GIORNALI: STEREOTIPI IN REDAZIONE

a cura di Maurizio Corte - Verona, 15 giugno 2007 
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Gli stereotipi costituiscono una scorciatoia mentale e una forma di economia del pensiero, tali da far sì che la percezione di un individuo come appartenente a una categoria particolare (per esempio, i giornalisti) permetta una rapida inferenza circa le caratteristiche di quell’individuo e ciò che ci si può aspettare da lui. Il possesso di uno stereotipo relativo a un gruppo di individui implica che i membri di quel gruppo siano percepiti come essenzialmente simili, almeno sotto certi aspetti (tutti i giornalisti sanno scrivere bene, per restare all’esempio). Gli stereotipi sarebbero allora una conseguenza di quel fenomeno cognitivo che è stato definito “differenziazione categoriale”. La “categorizzazione” rappresenta un processo mentale di inclusione, di inserimento dell’oggetto della nostra considerazione in un contesto del quale siamo già in possesso, di cui disponiamo. Il modo con il quale l’oggetto della nostra considerazione viene incluso nella categoria ha come fondamento un paragone, un confronto. La “differenziazione” è invece quel processo per cui vengono massimizzate o esagerate le differenze tra le categorie e minimizzate o cancellate le differenze all’interno della categoria. Allport (1973) afferma che “uno stereotipo è un’opinione esagerata in associazione a una categoria. La sua funzione è quella di giustificare (razionalizzare) la nostra condotta in relazione a quella categoria”. Scrive Allport (1973) che “lo stereotipo non è identico alla categoria; esso è piuttosto una idea fissa che l’accompagna. Ad esempio, la categoria negri può essere conservata nella nostra mente come un concetto indifferente, privo di valutazioni, usato solo per riferirsi ad un ceppo razziale. Lo stereotipo si ha allorché la categoria iniziale si arricchisce di immagini e giudizi sui negri, per cui essi sarebbero amanti della musica, pigri, superstiziosi o che altro ancora”.
L’economia di pensiero è una delle pratiche più diffuse in redazione, specie quando il tempo a disposizione per decidere le notizie da mettere in pagina è molto poco o quando pochi sono gli elementi di conoscenza di un certo fenomeno, specie se quel fenomeno è complesso e di non facile interpretazione. Non è un caso che capiti ai giornalisti di confondere il “velo islamico”, indossato dalle donne musulmane che poco ha di diverso dal velo che le donne italiane usavano per entrare in chiesa fino agli anni sessanta, con il “burqa”.

Uno degli stereotipi a cui più ricorre la stampa italiana – dalle agenzie d’informazione alle Tv, ai giornali quotidiani – è l’associazione fra immigrazione e sicurezza. Il cittadino straniero che delinque viene visto non tanto quale persona deviante – non molto diverso, quindi, dal cittadino di Treviso o di Napoli che infrange le leggi – ma proprio come “estraneo”, come “extracomunitario”. Come abbiamo visto più volte, addirittura l’estraneità, l’essere immigrato e straniero accrescono la notiziabilità, il valore di un certo fatto od evento.
Nella scelta degli argomenti e nell’impaginazione delle notizie, l’accostamento immigrazione/sicurezza diventa automatico. E’ una pratica che ha due origini: da un lato dai “menù” delle agenzie di informazione (le “fonti” dei giornali), le quali associano immigrazione ed illegalità; dall’altro dalle fonti istituzionali (ad esempio il Ministero dell’Interno) che con prassi consolidata dopo aver parlato di sicurezza, parlano di immigrazione.
Si badi bene, non si vuole negare – e l’approccio interculturale non lo nega – che l’immigrazione comporti anche devianza e che cittadini stranieri siano protagonisti di alcuni fatti delittuosi. Il problema, a livello di comunicazione, è che l’immigrazione e cittadini stranieri sono rappresentati soprattutto come fonte di insicurezza, legandoli soprattutto alla devianza.
Il peso dello stereotipo e del pregiudizio l’ha vissuto la città di Verona e l’hanno vissuto i tifosi dell’ex maggiore squadra di calcio, l’Hellas Verona, ora precipitata nel campionato di serie “C”. Il fatto che poche centinaia di tifosi dediti all’illegalità e all’infrazione delle leggi si siano distinti in scontri con altre tifoserie, in violenze inaccettabili, in battaglie con la polizia fuori degli stadi, in manifestazioni di stampo razzista ha portato ad identificare il tifoso dell’Hellas Verona come razzista. Non solo: la stessa città di Verona ha subito la stessa sorte, tacciata in alcune occasioni di essere razzista. Eppure è una città dove vi sono anche alte e diffuse pratiche di solidarietà, di tolleranza, di dialogo e di confronto interculturale.
La parte – molto minoritaria – ha prevalso sul tutto. E’ quanto accade con l’immigrazione: la parte deviante, molto ridotta, copre le esperienze virtuose e positive. Si dirà che “fa notizia” l’infrazione della legge e non il fatto di rispettarla. Non è vero. Molto spesso i giornali utilizzano fatti ed eventi che non meritano la dignità di notizia, o comunque non meritano l’ampio spazio loro riservato, solo perché i giornalisti ritengono che quegli eventi e quei fatti siano rappresentativi di una certa situazione sociale; che siano espressione di un certo momento storico; che consentano di “leggere” una città. Il problema è che si tratta di una lettura stereotipata e di una lettura pregiudiziale, dove per pregiudiziale intendiamo l’articolare un giudizio senza curarsi di come stanno realmente le cose; di non accettare che la realtà sia diversa da come la consideriamo e la giudichiamo.
Il venir meno del contatto dei giornalisti con la realtà dei fatti – che si estrinseca in quel fenomeno chiamato “deskizzazione” (noi giornalisti condannati a stare dietro ad una scrivania anziché uscire per strada) – produce un’attitudine allo stereotipo; provoca una forte dipendenza dalle fonti (agenzie d’informazione, istituzioni, uffici stampa); induce a leggere la realtà attraverso dei media che la semplificano, con il rischio di rendere poi il nostro resoconto parziale e viziato da un’impostazione limitata e insufficiente rispetto alla ricchezza della realtà.
Verona, 15 giugno 2007

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