da "Il Manifesto"

17 Aprile 2001

Un artista senza carte né parte

Ilija Soskic, montenegrino, dopo vent'anni vissuti in Italia scopre di essere un clandestino. Ecco come

CINZIA GUBBINI

Ormai è quasi un anno che vive in Montenegro. "Coltiva gli ulivi - dice la moglie - e medita. Pensa all'Italia". Dopo quasi quarant'anni di vita a Roma deve essere stata dura andarsene, costretto da una legge che spazza via le storie personali. Ma lui è testardo, e anche se tanti suoi amici gli dicono di tornare "che tanto una soluzione si trova", ha intenzione di rimanere in Montenegro finché il rientro in Italia non sarà ufficiale. "Io con le falsità e le bugie non ci torno. Piuttosto rimango qui. Anche se, e lo voglio dire chiaro e tondo, io sono italiano". Ilija Soskic, nato nel 1934 a Decani (la città kosovara sede di un famoso monastero ortodosso) è un artista che si dichiara "espulso" dall'Italia. Il problema è tanto semplice quanto incredibile: Ilija è troppo povero per vivere in Italia, il paese dell'arte e degli artisti. In pratica, siccome non ha una dichiarazione dei redditi, e non ha un lavoro normale (sarebbe più o meno un disoccupato) non può presentare alla questura nessun certificato, documento, foglio di carta che dica: "Sì, io, mia moglie e mia figlia ci manteniamo da soli". Un artista molto famoso sarebbe disposto a fare da garante, purché Ilija possa tornare in Italia e stare con la sua famiglia, continuare il suo percorso artistico. Ma così non vale, per lo stato italiano è Ilija che deve mantenersi. Evidentemente quando si è stranieri non esistono fasce di "intoccabili" e questa storia diventa emblematica di un sistema in cui la persona è tale sempre e comunque se "produce". E il fatto che un artista produca semplicemente cultura (che in Italia è molto mal pagata) conta un bello zero. Ilija viveva in Italia dal 1969. All'inizio degli anni '90 si stabilisce in Croazia, ma nel '96 riapproda in Italia dopo un lungo e tormentatissimo viaggio per fuggire alla guerra che ha sgretolato la "sua" Jugoslavia. Arriva con sua moglie, una giornalista di Radio Zagabria, e sua figlia, una bambina che ha conosciuto i campi profughi. Da allora Ilija si porta dietro quello sguardo di fierezza misto a impotenza che caratterizza chi ha assistito a quella lenta agonia, quasi rimproverandosi di non essere riuscito a restare fino alla fine. Così l'Italia, e Roma in particolare, sono diventate davvero la sua nuova casa. Ma i labirinti burocratico-politici del Belpaese - divenuto nuovo porto di immigrazione - non badano a queste storie. Dal '96 Ilija ha in tasca un permesso di soggiorno per protezione umanitaria. Per quanto riguarda i suoi precedenti venti anni in Italia non ha mai avuto alcuna carta di soggiorno: "Non servivano, se ti fermava un poliziotto bastava dirgli chi fossi, mostrare un documento". Nel giugno scorso Ilija parte per il Montenegro: sta per scadere il passaporto, e in più deve allestire una mostra. "Perfetto", pensa, "mentre lavoro faccio un salto in ambasciata per rinnovare i documenti". Ma non considera che con il nuovo passaporto jugoslavo non avrà più diritto ad un permesso di soggiorno umanitario. E così la frittata è fatta: Ilija Soskic in Italia è un clandestino, né più né meno. La sua situazione ora ha del paradossale: per tornare dovrebbe usufruire del nuovo decreto flussi, lo strumento attraverso cui il governo italiano stabilisce quanti stranieri possono entrare ogni anno. Per fare domanda, però, bisogna dichiarare di avere un lavoro, autonomo o subordinato. Ora nel caso di Ilija, e in generale per gli artisti, questo è un vero e proprio problema. Ilija non ha uno stipendio fisso, e neanche una previsione di guadagno anno per anno. Dipende dalla sua ispirazione, dagli spazi espositivi disponibili. Probabilmente sì, anche dal suo umore, nonostante questo grado di libertà sembri quasi un sacrilegio. Per tutti gli artisti questi sono ostacoli quotidiani, ma per quelli italiani la questione "denaro" riguarda la sfera privata. Ecco invece che nel caso di un artista straniero, solo perché straniero, questa problematica viene riversata tutto d'un colpo nel pubblico. E diventa una sottile frontiera che stabilisce se si può vivere in un paese, oppure no. Ma cosa prevede la legge? "Gli artisti - spiega Luciano Corrucini del sindacato degli artisti - dovrebbero avere una partita Iva, che da un certo punto di vista è utile per scaricare un po' di cose. Anche se la nostra vera battaglia è far riconoscere in Italia la figura dell'artista come lavoro con caratteristiche peculiari". "Molti artisti hanno deciso di chiudere la partita Iva - spiega Gino Giannetti della Società degli artisti - perché il nostro è un lavoro troppo discontinuo. D'altro canto la possibilità di avere un lavoro subordinato, magari tramite una galleria, è fuori discussione. Si tratta di un problema enorme, ed è pazzesco che proprio in Italia non esista una legislazione che tuteli gli artisti". Ilija dovrebbe dimostrare di guadagnare almeno 16 milioni l'anno. Alla questura di Roma confermano: "Sa, è per non avere problemi". Ovviamente l'éscamotage esiste: Ilija dovrebbe farsi invitare da una galleria che assicuri di pagare le spese di viaggio, di permanenza e l'assicurazione sulla salute, e ottenere così un permesso di soggiono per missione che può durare al massimo tre mesi. Una volta arrivato in Italia potrebbe trasformare il permesso di soggiorno per missione in permesso di soggiorno per lavoro, aprendo una partuta Iva e inventandosi qualche versamento. Ma Ilija non vuole: "Io con le bugie non torno".