di sovranità. Il Lager ne rappresenta una tappa provvisoriamente conclusiva. Chi vi entrava - ricorda ancora Arendt - veniva preventivamente privato di nazionalità (per il moderno migrante non c'é problema, perché prima non era nostro cittadino), ridotto a mero essere umano, senza diritti storici e politici (cammina, insomma, ma senza personalità giuridica). Viene ristretto nel campo senza un procedimento legale ma con un semplice atto amministrativo insindacabile, perché appunto è trattato come categoria (l'extracomunitario irregolare), non come soggetto presunto colpevole (e assolvibile) di un reato.

La creazione di un sistema di sanzione e segregazione parallelo a quello giudiziario è quindi fondamentale per definire agli occhi di tutti un nemico o un pericolo "oggettivo", indipendentemente dai comportamenti effettivi. Ci penserà poi il regime del campo (da noi del centro di accoglienza) a spogliarlo anche dei caratteri umani, a ridurlo a un numero in attesa della morte (nel nostro caso dell'espulsione verso il felice paese di origine). Naturalmente la selezione di un comparto invisibile è soltanto il grado zero del sistema. Per pochi clandestini effettivamente acchiappati ed espulsi, molti di più resteranno invisibili e ricattabili nel meccanismo del lavoro nero e il segno dell'invisibilità si trasferisce in genere a tutti i lavoratori atipici, nazionali compresi e per lo più. L'anomalia del migrante diventa la normalità del lavoro precario, come hanno ben ricordato di recente su questo stesso giornale Roberto Demontis, Sandro Mezzadra, Mario Piccinini e Fabio Raimondi (il manifesto, 7 agosto 2001). L'utopia reazionaria del giurista si fa pratica quotidiana del mercato.
Un modesto consiglio. Il rimedio, se passasse questa linea, è quello stesso che consigliava Arendt ai profughi degli anni '40: che il clandestino commetta un piccolo reato, in modo da ottenere un riconoscimento della sua umanità nella veste di incriminato e punito dalla legge nazionale. Un illecito di basso allarme sociale: il falso in bilancio sarebbe perfetto, ma date le difficoltà organizzative è preferibile un piccolo scippo, magari allo stesso professore Sartori (o, per carità, al sottoscritto). Certo, la genialità giuridica ha escogitato anche in questo caso la possibilità di espulsione diretta, ma è evidente che la disparità di trattamento fra nazionali ed extracomunitari farà infuriare i falsari di bilanci, ai vertici, e gli scippatori in basso.

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