da "Il Manifesto"

11 Aprile 2001

La Corte salva i centri

Respinto dalla Consulta il ricorso contro le strutture detentive per immigrati

CINZIA GUBBINI - ROMA

" Non fondata". Questa la decisione della Corte costituzionale sulla questione di costituzionalità sollevata da alcuni giudici di Milano riguardo ai famigerati centri di permanenza temporanea per stranieri, istituiti dal testo unico 286 del '98. In poche parole: i centri di permanenza rimangono in piedi. Il caso dei giudici milanesi "ribellatisi" ai cosiddetti cpt aveva fatto molto scalpore: con ordinanze assolutamente inedite alcuni immigrati, destinati a finire in via Corelli, erano stati rimessi in libertà. Che la Consulta rigettasse la questione era abbastanza scontato, visto che i centri di permanenza temporanea sono uno strumento di controllo diffuso in Europa. Eppure non si tratta di una semplice sentenza di rigetto (relatore Carlo Mezzanotte, eletto su indicazione di Forza Italia), bensì di una sentenza interpretativa, che statuisce la corretta applicazione dei due articoli contestati, il tredicesimo e il quattordicesimo. Quali dubbi di legittimità costituzionale esprimevano i giudici milanesi? Innanzitutto, la modalità di espulsione per accompagnamento alla frontiera, detto anche "espulsione coatta". Secondo i giudici, infatti, l'accompagnamento forzato alla frontiera - che avviene con un'ordinanza amministrativa, e quindi non deve essere convalidata dal tribunale - viola l'articolo 13 della Costituzione, che impone una "riserva di giurisdizione" (cioè, si deve pronunciare il giudice) in ogni caso di restrizione della libertà personale. Di conseguenza i giudici si rifiutavano di convalidare il trattenimento nei centri di permanenza temporanea degli stranieri - provvedimento disposto dal questore, ma che entro 48 ore deve essere convalidato dal giudice - visto che non potevano intervenire sul "presupposto", cioè sull'espulsione con accompagnamento forzato. Tanto più che se il giudice rifiuta la convalida, non decade automaticamente anche il provvedimento di espulsione. D'altro canto i giudici contestavano che, al momento della firma di convalida del trattenimento, non è consentito stabilire quanti giorni lo straniero debba essere recluso nel centro di permanenza, si sa soltanto che saranno "al massimo" 20 giorni, a cui se ne possono aggiungere altri 10. Oltretutto i giudici sottolineavano il carattere "forzoso" dei cpt. In pratica, dicevano i giudici, sono delle "carceri", anche se non fanno capo all'autorità penitenziaria. Quindi, se una persona deve essere reclusa, è necessario un atto motivato dell'autorità giudiziaria. Insomma, niente di rivoluzionario o di "forzato": i giudici milanesi chiedevano l'applicazione dell'articolo 13 della Costituzione anche nel caso degli immigrati irregolari. Come risponde la Corte costituzionale? Innanzitutto vale la pena citare testualmente un passo della sentenza: "Il trattenimento (nei cpt, ndr) è quantomeno da ricondurre alle "altre restrizoni della libertà personale", di cui si fa pure menzione nell'articolo 13 della Costituzione". E poi: "Né potrebbe dirsi che le garanzie dell'articolo 13 della Costituzione subiscono attenuazioni rispetto agli stranieri. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale". Sconfessando così chi ritiene che la pemanenza nei centri sia soltanto una limitazione della "libertà di circolazione". Per quanto riguarda la questione della convalida, la Corte dice che il controllo dell'autorità giudiziaria deve essere inteso in "un'accezione piena". Ovvero: se il giudice si esprime sul trattenimento, è "ovvio" (secondo l'interpretazione della Corte) che si debba esprimere anche rispetto all'espulsione con accompagnamento alla frontiera. Secondo la Corte, inoltre, "anche in assenza di una espressa previsione in tal senso", è "ovvio" (ancora...) che se il giudice respinge l'istanza di trattenimento "il diniego di convalida travolgerebbe, insieme al trattenimento, anche la misura dell'accompagnamento alla frontiera a mezzo di forza pubblica". Ovvero, se il giudice rifiuta di convalidare il trattenimento cade automaticamente anche il decreto di espulsione amministrativa. Rispetto alla obiezione sui "venti giorni" di trattenimento, statuiti per legge, senza che il giudice possa intervenire per "accorciare" il tempo di permanenza, la Corte è inflessibile: "la questione è infondata". Facendo rifermento all'articolo 14 del decreto 286, la Corte sottolinea che "lo straniero deve essere trattenuto "per il tempo strettamente necessario"".