da "Il Manifesto"

02 Febbraio 2001

Rom in calzoncini corti

LA STORIA Ricordate Serbo? Aveva solo 14 anni quando fu espulso dall'Italia. Ora è tornato, ma non è stato facile

CI. GU. - ROMA

Serbo è tornato, ne è passato del tempo. Adesso vive bene, nel container che divide con i cugini nel nuovo campo attrezzato di Tor de' Cenci, a Roma. E' un ragazzino sveglio, allegro. Ma l'ultimo anno per lui è stato duro e ora vive praticamente da solo, aiutato dalla zia. Serbo è il quattordicenne rom deportato dall'Italia alla Bosnia il 4 marzo 1999, insieme ad altri 57 rom. Il manifesto ne scrisse molto a suo tempo. Caricato su un aereo diretto a Sarajevo, era stato abbandonato lì dalla polizia italiana insieme a un'altra trentina di rom, che vivevano con lui nel campo di Tor de' Cenci, sgomberato per farne il fiore all'occhiello della nuova politica comunale. Serbo, secondo Comune, polizia, Viminale e persino secondo il console bosniaco, non poteva restare, era un "clandestino". Lui e sua nonna. Nonostante i suoi genitori vivano in Italia: il padre in carcere, la madre con una nuova famiglia. Ma, secondo chi doveva decidere di sbatterlo fuori dall'Italia, la nonna era la tutrice, nei fatti. Ed essendo la nonna "irregolare", e lui minorenne, si decise per l'espulsione. Tutto in regola. Nessuno tenne conto del fatto che Serbo non era mai stato in Bosnia e che in Italia viveva da anni e frequentava la scuola, giudicato da tutti "un ragazzo modello". "Ho meno problemi con lui che con gli altri ragazzini italiani", ripeteva in quei giorni il suo allenatore di atletica nella squadra delle Fiamme gialle. "Il tesserino me lo hanno rifatto - racconta ora Serbo - perché quella notte la polizia me lo aveva strappato". Lo aveva tirato fuori in questura, per dimostrare che lui una vita in Italia ce l'aveva, che conosceva tanta gente e che, insomma, che ci andava a fare in Bosnia? Una volta arrivato laggiù, oltretutto, non poteva nemmeno tornare a casa perché a Vlasenica ormai c'erano i serbi. In quei giorni Serbo e gli altri si rifugiarono a Kladanj, in montagna, dove un rom aveva ancora una casa: ci vivevano in 20. "Ascoltavo soltanto musica - ricorda Serbo - i ragazzi del posto non erano contenti della nostra presenza, perché i rom sono considerati ancora collaborazionisti. Quindi era un po' pericoloso andare in giro. Stavo chiuso in casa". Con la speranza di tornare a scuola, in Italia. Serbo non ama scendere nei dettagli, soprattutto riguardo al suo viaggio di ritorno. Il rientro infatti non è stato "ufficiale". Il viaggio lo ha fatto quasi tutto a piedi, scontrandosi, oltretutto, con la polizia croata che è abitualmente molto dura con chi tenta di attraversare la frontiera. Se poi si tratta di un rom, è ancora peggio. "Non ne voglio parlare". Non vuole ricordare, perché quel viaggio non avrebbe mai voluto - e non avrebbe mai dovuto - farlo. Ora è contento di essere in Italia, di aver ricominciato la scuola, di aver ritrovato gli amici: "ma non ce la farò mai a studiare tutto quello che ho perso in un anno", dice sconsolato. Sta persino pensando di non iscriversi alle superiori. Bel risultato. Ma adesso il permesso di soggiorno glielo hanno dato, e lo hanno affidato alla zia. Quasi un indennizzo.