da "Il Manifesto"

01 Giugno 2001

La lingua delle fobie razziste

Esce per Dedalo la nuova edizione aggiornata del volume "L'imbroglio etnico in quattordici parole-chiave"

ALBERTO BURGIO

Torna in libreria, in edizione aggiornata e notevolmente ampliata, uno dei più importanti libri sul razzismo degli ultimi anni. Apparso in prima edizione nel 1997 a firma di René Gallissot (che ora aggiunge uno studio sulla cittadinanza) e di Annamaria Rivera, L'imbroglio etnico si avvale, nella nuova veste, del contributo di un terzo studioso, l'antropologo Mondher Kilani, autore di tre saggi (tra cui un'analisi, davvero notevole, del nesso tra razzismo e linguistica) e della introduzione generale al volume. Tutti gli altri capitoli del libro - René Gallissot, Mondher Kilani, Annamaria Rivera, L'imbroglio etnico in quattordici parole-chiave, Dedalo, pp. 388, L. 33.000 -, organizzato come un lessico critico delle ideologie razziste in quattordici parole chiave - Cittadinanza; Comunità; Cultura; Diritti umani; Etnia-etnicità; Idee razziste; Identità-identificazioni; Immigrati; Lingua (pregiudizio della); Nazionalismo e razzismo; Nazionalità; Neorazzismo; Parentela (purezza) di sangue; Stereotipo (etnico, razziale, sessista) -, sono ripensati alla luce dei processi di mondializzazione e riformulazione della sovranità nazionale (con particolare riferimento alla costruzione dell'Unione europea) e delle più recenti trasformazioni sociali (a cominciare dal fenomeno immigratorio, indagato quale fonte della dilagante "ossessione sicuritaria"). Ne discende un quadro di grande pregio analitico, testimonianza della maturità di una consolidata linea di ricerca alle prese con uno dei nodi più cruciali dell'attualità. Lo schema analitico fondamentale del libro consiste nella concezione delle "razze" come "artefatti" e "costruzioni sociali" risultanti dalla naturalizzazione delle identità storiche (sociali, politiche, culturali). Particolare attenzione è riservata, in tale contesto, al ruolo nel corso del tempo svolto dalla dimensione nazionale ai fini della trascrizione in termini "etnici" della cittadinanza politica e sociale. Tema centrale, su questo sfondo, è la critica dell'essenzialismo, cioè lo sforzo di mostrare il carattere storico di tutte le determinazioni del discorso razzista, a cominciare dalle "culture", che - come osserva Rivera - il razzismo tende a concepire alla stregua di "universi più o meno separati, chiusi e incomunicabili", immediatamente identificati con gli individui che ne sono (o sarebbero) portatori. L'assunto costruttivo che lega saldamente le riflessioni dei tre autori è l'idea che solo un universalismo "aperto e critico" possa costituire un efficace antidoto contro il razzismo, struttura ideologica che della cristallizzazione delle identità particolari si serve allo scopo di legittimare la subordinazione o la distruzione dei gruppi umani discriminati. Si diceva della maturità della linea di ricerca del quale questo libro è frutto. Nelle sue pagine sono ripresi e valorizzati i risultati di una riflessione che accomuna molti tra i più avvertiti studiosi del razzismo, da Albert Memmi a Robert Miles, da Colette Guillaumin a Martin Barker, agli stessi tre suoi autori, cui si debbono diversi precedenti contributi di rilievo (ricordiamo in proposito la Misère de l'antiracisme di Gallissot, tra i primi testi a far luce sulla svolta culturalista del nuovo razzismo). Ciò che il lavoro di tutti questi studiosi ha posto in luce (ma altri nomi si potrebbero aggiungere: da Taguieff a Wieviorka, da Wade a Balibar) è l'esistenza di un dispositivo logico unitario - la trascrizione in chiave naturalistica delle forme storiche (condizioni sociali, eredità culturali, funzioni economiche, credenze religiose, posizioni politiche ecc.) - alla base delle molteplici varianti dell'ideologia e della pratica razzista. Su questo punto il dibattito scientifico è ormai sostanzialmente unanime con la sola eccezione del nostro paese, dove ci si attarda in dispute nominalistiche ("non esiste il razzismo, esistono soltanto diversi razzismi") nelle quali l'incongruenza logica (come riconoscere varianti specifiche senza una nozione del genere che le sussume?) riposa sulla confusione tra analisi concettuale e ricostruzione storica. C'è da augurarsi che la provvidenziale riedizione di questo libro faccia fare un deciso passo avanti alla discussione anche qui da noi, liberando gli studi sul razzismo dalle ipoteche che ancora li impacciano. Su un ultimo tema tra i tanti che L'imbroglio etnico analizza vale infine la pena di fare chiarezza. Emerge a più riprese, in queste pagine, che il rifiuto delle mescolanze - la "fobia del meticciato", come scrive Kilani - costituisce uno dei fondamentali tratti comuni del corpus ideologico razzista. Differenzialista o inegualitario, il razzismo è tendenzialmente sempre mixofobico e quindi fissista (ossessionato dalla preoccupazione di disegnare mappe antropologiche stabili nello spazio e nel tempo). Di qui l'esigenza (come si accennava, vigorosamente affermata nel volume) di metter mano alla elaborazione di una prospettiva universalistica, capace di riaffermare in modo persuasivo le ragioni dell'uguaglianza e dell'unità della specie. Ma questo tema sacrosanto interroga impietosamente molta parte della sinistra, che da svariati anni viene dilettandosi con le "avventure della differenza". Il fatto che nel nome dell'universalismo si siano perpetrate tragiche violenze impone un esercizio critico volto a denunciare l'essenza particolaristica (etnocentrica e imperialista) dei falsi universali e a definire una figura dinamica di universalismo, aperta e "policentrica". Questa circostanza non autorizza affatto, invece, un rifiuto di principio dell'universalismo, una liquidazione che non potrebbe risolversi se non nella paradossale riabilitazione di quel particolarismo che si proclama di voler contrastare. Senonché è proprio questa la via da molti a sinistra battuta, sia che decantino le virtù del localismo (il "vicinato" come luogo di coesione sociale), sia che abbraccino vedute "multiculturaliste" (l'idea che ogni "cultura" debba avere una "nicchia" protetta, un po' come le diverse specie animali in uno zoo), sia che diffondano la mistica della comunità, perdendone di vista la funzione cruciale di sacralizzazione delle ineguaglianze interne e di discriminazione o esclusione degli stranieri. Si tratta di tendenze diffuse che hanno alle spalle ragioni molteplici e complesse, a cominciare dal furore antimoderno che informa di sé tanto preteso "antagonismo". Dunque un libro non può bastare certo a sovvertirle. Può tuttavia - se, come in questo caso, è scritto con competenza e intelligenza - contribuire ad arginarle, e a porre qualche premessa per un più avvertito sguardo critico sul mondo.