GIORNALISMO INTERCULTURALE “SUL CAMPO”: QUALCHE CONSIGLIO

a cura di Maurizio Corte - Verona, 29 novembre 2006 
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Quali consigli si possono dare ad un giornalista che voglia assumere e praticare un approccio interculturale alla notizia: sia essa raccolta sul campo, nella realtà di tutti i giorni, sia essa letta, selezionata e impaginata con un lavoro in redazione, al desk?
Possiamo indicare, di seguito, alcuni “consigli” suggeriti dalla Pedagogia interculturale, dalle tecniche di mediazione interculturale e dalla Comunicazione Interculturale. In questo ci rifacciamo – adattandoli ai mass media e al lavoro giornalistico – anche ad alcuni importanti suggerimenti che Barbara Guidetti, componente del team che opera al Centro Studi Interculturali, dà nel suo lavoro di ricerca sulla Comunicazione Interculturale e sulla gestione dei conflitti in ambito economico, aziendale e delle relazioni internazionali.
Va detto innanzi tutto che il lavoro del giornalista è un lavoro di “mediazione” tra i fatti, gli eventi e i lettori. In una situazione multiculturale, pluralistica e complessa vi è bisogno di una mediazione che sia “interculturale”. Ecco, allora, i “consigli” utili per un giornalismo che sia interculturale:
- Ascolto empatico delle persone e delle situazioni: predisporsi ad un ascolto profondo dei comportamenti, delle parole e delle emozioni di quanto sentiamo e vediamo.
- Rispetto interculturale, inteso come sviluppo della capacità di dischiudersi alle altre culture e nel contempo come disponibilità a rendere possibile l’apertura del proprio mondo agli altri.
- Ascolto “multi-livello”, ovvero creare le condizioni per le quali ogni interlocutore possa trarre vantaggio dallo scambio comunicativo.
- Orientamento win-win: creare le condizioni per le quali ogni parte in gioco possa trarre vantaggio dalla situazione. Evitare, quindi, un atteggiamento di superiorità che umilia o mette in difficoltà l’altro davanti a noi.
- Sviluppo della curiosità e del gusto della scoperta. Questo ci porta a indagare, a osservare, a guardare con occhi disponibili alla meraviglia e ad evitare il “giornalismo a tesi”.
- Attenzione alla diversità e all’affinità fra le culture, con un’apertura alla riflessione su di esse.
- Evitare l’idea che le culture siano entità statiche e chiuse, avendo ben presente i loro mutamenti e le influenze che derivano dagli incontri-scontri fra loro. Evitare di considerare la cultura come un qualche cosa che condiziona in modo irreversibile e definitivo la persona che vi è legata: è la persona che forgia la cultura e la cambia; è la persona ad essere protagonista (nella sua fondatezza ontologica) della cultura entro cui vive, anche se di questa cultura subisce di certo un’influenza.
- Capire i fondamenti generali e importanti (i macro-fondamenti) della cultura delle persone con cui si interagisce.
- Capire i fondamenti particolari e gli aspetti personali della cultura dei nostri interlocutori.
- Scomporre i messaggi per riuscire a comprendere quali di essi sono riconducibili alla cultura dell’interlocutore, quali alla sua personalità, quali al suo ruolo e quali ai fattori dettati dal contesto entro cui la comunicazione fra noi e l’interlocutore avviene.
- Gestire i conflitti che possono sorgere nelle relazioni con gli altri in un’ottica interculturale, i distinguendo i “contrasti” (piano del contenuto degli scambi comunicativi) dai “conflitti” (piano della relazione fra le persone).
- Essere predisposti a comunicare con spirito di analisi, con attenzione e consapevolezza degli stereotipi e dei pregiudizi che possiamo avere o che possono sorgere.
Un giornalista che tenga presenti questi aspetti e che si impegni ad applicarli, non solo si mette nelle condizioni di una crescita personale importante, ma esercita meglio il proprio lavoro. Evita fraintendimenti, errori, posizioni precostituite. Si pone in una condizione di ascolto e di empatia, necessaria per comprendere nel modo più completo e corretto possibile la realtà che è portato a raccontare e a interpretare a beneficio dei lettori.
Nel processo e nel lavoro di semplificazione della realtà, di riduzione della complessità – operazioni che sono proprie del giornalismo – è importante l’impegno del giornalista in prima persona, per evitare categorizzazioni, stereotipizzazioni e pregiudizi che rischiano di compromettere una rappresentazione corretta della realtà.
Se è inevitabile che talvolta possa esservi una “distorsione involontaria” nella rappresentazione della realtà – dettata dalle routines redazionali, dai processi di lavoro giornalistico, dalla velocizzazione delle informazioni – è però possibile evitare una “distorsione volontaria”, legata allo scarso o nullo impegno del giornalista nello svolgere il proprio lavoro. Quell’impegno è tanto più importante quanto più è complessa e pluralistica la società entro cui viene svolto il lavoro (redazionale o “sul campo”) e quanto più è difficile comprensione la situazione, il fatto, l’evento o le persone che ci si trova a rappresentare.
Verona, 29 novembre 2006

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