da "Il Manifesto"

01 Marzo 2001

La polizia pesta il figlio di Chiti

RICCARDO CHIARI - FIRENZE

La prima colpa di Marco Chiti è stata quella di avere degli amici albanesi. La seconda, ancor più grave, quella di essere un ragazzo educato. Uno che non dice "lei non sa chi sono io" nemmeno alla polizia che lo ferma alle tre del mattino di domenica per portarlo in questura. A denunciarlo era stato un buttafuori di discoteca, che accusava lui e altri quattro coetanei appena maggiorenni di averlo offeso mentre erano a ballare al Panda di Pistoia. Il figlio del sottosegretario alla presidenza del consiglio non immaginava come sarebbe stata la procedura in casi del genere. Né i quattro agenti delle volanti potevano sapere che, insieme a quei due immigrati identificati al bar New York, c'era anche un italiano con un padre importante. Così i poliziotti hanno aspettato che l'amico buttafuori arrivasse in questura. Poi si sono goduti una "vendetta" fatta di calci al basso ventre, pugni in faccia, ceffoni e insulti. Un pestaggio. E qualche cazzotto lo hanno dato pure loro. Tanto sono degli albanesi, a chi vuoi che vadano a raccontarlo? E se anche lo facessero, nessuno ci crederebbe. Vannino Chiti al figlio ci ha creduto subito. Anche perché ha un trauma cranico, e alla fine in questura era dovuto intervenire un medico, e un ragazzo (italiano) di 19 anni era stato poi operato per la frattura del setto nasale, oltre ad avere un timpano rotto e un testicolo tumefatto. L'ex presidente regionale toscano è stato zitto per due giorni. Poi le notizie dell'aggressione e della conseguente denuncia "contro ignoti" sono state pubblicate ieri dai quotidiani del gruppo Riffeser. E allora l'esponente diessino ha affrontato i cronisti: "Ho parlato domenica con mio figlio e con alcuni dei ragazzi coinvolti. Personalmente non ho dubbi sulla loro versione dei fatti. Tutta la vicenda è di un'estrema gravità. Comunque ho fiducia nel lavoro della magistratura, e spero in un rapido accertamento della verità". Poi l'affondo, deciso: "Temo che questo episodio possa essere il frutto di una demonizzazione verso gli immigrati, operata in questi mesi nella cultura e nei comportamenti del nostro paese". L'avvocato che assiste i cinque giovani si chiama Andrea Niccolai: "E' una brutta storia - commenta - di quelle che mi fanno star male come avvocato, come cittadino e come genitore". Poi spiega che i ragazzi si sono conosciuti in un centro di volontariato, e che lo screzio con il buttafuori in discoteca era nato e morto in un momento: "Se n'erano andati via tranquillamente a prendere qualcosa in un bar, senza mai immaginare che li avrebbero ricercati". Dal suo racconto esce l'immagine di una città tranquilla. Dove però ci sono due pesi e due misure. "Quando i ragazzi sono stati fermati, gli agenti hanno preso i documenti a uno solo di loro, e hanno visto che era albanese. Poi si sono fatti dare il nome di un altro, e anche lui era albanese". Il questore Sandro Federico ha fatto carriera grazie a molte indagini, anche delicate, ben condotte a termine. "Siamo a disposizione della procura per fare chiarezza sull'episodio - dice - qualunque sia la verità che verrà fuori". Il procuratore capo Tindari Baglione ha aperto due fascicoli, il primo con la denuncia del buttafuori per oltraggio e ingiurie, e il secondo con quella dei ragazzi per lesioni e violenza privata. Da Roma il ministro Bianco ha aperto un'indagine interna, da Firenze il successore di Chiti, Claudio Martini, ha parlato in Consiglio regionale senza troppe sfumature: "Una violenza privata di questo genere nei confronti di giovani è comunque inammissibile. Ma sarebbe ancora più odiosa se fosse collegata alla loro presunta nazionalità albanese. Come se si potesse abusare di alcune persone pensando che non hanno gli stessi diritti umani degli altri".