da "Il Manifesto"

05 Aprile 2001

COMMENTO

Intifada e fantasmi tedeschi

GUIDO AMBROSINO

Sono stati due giovani arabi a lanciare tre bottiglie molotov contro la sinagoga di Düsseldorf, nella notte tra il 2 e il 3 ottobre scorso. Hanno spiegato il loro gesto con l'indignazione per le immagini, viste in televisione, di un bambino palestinese ucciso dai soldati israeliani. Il 20enne Khalid Z., di origine marocchina e con passaporto tedesco, è stato condannato ieri a 27 mesi di reclusione. Doveva rispondere anche della sua partecipazione, qualche giorno dopo l'attentato incendiario, a una violenta manifestazione di immigrati "anti-israeliani" contro la vecchia sinagoga di Essen, trasformata in un museo. Khalid aveva tirato un sasso contro l'edificio e sparato in aria due colpi con una pistola a gas. Nell'attacco contro la sinagoga di Düsseldorf lo aveva aiutato il palestinese 19enne Belal T., già condannato un mese fa a un anno e mezzo con la condizionale per "danneggiamenti". I danni materiali provocati da quelle tre bottiglie di benzina furono esigui: una porta annerita e tracce di fumo sui muri. Ma l'eco politica fu enorme. In un paese dove le sinagoghe furono incendiate dai nazionalsocialisti la notte del 9 novembre 1938, e dove ogni anno si contano centinaia di delitti antiebraici - dai cimiteri profanati e devastati alle lettere anonime piene di insulti e di minacce - nessuno pensò a una ripercussione demenziale e deviata dei risentimenti per la repressione dell'intifada. L'incendio di una sinagoga in Germania, non importa se consumato o solo tentato, e indipendentemente dalle intenzioni, è comunque un gesto di continuità con il nazismo. Paul Singer, portavoce degli ebrei in Germania, lanciò un grido di allarme e si domandò se non fosse stato un errore ricostruire le comunità ebraiche in questo paese dopo la guerra. Il cancelliere Gerhard Schröder corse a Düsseldorf e sollecitò una "mobilitazione delle persone per bene" contro ogni insorgenza di razzismo. A Berlino 200.000 persone scesero in piazza in una manifestazione senza precedenti, con impiegati e operai chiamati a dimostrare sia dai sindacati che dai datori di lavoro. In quel clima maturò la decisione del governo di chiedere alla corte costituzionale la messa fuori legge del partito nazionaldemocratico. A novembre, quando a Düsseldorf la polizia arrestò Khalid e Belal, ci fu uno sbandamento nel fronte antirazzista, un attimo di incertezza. A torto, perché si trattava di ristabilire un tabù per tutti, quali che siano i motivi e la nazionalità di chi lo infrange. La Npd, sulle sue pagine on line, derise l'indignazione delle "persone per bene". Stupidamente, perché se degli arabi scimmiottano gli skinheads ciò nulla toglie all'imbecillità criminale dei modelli tedeschi. Ma se ci è nota la fenomenologia del delirio nazista, il cortocircuito mentale antigiudaico che ha spinto Khalid e Belal a scambiare una sinagoga per una filiale dello stato d'Israele segnala una qualità nuova nell'avvelenamento del conflitto mediorientale. Le molotov di Düsseldorf non sono rimaste un episodio isolato. A Berlino due ragazzi arabi hanno rotto a sassate le finestre della sinagoga di Kreuzberg. Sempre a Berlino, a gennaio, due quindicenni, uno iracheno l'altro libanese, hanno aggredito il rabbino Walter Rotschild: gli hanno fatto cadere il cappello, l'hanno colpito in faccia rompendogli gli occhiali, dicendogli come unica spiegazione che odiavano tutti gli ebrei. Il rabbino ha cercato di sdrammatizzare, ha parlato di "due ragazzi senza cervello". E se invece sapessero quello che fanno?