Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati

SECONDO RAPPORTO SULL'INTEGRAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA

 

TERZA PARTE

APPROFONDIMENTI

 

CAPITOLO 3.4

 

LE PAURE DEGLI «ALTRI» SICUREZZA E INSICUREZZA URBANA NELL’ESPERIENZA MIGRATORIA

 

1. La in\sicurezza di donne e uomini migranti. Un rovesciamento di prospettiva

L’indagine qui presentata (1) si propone di individuare insicurezze, ostacoli e problemi che quanti arrivano nel nostro paese sperimentano nel percorso di accoglienza e integrazione, in relazione alla vita quotidiana nelle città. Problemi che necessitano, per superare il permanere di una condizione di tipo emergenziale, di un complesso di risposte sul piano politico istituzionale, ma anche socioculturale.

La questione della in\sicurezza, situata nell’ottica sperimentata dalla popolazione migrante, permette un rovesciamento rispetto ad una visione costruita dai media, in cui gli stranieri vengono considerati causa della nostra insicurezza. Lo stesso dibattito sociopolitico è stato caratterizzato da una crescente tendenza a guardare il fenomeno migratorio prevalentemente come fonte di turbamento dell’ordine pubblico; anche tra una parte consistente della popolazione italiana si è rafforzata l’idea che gli immigrati siano fonte di pericoli e minacce per la propria integrità.

Una serie di studi condotti nell’ultimo anno, per citare i più recenti, e ripresi anche dal Dossier della Caritas (2) presentato in ottobre 2000, tracciano un quadro fondamentalmente omogeneo di quest’allarme. A partire dalla ricerca del Censis (3) si dimostra che oltre un quinto della popolazione italiana (con punte che quasi raddoppiano in aree come il Nord Est) considera gli stranieri una minaccia alla propria incolumità e circa tre quarti arriva a pensare che ci sia una diretta correlazione fra immigrazione e crescita della criminalità.

Un’opinione già messa in luce dal sondaggio Ispo-Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati (4) che dimostra come il 73,5% del campione si dica molto o abbastanza d’accordo sul fatto che «la presenza degli immigrati aumenti la delinquenza».

Non meno allarmanti i dati forniti dalla Fondazione Nord Est (5) che, nel confronto europeo, mostrano un’Italia contraddittoria: da un lato disponibile a concedere diritti sociali, ma dall’altro impaurita e pronta a ritenere la questione dell’immigrazione un fatto di ordine pubblico (è questa l’opinione di un italiano su due).

D’altro canto, come è stato notato in studi specifici, gli immigrati che commettono reati sono più facilmente visibili e quindi producono maggiore allarme sociale. Il processo di «etichettamento», dovuto anche al fatto che i reati più comuni sono quelli «di strada», alimenta il pregiudizio della pericolosità dell’immigrato e al contempo lo rafforza agendo come un processo di causazione circolare. (6)

Infatti, nel costante collegamento tra allarme criminalità e richiesta di sicurezza da parte della popolazione autoctona che è andata via via crescendo - né si tratta solo di un fenomeno italiano - è divenuto sempre più evidente il processo di «etnicizzazione» che si riferisce a determinate categorie devianti e a specifiche attività delittuose. Questo toglie spazio anche alle istituzioni deputate al controllo del territorio, nel caso specifico alla polizia, per interventi di prevenzione che governino i problemi sociali del quotidiano urbano (7)

Si può dire dunque che proprio lo sguardo e la percezione dei migranti sulla loro in\sicurezza consente, attraverso l’esasperazione di problemi e difficoltà, di mettere in luce elementi di incertezza e paura che in questa fase storica toccano l’insieme della popolazione, nelle relazioni che si stabiliscono tra migranti e nativi. Infatti l’immigrazione diviene il catalizzatore di insicurezze per gli italiani in maniera non diversa da quanto già rilevato in paesi di più antica immigrazione. (8) Una parola catchword nella quale convergono, a seconda dei contesti, tutte le possibili paure dei pericoli che attraversano questa società: dalla delinquenza alla disoccupazione a una «invasione» che fa perdere identità e spazi propri.

