MIGRANTI
Il clandestino
non esiste
per legge
AU. IL.
L' illustre costituzionalista Giovanni Sartori, inesausto quanto
inascoltato propositore di marchingegni elettorali, cavalca ora
il più bollente ronzino dell'immigrazione. Nell'editoriale del
Corriere della sera del 6 agosto, dopo aver fulminato la
grettezza degli imprenditori, avidi solo di forza lavoro a buon
mercato, e il buonismo dei fautori di un'impossibile società
multiculturale, lamenta che il progetto Bossi-Fini è
benintenzionato ma controproducente, perché il reato di
clandestinità concede per forza al clandestino il diritto di
essere processato, appellarsi e restare in Italia - dati i tempi
notori della nostra giustizia - per anni e anni, oltre tutto
intasando le carceri e togliendo spazio ai futuri manifestanti
antiglobali arrestati. "Il problema è allora di configurare un
illecito la cui sanzione sia soltanto un'espulsione
amministrativa contro la quale non sia ammesso ricorso... La mia
idea è di far capo a una fictio juris. Questa: che il
clandestino non entri in Italia finché non viene ammesso
legalmente. Fino a quel momento il fatto che i suoi piedi
camminino sul suolo italiano non ha nessun rilievo giuridico.
Fino a quel momento è come se non fosse in Italia".
Potrebbe sembrare soltanto un'idea stupida, una variante benevola
dei cattivi Bossi-Fini che vogliono sbattere gli immigrati
irregolari in galera. Ma il candore giuridico svela un fondo che
è molto peggiore della brutalità poliziesca dei governanti. Il
diritto di sparare sui clandestini non è più radicale della loro
cancellazione giuridica. Lo sterminio burocratico senza odio è
peggio dell'odio che spinge allo sterminio, anche se per le
vittime non cambia molto. Però ricordiamo, con Hannah Arendt, che
mentre il normale padre di famiglia si trovava a disagio
nell'identificarsi con le Sa, che uccidevano per piacere, si
arruolava volentieri con le SS, che uccidevano per dovere. Questi
clandestini che camminano con piedi carnali sulla nostra terra,
ma non esistono per la nostra legge, novelli Schlemihl
senz'ombra, sono l'ultima variante di una fattispecie che Giorgio
Agamben ha illustrato nel suo Homo sacer: il capro
espiatorio, la vittima del bando, colui che tutti possono
impunemente offendere e uccidere, i portatori della nuda vita
sulla cui esclusione e insieme presupposizione si fonda il
principio di sovranità. Il Lager ne rappresenta una
tappa provvisoriamente conclusiva. Chi vi entrava - ricorda
ancora Arendt - veniva preventivamente privato di nazionalità
(per il moderno migrante non c'é problema, perché prima non era
nostro cittadino), ridotto a mero essere umano, senza diritti
storici e politici (cammina, insomma, ma senza personalità
giuridica). Viene ristretto nel campo senza un procedimento
legale ma con un semplice atto amministrativo insindacabile,
perché appunto è trattato come categoria (l'extracomunitario
irregolare), non come soggetto presunto colpevole (e assolvibile)
di un reato.
La creazione di un sistema di sanzione e segregazione parallelo a
quello giudiziario è quindi fondamentale per definire agli occhi
di tutti un nemico o un pericolo "oggettivo", indipendentemente
dai comportamenti effettivi. Ci penserà poi il regime del campo
(da noi del centro di accoglienza) a spogliarlo anche dei
caratteri umani, a ridurlo a un numero in attesa della morte (nel
nostro caso dell'espulsione verso il felice paese di origine).
Naturalmente la selezione di un comparto invisibile è soltanto il
grado zero del sistema. Per pochi clandestini effettivamente
acchiappati ed espulsi, molti di più resteranno invisibili e
ricattabili nel meccanismo del lavoro nero e il segno
dell'invisibilità si trasferisce in genere a tutti i lavoratori
atipici, nazionali compresi e per lo più. L'anomalia del migrante
diventa la normalità del lavoro precario, come hanno ben
ricordato di recente su questo stesso giornale Roberto Demontis,
Sandro Mezzadra, Mario Piccinini e Fabio Raimondi (il
manifesto, 7 agosto 2001). L'utopia reazionaria del giurista
si fa pratica quotidiana del mercato.
Un modesto consiglio. Il rimedio, se passasse questa linea, è
quello stesso che consigliava Arendt ai profughi degli anni '40:
che il clandestino commetta un piccolo reato, in modo da ottenere
un riconoscimento della sua umanità nella veste di incriminato e
punito dalla legge nazionale. Un illecito di basso allarme
sociale: il falso in bilancio sarebbe perfetto, ma date le
difficoltà organizzative è preferibile un piccolo scippo, magari
allo stesso professore Sartori (o, per carità, al sottoscritto).
Certo, la genialità giuridica ha escogitato anche in questo caso
la possibilità di espulsione diretta, ma è evidente che la
disparità di trattamento fra nazionali ed extracomunitari farà
infuriare i falsari di bilanci, ai vertici, e gli scippatori in
basso.
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