da "Il Manifesto"

19 Aprile 2001

IMMIGRATI USA E GETTA

Vogliono braccia, arrivano persone

ENRICO PUGLIESE

Cè una celebre frase di Max Frish che esprime molto bene l'atteggiamento egoistico dei paesi di immigrazione nei confronti dei lavoratori immigrati: "Volevamo braccia e sono arrivati uomini". Triste e sgradevole sorpresa per chi vuole forza lavoro a basso prezzo, magari più basso di quella nazionale. Eppure si tratta di una sorpresa abbastanza ingiustificata. Già Carlo Marx, a suo tempo, aveva sottolineato un dato inequivocabile e all'apparenza anche un po' ovvio, il fatto cioè che la forza lavoro, la capacità lavorativa, è l'unica merce che non si può separare dal suo proprietario. Se ti compri l'uso delle mie braccia (del mio cervello, come si ama sottolineare ora) ti assumi la responsabilità di aver a che fare con me come persona, come essere umano. Insomma, la forza lavoro è una merce particolare. Poi venne l'Flm e sottolineò che si tratta di "una merce che pensa". E poi i lavori delle studiose femministe di economia, che hanno ricordato che si tratta di "una merce che ama", riferendosi anche al lavoro di cura. Questo piccolo problema sottolineato da Marx e per altri versi da Polanyi, deve essere molto chiaro al Prof. Tito Boeri, che nel suo editoriale sul Sole-24 ore di martedì lancia una splendida proposta per così dire di riduzione del danno: dato che non possiamo importare le braccia senza gli uomini (o le donne), dato che la forza lavoro non si può staccare dall'odioso venditore (magari nero), si potrebbe provare a tenere braccia e persone, forza lavoro e essere umani, insieme sì, ma solo per un periodo molto limitato, solo per il tempo strettamente necessario. L'articolo è un esempio di utopia reazionaria, una proposta crudele, ma soprattutto poco praticabile. L'articolo di Loris Campetti di eri mette bene in evidenza lo scarso realismo e il carattere disumano della proposta degli operai usa e getta. Vale comunque la pena di riprendere la proposta di Boeri nel dettaglio: "Programmi di immigrazione temporanea dovrebbero essere introdotti per due tipologie di lavoratori...: i lavoratori altamente qualificati e lavoratori con basse qualifiche che vogliono svolgere quelle mansioni (ad esempio nella conciatura delle pelli) che non sono più appetibili per i cittadini Ue". Perché la norma debba applicarsi a questi due estremi non si capisce. E poi cosa c'è in mezzo? Quali sono questi lavori che gli italiani vogliono fare? Il lavoro nelle cave citato da Loris Campetti? Oppure il lavoro di domestica, assistente per anziani, etc.? Si badi che Boeri non parla di lavori stagionali, per i quali è ovvio e comprensibile un permesso di lavoro e di soggiorno temporaneo (con la possibilità di conversione). No: Boeri vuole l'informatico e l'operaio conciario occupato a termine per lavori stabili e sbattuto via alla bisogna. Non si tratta che di una ennesima proposta boeriana di aumento della flessibilità del lavoro. Ma ogni flessibilità ha le sue rigidità. Il meccanismo burocratico proposto da Boeri è molto simile a quello già in atto per le chiamate dall'estero. E come quello avrà difficoltà a funzionare perché rigido. A meno che non si sviluppi una qualche forma di reclutamento diretto di mano d'opera all'estero, con una sorta di canale parallelo rispetto al mercato nazionale del lavoro, che comprende anche gli attuali immigrati. Ma la rigidità più seria - che preoccupa lo stesso Boeri - non riguarda l'entrata, bensì l'uscita. Una volta arrivati gli immigrati sarà difficile mandarli via. Ed ecco l'uovo di Colombo: "Il lavoratore dovrebbe essere selezionato dall'impresa nel paese d'origine.. e ammesso solo una volta dotato di regolare permesso di lavoro. All'immigrato (più realisticamente al datore di lavoro che l'assume) dovrebbe essere richiesto di depositare una somma all'atto dell'ingresso nell'Unione, una dote che potrà essere restituita con gli interessi solo all'atto del rimpatrio". Una buona dose di sale sulla coda dei birds of