LA “RAZZA ROMENA” E IL GIORNALISMO RAZZISTA

a cura di Maurizio Corte - Verona, 13 ottobre 2006
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Cos’è il razzismo? Secondo una delle definizioni proposte dal Grande dizionario Garzanti della lingua italiana, razzismo è “ogni tendenza che favorisca o determini discriminazioni sociali”.
Lasciamo al giudizio di chi legge, allora, definire se è razzismo un articolo apparso sul quotidiano “Il Tempo”, di Roma, il 3 ottobre che riportiamo qui sotto e al quale ha replicato l’ambasciatore della Romania.
Quello che l’articolo ci ispira va articolato in quattro punti:
1. Di fronte alla criminalizzazione operata da certo giornalismo razzista, le comunità straniere in Italia sono spesso indifese. Quanto ai singoli cittadini stranieri, pochi possono avere la forza economica e “sociale” di far sentire la loro protesta: ad esempio, querelando un giornale che presenta – è successo più volte - come colpevole di un incidente un lavoratore di nazionalità marocchina morto sotto un camion, solo perché l’autore dell’articolo sa che i familiari del cittadino marocchino non hanno i soldi e la possibilità di difendere la memoria del loro caro.
2. Nell’arena pubblica, le diverse forze sociali e politiche si esprimono presentando opinioni, progetti, dichiarazioni, osservazioni: quest’attività è l’essenza della democrazia. Il fatto che non vi sia democrazia in alcuni dei Paesi da cui provengono i cittadini immigrati, non significa che a questi cittadini debbano essere negati i diritti di espressione civile, sociale e religiosa. E’ come se ai nostri connazionali emigrati negli Stati Uniti nella prima metà del Novecento fossero stati – com’è più volte successo – negati i diritti democratici solo perché in Italia per vent’anni vi è stato un regime fascista, antidemocratico e razzista. Proprio il diritto alla libera espressione del pensiero e alla difesa della dignità della persona, deve portare le comunità di cittadini stranieri in Italia a fare “comunicazione pubblica”, ad intervenire nel dibattito sui giornali, a dare una loro versione dei fatti. Come vi sono i portavoce e gli uffici stampa di aziende, istituzioni, organizzazioni, perché non dovrebbero esservi gli uffici stampa e i portavoce di gruppi e comunità che sono quotidianamente attaccati sulla stampa o presentati in modo stereotipato e pregiudiziale?
3. Le posizioni di alcuni giornalisti-commentatori – che si improvvisano esperti di immigrazione per dare la stura a frustrazioni personali o alle presunte opinioni di un pubblico inventato dei lettori – sono purtroppo legate ad una “logica economica”. Una logica che è di corto respiro: attaccare chi non ha potere finanziario, politico e sociale e coprire o tacere le malefatte di chi quel potere lo possiede e lo esercita anche attraverso il controllo dei mass media. Sarebbe interessante vedere cosa accadrebbe a quei commentatori se “l’azionista di riferimento” dei loro giornali (o delle loro Tv) diventasse un gruppo imprenditoriale islamico o “romeno”. Allora – nel Paese, l’Italia, dei voltagabbana - rischieremmo di diventare noi, “italiani Doc”, la “razza più violenta, pericolosa, prepotente, capace di uccidere per una manciata di spiccioli”.
4. Le posizioni discriminatorie di certi giornalisti traggono linfa da un quadro giornalistico – come si può vedere dai dispacci sul “bar dei romeni” – che fa del pregiudizio, dello stereotipo e dell’incapacità di rappresentare la realtà dei fatti un proprio tratto caratteristico. E’ un giornalismo pressappochista, deresponsabilizzato, disinformato: un giornalismo che si chiama sempre fuori – “noi raccontiamo solo i fatti”, “i fatti parlano da soli”, “queste sono le notizie, noi non c’entriamo” – dalle proprie responsabilità. Un giornalismo che lascia intendere che a governare la “notizia” e che non sa, o finge di non sapere, che è notizia quel fatto che i giornalisti fanno diventare notizia. La notizia non ha una sua consistenza “metafisica”, non esiste di per sé: vi è qualcuno che la cerca, la valuta, la seleziona, la confeziona e la presenta al lettore. Quel qualcuno è il giornalista, che in questa operazione mette in campo la sua professionalità, la sua cultura, la sua visione della vita e del mondo, i suoi interessi economici e sociali, la politica editoriale del mass medium per cui lavora. Per questo, pensiamo che vi possa essere un “uso politico” di certe notizie. Tema, quest’ultimo, che meriterebbe un approfondimento.

