DA NORDEST
Il business, illegale, dei diritti
 
GIANFRANCO BETTIN
da "Il Manifesto" del 23 Maggio 2000

Come trasformare in un business un diritto inalienabile - cercarsi un destino migliore, una vita dignitosa altrove se il luogo in cui si è nati non li offre - nonché una necessità strutturale della nostra economia: accogliere, integrare, utilizzare forza lavoro immigrata. Dove poteva accadere in modo più esasperato e "in nero" che nel Nordest? La storia che segue, accaduta a Vicenza, lo conferma una volta di più. In realtà, accade un po' ovunque, in Italia, complici leggi incoerenti e anacronistiche, servizi preposti neanche lontanamente adeguati al problema e un clima politico e sociale avvelenato dalla continua e infame trasformazione della questione in questione di ordine pubblico. L'inadeguatezza delle norme e delle strutture a garantire percorsi di integrazione viene continuamente aggirata, com'è noto, dall'"arte di arrangiarsi" dei singoli immigrati o dall'iniziativa di gruppi organizzati più o meno strutturati in racket. Un'inchiesta della Squadra Mobile di Vicenza, guidata dal dottor Marco Odorisio, non nuova a brillanti operazioni in questo campo, ha portato alla luce nei giorni scorsi un meccanismo che rappresenta un'evoluzione di questo sistema illegale. In pratica, all'ombra della Madonna di Monte Berico, l'importazione di clandestini veniva organizzata direttamente da un'impresa edile, con la complicità di un funzionario del servizio stranieri della Questura. L'impresa edile imbarcava al valico triestino di Fernetti immigrati serbi e riusciva a farli entrare in Italia esibendo un permesso rilasciato dall'Ufficio stranieri della Questura di Vicenza e poi li "assumeva" previo pagamento di dieci milioni successivamente trattenuti dal salario. Il sovrintendente di polizia dell'ufficio stranieri, coinvolto nel business, percepiva un milione per ogni pratica di regolarizzazione evasa d'intesa con gli importatori. L'affare coinvolgeva, oltre al sovrintendente , i due titolari della "Nuova Europea Edile", entrambi vicentini, un imprenditore serbo e due altri suoi connazionali residenti a Bassano del Grappa, tutti arrestati, più un'altra dozzina di indagati. Le accuse a loro carico vanno dall'associazione per delinquere finalizzata all'introduzione clandestina di immigrati al falso materiale e alla corruzione, mentre si stanno valutando eventuali reati legati allo sfruttamento della manodopera. Gli immigrati, illegalmente introdotti, venivano occupati come muratori nei cantieri dell'impresa edile e del salario di un milione - un milione e mezzo veniva loro trattenuto fino all'ottanta per cento a progressivo saldo dei dieci milioni richiesti dall'ingegnoso racket di intraprendenti padroncini. A suggello dell'operazione, spesso i lavoratori serbi alloggiavano, pagando, presso locali della stessa impresa. Ecco dunque come nel vuoto delle politiche pubbliche e nell'assenza di un corretto e civile funzionamento dei meccanismi istituzionali e sociali di integrazione e perfino dello stesso mercato - del lavoro come degli alloggi -sia l'iniziativa illegale, fiutato il business, a proliferare e a "dare risposte", sulla pelle degli immigrati. Non c'è ombra di dubbio, infatti, che episodi come questo, soprattutto nelle regioni produttive e prosperose e incuranti dei diritti e delle regole, rappresentano soltanto la classica punta dell'iceberg.