L'IMMIGRAZIONE NEI MEDIA ITALIANI? PRESENTATA CON UN OCCHIO SOLO (E MIOPE)

a cura di Maurizio Corte - Verona, 15 giugno 2006
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Colpisce leggere questa notizia, data dall'agenzia Ansa mercoledì 13 giugno, alle ore 14.52.
"IMMIGRAZIONE: GESUITI, MEDIA SIANO PIÙ ACCORTI SU ARGOMENTO / RISCHIO DI CREARE STEREOTIPI E PREGIUDIZI IN OPINIONE PUBBLICA". I media giocano un ruolo fondamentale nella percezione che l’opinione pubblica ha dell’immigrazione, per questo occorre avviare una riflessione sul modo di fare
informazione e sui rischi determinati da stereotipi e luoghi comuni. Questo l’argomento scelto dal Centro Astalli, servizio
dei Gesuiti per i rifugiati in Italia, per il convegno organizzato a Roma in occasione della giornata mondiale dei
rifugiati. Il termine ’clandestino', spiegano gli operatori del Centro Astalli, è una facile etichetta usata spesso impropriamente dai media e che crea una barriera di pregiudizio che rende impossibile un incontro onesto, critico, costruttivo con la realtà degli immigrati. Dal convegno, quindi, un invito a guardare l’altro negli occhi, ascoltare la sua storia e a provare a considerare le motivazioni dei tanti che nella nostra società subiscono continue violazioni dei loro diritti fondamentali".
La notizia colpisce perché alle stesse conclusioni sono arrivati più studiosi negli ultimi quindici anni. Basta infatti leggere i nostri due testi: M.Corte "Stranieri e mass media", Cedam 2002 e M.Corte "Comunicazione e giornalismo interculturale", Cedam 2006. Trattandosi di una "non-novità", di fatto è una "non-notizia". Giornali e giornalisti fanno ancora molta fatica a "guardare l'altro negli occhi". Perché? ci si chiede continuamente nell'analizzare il comportamento dei mass media quando trattano dell'immigrazione o quando danno il resoconto di fatti che vedono protagonisti cittadini di origine straniera.
Credo che una risposta possa venire dagli ultimi studi italiani sul giornalismo. La ricerca del profitto, nelle aziende editoriali, a discapito della qualità dell'informazione; la mancanza, in molti casi, di una preparazione professionale adeguata dei giornalisti che leggono e raccontano la società; le routines redazionali dei mass media che sono fatte per un giornalismo ansioso e ansiogeno, portato più ad aggiornare le notizie che a comprenderle e ad approfondirle; lo stile gridato e drammatizzante che va solo a riempire gli spazi lasciati vuoti dalla pubblicità. Tutto questo porta all'indifferenza verso le espressioni più complesse, più difficili da capire della società. Il giornalismo è selezione, è decostruzione dei fatti e loro ricontestualizzazione nel formato del notiziario (si vedano Wolf, Teorie delle comunicazioni di massa, e altri studi italiani e americani). Ma se tutto questo avviene in un'ottica economicistica, pubblicitaria, dove la professionalità del giornalista e la sua sensibilità personale contano meno - specie a livelli direttivi - delle capacità "manageriali", allora si capisce perché la stampa abbia poco o nessun interesse a fornire chiavi interpretative ai lettori.

Verona, 14 giugno 2006

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