Un’etnia sempre in «cronaca nera»
Hanno il monopolio criminale di clonazioni e prostituzione
di Augusto Parboni
È considerata la razza più violenta, pericolosa, prepotente, capace di uccidere per una manciata di spiccioli. È capace di compiere truffe milionarie grazie all’alta conoscenza delle tecnologie. Non ha paura di nulla, disprezza anche la vita di donne e bambini che non raggiungono i dieci anni d’età. E si appresta addirittura a entrare nell’Unione europea. Sono i rumeni, sono i cittadini della Romania che da anni terrorizzano il nostro Paese. Persone che vendono sogni che poi si trasformano in schiavitù. Agiscono sempre in gruppi per riuscire a portare a termine le loro innumerevoli attività criminali: dalla prostituzione, alle rapine in villa, dalla clonazione di carte di credito all’immigrazione clandestina. E la loro capacità di compiere traffici illegali in Italia tanto redditizi ha fatto accendere le antenne ai «nostri» criminali, facendo nascere sul territorio nazionale veri e propri sodalizi italo-rumeni. La maggior parte dei rumeni che sono arrivati in Italia in maniera clandestina sono capaci di compiere sequestri di persona, rapine in villa, di vivere nell’ombra per gestire le prostitute connazionali fatte arrivare nelle più grandi metropoli con la promessa spesso e volentieri di fare la badante. È chiamato la «peste», e si pronuncia «pesce», il malvivente che sfrutta le ragazze dell’Est, le picchia, le violenta e le riduce in schiavitù. I rumeni sono anche degli ottimi acrobati, riescono a entrare nelle abitazioni arrampicandosi sulle pareti più difficili da scalare, con indosso spesso armi bianche: solo nei primi sette mesi di quest’anno sono stati infatti arrestati dalle forze dell’ordine 38 rumeni responsabili di rapine in villa. La mente criminale di questi banditi è però anche in grado di inventarsi sistemi tecnologici capaci di succhiare denaro dai conti correnti degli italiani. In diversi casi infatti, mediante una memoria installata nelle apparecchiature Pos di distributori di benzina e supermercati, servendosi della tecnologia Bluetooth, riescono a carpire i codici segreti di migliaia di carte di credito e bancomat che poi utilizzano per ritirare denaro in contanti, compiere acquisti oppure per realizzare false carte da distribuire in seguito ai connazionali clandestini nei diversi paesi europei. La donna rumena, quando invece riesce a non finire nelle mani dei «padroni», con la sua bellezza dell’Est riesce a incantare anziani ricchi e farsi sposare per ottenere la cittadinanza, e perché no, il conto in banca.

L’ambasciatore di Romania
«I rumeni gente per bene»
di Cristian Colteanu Ambasciatore di Romania
Nell'edizione di ieri di «Il Tempo», giornale assai apprezzato per la coerenza e il senso d'equilibrio che caratterizza le prese di posizione ivi presentate, abbiamo letto con grandissimo stupore l'articolo intitolato «Un'etnia sempre in cronaca nera», firmato da Augusto Parboni. Un articolo che, sin dal titolo, ci è apparso non solo offensivo, ma del tutto mal intenzionato, nel dipingere di nero non una persona, non un gruppo, bensì un'intera comunità, quella romena appunto, che vive e lavora in Italia. Partendo da episodi isolati, con estrapolazioni oltremodo sproporzionate, l'autore fa di tutta l'erba un fascio, giungendo a descrivere l' intera comunità dei romeni «italiani» come una banda di criminali, una gang mafiosa, colpevole di tutti i mali della Penisola. A questo proposito non esita a strumentalizzare statistiche e dati riguardanti il fenomeno delinquenziale in Italia. Quando invece, con una minima curiosità professionale, solo sfogliando le «Note sulla sicurezza in Italia», pubblicate il 14 agosto 2006 dal Ministero dell'Interno italiano, poteva osservare sia che il numero dei cittadini romeni arrestati per rapine in villa è sensibilmente minore del citato, sia che esiste una stretta cooperazione tra gli organi specializzati di polizia, romeni ed italiani, per il contrasto e la riduzione del fenomeno infrazionale, «disperso» o organizzato che fosse, in tutti e due i paesi. Certo, l'«arte» del giornalista può essere anche quella di staccare dei pezzi dal contesto, di manipolarli a volontà, generalizzando, per creare un' immagine apocalittica di, in questo caso, una schiera di barbari moderni, che non fanno altro che insidiare la vita dei pacifici cittadini. Sono però ad assicurarla, egregio direttore, che una tale immagine è non solo parziale ma del tutto ingiusta. E dico ciò in conoscenza di causa, pensando alle centinaia di migliaia di romeni che in Italia hanno trovato casa e lavoro. La comunità romena, che da un punto di vista numerico occupa ormai uno dei primi posti tra le comunità straniere in Italia, è una presenza assai utile per l'economia italiana. Tantissimi sono i romeni ben integrati, che si sono conquistati la stima e l'apprezzamento della popolazione locale nelle più varie parti dell'Italia. Tra questi numerosi professori, medici, imprenditori, oppure muratori, badanti, semplici operai, lavoratori onesti che vivono una vita tranquilla, in accordo con le comunità che li ospitano; gli studenti romeni poi sono a loro volta particolarmente apprezzati nella scuola italiana. Certo, questa «montagna» fa meno notizia, anche se le case, le strade, i ponti, una parte stessa del benessere italiano d'oggi include anche un pezzo della vita di questi nostri connazionali. Con il quadro dipinto, l'autore è riuscito soltanto a ferire un popolo di lavoratori onesti, operoso e tanto amico dell'Italia (cui, come ben sa, ci uniscono antichi legami di lingua e cultura). E allora, perché un simile accanimento? Cui prodest? Egregio direttore, lontano da me il pensiero di voler farle credere che alcune delle situazioni segnalate nell'articolo fossero del tutto inventate (anche se ci sono forti dubbi su alcune delle cifre ivi accennate). Siamo consci che, come ogni «etnia», anche i romeni hanno le loro «pecore nere». Ciò non significa però che si deve infierire su un popolo nel suo insieme. Stimo che, nel caso in oggetto, un approccio almeno più sfumato sarebbe stato più che salutare. Con la convinzione che questa mia è riuscita a chiarire, almeno in parte, il vero stato delle cose per quanto riguarda la comunità romena d'Italia, e con l'augurio che il vostro prestigioso giornale avrà modo di illustrare in seguito anche le sfacettature positive, in numero sensibilmente maggiore, della presenza romena in Italia, nonché la proficua ed amichevole collaborazione tra i nostri due Paesi, voglia gradire, egregio direttore, i sensi della mia più alta considerazione.

Verona, 13 ottobre 2006

 

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