da "Il Manifesto"

07 Giugno 2001

Occhi chiusi

LIVIO QUAGLIATA

 

Ci informa una ricerca del Cnel che per il 41% degli immigrati la vita in Italia negli ultimi anni è cambiata in meglio, mentre solo per il 19% è sì cambiata ma in peggio. Splendido. Un vero peccato che la bella notizia giunga proprio oggi, mentre Repubblica ci informa che svariati nostri concittadini in quel di Portopalo quattro anni fa e per diversi mesi hanno pescato e poi rigettato in mare i corpi (morti, per carità) di decine di immigrati. Una scelta di tempi quanto meno inopportuna. Le operazioni di pescaggio e scarto non erano tenute segrete. In paese, 3300 abitanti, tutti sapevano. Il vigile urbano è tra i più sensibili: "Fu una cosa tremenda, incivile. Recuperavano corpi interi, poi gambe, braccia, teste e li ributtavano in mare. Ma sarebbe sbagliato incolpare i pescatori, quelli l'hanno fatto per difendere il loro lavoro. C'è stato sicuramente chi ha saputo e ha lasciato fare". Ovviamente concorda e quindi riflette il vicesindaco: "Fu una cosa molto dura ma in un certo senso inevitabile: i pescatori non potevano permettersi i tempi della burocrazia". Assolve decisamente il parroco: "Hanno sbagliato? Sì, ma se ci pensiamo bene il mare è un luogo di pace quanto e forse anche più della terra". E poteva mancare lo storico locale? Macché, ricorda i tempi in cui non esisteva la pesca a strascico e si usava il vecchio metodo del ciancìolo, pesca di superficie, che non va troppo a fondo. Il lavoro, la burocrazia, qualche lacrima sulla crudeltà della vita e sui bei tempi andati. Insomma un bel quadretto di Italia reale, cinica e schizofrenica, quella che dovrebbe fotografare il Cnel e forse anche quella parte di noi giornalisti non dediti alla illuminante cronaca che si dice nera ma è meravigliosamente autoctona. Che Portopalo di Capo Passero, estremo sud di Sicilia, non sia l'eccezione ma la norma lo dimostra la normalità con cui i protagonisti di questa storia si raccontano ai cronisti di Repubblica. Anormale, semmai, è la reazione che la notizia suscita nell'ammiraglio Eugenio Sicurezza, interpellato ieri dal manifesto: "No, me lo lasci dire, è una cosa che non sta nella logica della gente di mare, nella loro tradizione, nella loro storia, che è storia di aiuto e di solidarietà". E sì che l'ammiraglio dovrebbe intendersene. I cadaveri pescati a Portopalo appartengono ad alcuni dei 283 ragazzi indiani, cingalesi e pachistani morti annegati la notte di natale del '96 nel canale di Sicilia in seguito al naufragio del peschereccio che avrebbe dovuto farli sbarcare clandestinamente. Il peschereccio maltese urtò la nava madre, una vecchia carretta, la Iohan. Molti colarono a picco in pochi secondi, chiusi nella stiva, e ancora là stanno. Gli altri vennero pescati pochi giorni dopo dalla brava gente di Portopalo e dintorni. Il predecessore di Sicurezza, l'ammiraglio Renato Ferraro, oggi in pensione, il 5 gennaio del '97 sul manifesto affermava: "Abbiamo molti dubbi sulla fondatezza della notizia. Comunque le capitanerie della bassa Italia stanno svolgendo attività di pattugliamento, nei limiti delle loro possibilità". Ovvero: c'è questa notizia, noi non ci crediamo, mentre siete in giro date un po' un'occhiata. I giornali, impegnati in paginoni su due velisti italiani scomparsi in Australia, dedicarono al caso poche righe in cronaca, rubricandolo sotto il titolo "Iohan, la nave fantasma". In solitudine questo giornale raccolse decine di testimonianze tra i fantasmi sopravvissuti al naufragio, ricostruendo nei minimi particolari che cosa accadde quella notte di natale nel canale di Sicilia. Intanto i familiari dei ragazzi annegati scrivevano da mezzo mondo a Prodi e D'Alema, troppo impegnati in quell'altra bega della Kater I Rades per degnarsi di rispondere. L'antipatico riassuntino unicamente per rassicurare il pescatore di Portopalo: "Ho chiuso gli occhi prima di scaraventare il cadavere in acqua". Non è stato il solo.