IMMIGRAZIONE, CRIMINALITA' E "POTERI FORTI"

a cura di Maurizio Corte - Verona, 28 luglio 2006
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Il Tg1 delle 20.30 di giovedì 27 luglio presenta in successione questi servizi: un filmato sullo sbarco di centinaia di migranti a Lampedusa (richiamo alla "invasione generica" dei cosiddetti "clandestini"); un'intervista al ministro dell'Interno, Giuliano Amato, il quale sottolinea che l'arrivo degli "extracomunitari clandestini" è un problema europeo e che occorre agire sulla Libia perché blocchi le partenze dall'Africa (richiamo alla "invasione facilitata" dei cosiddetti "clandestini" e possibile collegamento fra immigrazione e centrali internazionali dell'illegalità); un servizio di cronaca da Padova su uno scontro fra persone di nazionalità nigeriana e maghrebina nella ormai nota zona di via Anelli, fucina di scontri fra "extracomunitari". L'immigrazione - presentata dal Tg1 - è così declinata nel senso dell'illegalità, della delinquenza. Ancora una volta la stampa si limita a registrare la cronaca e a inquadrarla nel formato del notiziario, producendo un frame interpretativo del fenomeno migratorio che è tutto orientato verso la criminalizzazione del "diverso", dello "straniero".
Il “Corriere della Sera” di venerdì 28 luglio dedica una pagina di sinistra agli “sbarchi” e una pagina di destra ai fatti di via Anelli, a Padova. Altri giornali, locali e non, accostano nell’impaginazione le due notizie rendendo ancor più evidente la “connessione” fra immigrazione e criminalità. Non più esplicitata nelle argomentazioni e nei titoli, perché ormai superata dai dati oggettivi sulla delinquenza, l’equazione immigrazione=criminalità viene teorizzata e proposta di fatto con una certa impaginazione e una certa trattazione della notizia.
Nessuno vuole negare che i tre fatti siano accaduti: arrivo a Lampedusa di migranti non autorizzati ad entrare in Italia secondo la legge in vigore; complicità in terra di Libia per consentire che partano i barconi della speranza; scontro fra due gruppi di cittadini stranieri a Padova e relativo problema di ordine pubblico e di criminalità.
Quello che la stampa realizza, però, è il collegamento tra questi tre fatti. Nel processo di trasformazione del "fatto" in "notizia", i mass media operano un'aggiunta di senso (si veda Wolf, "Teorie delle comunicazioni di massa", Bompiani, 2001), una "induzione semantica" (si veda Corte, "Stranieri e mass media", Cedam, 2002) che fornisce al lettore un'interpretazione, una chiave di lettura di quanto accade nella nostra società. Dei giornalisti un tempo si diceva che erano gli "storici di tutti i giorni". Qualcuno, come Paolo Murialdi (scomparso di recente), è stato uno storico vero del giornalismo. Di molti altri possiamo dire che oggi si atteggiano a "sociologi di tutti i giorni", senza averne il tempo, la competenza e il rigore scientifico nell'analizzare quanto accade nell'Italia multiculturale.
Perché questo succede? Come mai dopo un decennio di analisi dei media e del loro rapporto con l’immigrazione, la stampa non si evolve, non prende coscienza di come realmente stiano i fatti? Perché non vediamo tradotti su molti giornali (non tutti, per fortuna) stereotipi e pregiudizi, routines e limiti giornalistici che speravamo superati? Vi sono ragioni editoriali (immigrazione e società multiculturale sono da collocare nelle fasce basse della considerazione giornalistica), politiche (l'immigrazione contamina la sana e santa società italica), economiche (criminalizzo lo straniero e vendo più copie dei giornali) che giustifichino tutto questo? A queste domande rispondiamo con altre nostre domande. Poi ognuno cerchi di dare le proprie risposte, verificandole nella lettura quotidiana dei media: una lettura non scientifica, certo, come non scientifico è il mestiere dei "giornalisti-sociologi di tutti i giorni"; ma di certo una lettura critica che porta comunque moltissimi lettori all’accostamento immigrazione/illegalità/insicurezza”, anche se nell’entrare nello specifico, nel guardare alle persone molti lettori riescono a smarcarsi da quanto trasmesso dei media, dando così ragione alla teoria degli “effetti limitati” della stampa sull’opinione dei suoi fruitori.
Alle domande poste sopra, quindi, rispondiamo con altre domande. Accostamento di fatti accaduti in posti diversi e con diversi protagonisti: la stampa accosterebbe l'omicidio di un finanziare eccellente) che appartiene alla galassia delle grandi banche o di qualche istituto religioso) alle malefatte prodotte nello stesso ambiente? I media accosterebbero il servizio su un reato finanziario a quello sul manager di una grande banca che – poniamo - picchia a morte la moglie?
I media realizzerebbero nel formato del notiziario un collegamento su quanto accade nei meccanismi dei cosiddetti "poteri forti" e un fatto di criminalità comune che riguarda loro rappresentanti? La stampa si è mai è mai accorta che illegalità è anche lo sfruttare in alcuni esercizi commerciali (non tutti, per fortuna) camerieri e lavoratori stranieri pagandoli 6 euro l'ora, senza garanzie sindacali e senza il rispetto dei contratti di lavoro? E si è mai ricorso, sui giornali, all'accostamento fra questi casi di sfruttamento e la generale categoria dei commercianti e dei ristoratori? Dobbiamo criminalizzare tutto il "terziario" - che è una delle colonne portanti della nostra economia e dove lavorano per lo più persone oneste - solo perché vi sono dei commercianti, dei gestori di pizzerie, trattorie e ristoranti che operano nell'illegalità? La stampa ha mai associato i risultati delle indagini dei Nas (i nuclei antisofisticazioni dei carabinieri) sulle cucine dei ristoranti con la generale categoria dei ristoratori?
Quali sono le ragioni del diverso trattamento fra le notizie sull’immigrazione e quelle su altre categorie della società civile? Abbiamo già scritto della “presunzione” dei giornalisti di saper leggere, nella fretta e in pochissime ore, i tratti fondamentali di una società; così come dell’impreparazione di molti giornalisti a capire un’Italia che è cambiata; dell’incapacità o della non volontà ad analizzare in modo critico le routines redazioni che porta in modo meccanico a catalogare e confezionare fatti e situazioni. Il sospetto – su cui occorrerà indagare – è che vi sia una discriminazione di tipo “politico” ed “economico” verso le fasce più deboli della società. Mentre le fasce degli “intoccabili” non subiscono quasi mai accostamenti e generalizzazioni, anche là dove un accostamento avrebbe un suo fondamento. E’, questa, solo un’ipotesi e come tutte le ipotesi merita di essere verificata e analizzata.

Verona, 28 luglio 2006


 
Verona, 28 luglio 2006

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