Nuovo Nordest
Cambia l'immagine e la coscienza della "locomotiva". Un convegno
GIOVANNA PAJETTA - INVIATA A VENEZIA
da "Il Manifesto" del 24 giugno 2000

Un magma ribollente, un vortice tumultuoso, una società sospinta da mutazioni così veloci e profonde da frastornare i suoi stessi cittadini ma anche, perché no, i suoi più attenti osservatori. Smentendo timori, speranze, e luoghi comuni, la "locomotiva del Nordest", come veniva chiamata negli anni del mito, non si è affatto fermata. Anzi, corre più veloce di prima, spesso in direzioni inaspettate. E se, come afferma Ilvo Diamanti, "non rappresenta più un laboratorio, e forse neppure un modello" non è certo perché sia oggi meno effervescente di un tempo. Visto che, come dice la nuova etichetta con cui lo definisce il sociologo vicentino, il Nordest è diventato "un crocevia", un pezzo d'Italia proiettato verso il mondo e inserito appieno nel processo di globalizzazione. Ma per l'appunto troppo spesso in maniera inconsapevole, o scomposta, tanto da far dire ai ricercatori e agli imprenditori della Fondazione Nordest che è giunto il momento di agire. Per sollecitare il sistema, aiutarlo a consolidarsi, a crescere in modo coerente, e frenare le spinte centrifughe. Il primo "Rapporto sulla società e l'economia" (sottotitolo "Nordest 2000"), presentato ieri nella sala degli affreschi di palazzo Labia, a Venezia, è ricco di sorprese e di smentite. Anche se, come premettono economisti e studiosi (coordinati da Ilvo Diamanti e Daniele Marini, rispettivamente direttore e segretario della Fondazione), molti dati non sono comparabili e altri si fermano al 1996, quella descritta è una società complessa e in rapida evoluzione. Sono bastati pochi anni ad esempio per far uscire di scena lo stereotipo del piccolo imprenditore veneto, gran lavoratore ma un po' ignorante, ex contadino o ex montanaro capace solo di pensare agli "schei" (per citare uno dei libri più fortunati di Gianantonio Stella). Oggi, assieme all'impresa, cresce infatti la scolarità, sia quella classica del diploma e della laurea che quella professionale. Ma soprattutto, pare davvero finito per sempre il tempo della società chiusa, tutta chiesa, dialetto, famiglia e capannone. Per necessità, se non per scelta, visto che proprio qui nascerà, nel giro di un decennio o poco più, la prima società interetnica italiana. Già oggi infatti in Veneto, come in Friuli o in Trentino, a riprova di un avanzato processo di integrazione, c'è il più alto tasso di permessi di soggiorno e il minor numero di clandestini, e gli immigrati costituiscono ben il 10 per cento della forza lavoro (se si considera i nuovi occupati). E cresceranno ancora, visto il trend di invecchiamento della popolazione e bassa natalità (analizzato nel saggio di Maria Castiglioni e Gianpiero Dalla Zuanna) che fa del Nordest una Svezia latina. Ma l'apertura verso il mondo non sta solo qui. L'affacciarsi sui mercati esteri, la delocalizzazione delle imprese (in Croazia e Romania, ma ormai anche in India o nelle Americhe) non può più infatti essere considerato, come scrive Giancarlo Corò, "evento congiunturale, ma piuttosto un sintomo del cambiamento strutturale dell'economia regionale". O addirittura un'occasione per riqualificare le fabbrichette di casa e per entrare a pieno titolo nel processo di globalizzazione. Una visione forse un po' troppo ottimista, visto che in realtà il "Rapporto" racconta, a partire dal saggio di Enzo Rullani su "Globalizzazione e nuova economia", come in realtà ci sia ancora molta strada da fare. Veloce e dinamico, il Nordest continua infatti a trascinarsi dietro fin troppi peccati d'origine. Sul piano per l'appunto della comprensione del mercato globale, su quello ancor più spinoso dell'innovazione tecnologica, ma ancor più su quello della capacità di dotarsi di una vera politica industriale e sociale. Necessaria per la crescita dello sviluppo, ma ancor di più per dare un volto e un futuro a una società più che mai frammentata e attraversata da incertezze crescenti. L'intero "Rapporto" del resto, e ancor più la sua introduzione, sono pervasi da un'ansia sottile. Dal dubbio, esplicitato per l'appunto da Diamanti e Marini, su quale strada prenderà il vorticoso Nordest. Anche perché, accanto a tanto dinamismo dell'economia e della società, c'è la stagnazione, per non dire la morte, di ogni passione per la politica. Non solo quella romana, da anni snobbata per non dir peggio. Tra i protagonisti che escono di scena ci sono ad esempio sia il sogno federalista che le fortune dei movimenti autonomisti (con il declino elettorale di Lega e Liga). Sepolti entrambi, nelle opinioni dei nordestini, dalla paura della microcriminalità o dall'unica fiducia possibile: nella nuova Europa o, per rimanere alle soglie di casa, nelle associazioni industriali o artigiane. Le stesse che un anno fa hanno dato vita alla Fondazione Nordest, e che ieri, invitando a discutere politici e opinion makers locali, sono tornate a chiedere di non essere lasciate sole ad affrontare la sfida lanciata dal "Nordest 2000".