passage (uccelli di passo), come li chiama Michael Piore, li renderà più facilmente controllabili, ed espellibili. Ci voleva la scienza economia del Prof. Boeri per una trovata del genere. Ma come faranno le imprese a evitare che l'immigrato scappi (oppure osi chiedere il cambiamento del tipo di permesso di soggiorno)? Sarebbe utile che il Prof. Boeri ci spiegasse come fa un'impresa a mettere il sale sulla coda all'operaio che se ne vuole andare? Tutto ciò senza considerare che una parte consistente (la più vasta dopo l'industria) dei datori di lavoro degli immigrati sono famiglie che assumono lavoratori e lavoratrici per servizi domestici, ma anche per lavoro di cura e assistenza agli anziani. Come faranno queste ad evitare che il lavoratore immigrato scappi lasciando la dote nelle mani dello stato? Dovranno chiuderlo in cantina, non appena la vecchia nonna (per cui era stato assunto) tira le cuoia? Disumana certamente, ma soprattutto poco efficace a me sembra la proposta specifica di Boeri. Comunque, originale. Anzi l'unica parte originale dell'articolo, che ripete - come si trattasse di grandi novità - le cose, giuste e sbagliate, che si sentono dire tutti i giorni in materia di politica migratoria. Si pensi tanto per fare un esempio all'originalità dell'idea di "reprimere l'immigrazione clandestina in modo coordinato a livello europeo". Questo per quel che riguarda il piano concreto e operativo. Sul piano analitico, noi non possiamo dubitare della competenza del Prof Boeri nel campo degli studi sulle migrazioni (migration studies, come dicono i monoglotti), un campo per sua natura a carattere multidisciplinare, nel quale lavorano economisti, sociologi, scienziati politici e demografi, i quali travalicano in generale la loro area di specifica competenza per capirne un po' di più del loro oggetto di ricerca. Ma, come è noto, sul tema dei vantaggi e degli svantaggi economici dell'immigrazione per l'economia e per il sistema di welfare, il punto di vista di Boeri, certamente presente, non è l'unico. Esistono in questo campo tesi contrapposte tutte coreddate da ricco supporto documentario e statistico. Boeri cita uno studio del Ces-Ifo "il più importante centro di ricerca economica della Baviera" (e levet'a miezz! come si dice a Napoli) in cui "si stima che ogni immigrato comporti un aggravio di 5 milioni all'anno, in termini di prestazioni dello stato sociale e accesso ai servizi sanitari e al sistema scolastico". Bisogna correre ad avvertire subito il presidente del consiglio Giuliano Amato, che lo scorso luglio, dalla tribuna del congresso giubilare sulle migrazioni, spiegava al popolo italiano che solo grazie agli immigrati è possibile far quadrare i conti della previdenza: "O fate figli - ammonì gli italiani - o accettate gli immigrati". Boeri sembra dire agli stessi italiani "o mandate a casa gli immigrati dopo il lavoro a termine o non ci saranno soldi a sufficienza per pagare la scuola per i vostri figli". Il fatto è che le cose sono molto più complicate si quanto i nostri non sembrano ritenere. E si tratta di un tema caldo dove punti di vista ideologici condizionano comprensibilmente le analisi scientifiche. Una cosa è certa: non c'è un rapporto diretto e univoco, e soprattutto valido, a livello sovranazionale, tra immigrazione e sistema di welfare. Negli Usa gli immigrati sono a volte accusati di pesare sul sistema di welfare, date le loro condizioni di precarietà e povertà. Ma se poi si analizzano in dettaglio le situazioni, si vede che la cosa varia molto a seconda del tipo di ingresso (se da rifugiato, o da lavoratore, da regolare, da clandestino, con famiglia carico, etc.). Proprio per questa complicazione sul piano analitico non mi risulta che in America ci sia una tesi prevalente sull'argomento. Io non conosco lo studio del Ces-Ifo. Ho però una anziana parente tedesca buona, ma tanto reazionaria, che da molto tempo sostiene la stessa cosa. Ora, grazie a Boeri, le loro tesi sono autorevolmente pubblicizzate anche in Italia.