Non a caso le situazioni di maggiore tensione si creano in quartieri e da parte di nativi appartenenti a ceti sociali da non molto usciti da condizioni di difficoltà materiali e, a volte, dopo un processo di difficile integrazione culturale con il territorio in cui abitano. E il sentirsi minacciati nelle «nuove» e recenti sicurezze da chi vive ancora una condizione da poco superata che fa emergere zone oscure e temere una regressione al passato. Si crea così un gioco di specchi che proietta inevitabilmente insicurezza addosso agli stranieri, i quali a loro volta si trovano a subire una situazione che rende difficile la creazione di forme di convivenza e di scambio con gli italiani, quando non produce esplicite tensioni. E' così che l’insicurezza plasma l’immagine che gli altri ti rimandano di te: un’immagine nella quale non ti riconosci e che genera confusione, rabbia, senso di impotenza.

Al tempo stesso possono produrre sentimenti di insicurezza i comportamenti agiti da una parte degli immigrati. I nuovi arrivati in alcuni casi forse generano diffidenza e paura in coloro che da più tempo vivono in Italia e godono ora di una discreta condizione di integrazione, che temono venga messa in discussione dai nuovi flussi migratori.

 

2. Contenuti e metodologia

a) Poiché, come è stato rilevato in questi anni in diversi studi, (9) la «sicurezza» è una categoria dalle molteplici sfaccettature che agisce in diverse sfere dell’esperienza e quindi in grado di cogliere la complessità della condizione migrante, l’analisi è stata condotta nei seguenti ambiti:

- in primo luogo le conseguenze delle insicurezze materiali - in un certo senso basilari - procurate dalle difficoltà e dalle discriminazioni connesse al lavoro, alla casa, alla lingua, quando non anche al permesso di soggiorno;

- in secondo luogo le insicurezze che possono determinarsi nel contatto quotidiano nella vita urbana (diffidenze, minacce, controlli, aggressioni, ecc.);

- in terzo luogo i disagi che possono derivare nell’uso dei servizi e nel rapporto con le istituzioni, dovuti alla incomprensione delle regole che li governano;

- in quarto luogo la percezione di pericolo e insicurezza che si gioca più nella sfera privata: lontananza dalla comunità originaria, rischio della perdita di sé determinata dalle trasformazioni che inevitabilmente segnano l’identità del\della migrante.

Questi nodi tematici vengono letti attraverso le differenti (talvolta anche simili) esperienze e percezioni maschili e femminili. Infatti, si parte dall’ipotesi che le differenze più rilevanti abbiano a che fare con la corporeità e la sessualità di donne e uomini e con la costruzione culturale e sociale - diversa appunto nei vari contesti di appartenenza - dei ruoli assegnati ai due sessi nell’uso degli spazi pubblici in relazione a quelli privati. (10)

In seconda istanza - ma non in ordine di importanza - gli stessi nodi tematici vengono letti in relazione a contesti geografici e urbani differenti per dimensioni, tipo di sviluppo produttivo, servizi offerti: al nord Torino e Reggio Emilia, al centro Prato e Roma, al sud Palermo.

In terzo luogo, la lettura dei fenomeni di in\sicurezza deve confrontarsi con le molteplici culture di appartenenza, che determinano sensibilità, valori e significati non coincidenti, e che a loro volta possono interagire differentemente con la popolazione autoctona.

b) La definizione del campione ha preso avvio dalla scelta dell’ambito territoriale, con l’obiettivo di dare rilevanza a diversi, specifici, contesti urbani, al fine di non appiattire i temi trattati.

Presa in considerazione la ripartizione geografica nazionale in nord, centro e sud, all’interno di tali zone sono stati selezionati ambiti urbani significativi in relazione al fenomeno immigratorio, a partire dal suo esordio fino agli andamenti peculiari più recenti, prendendo a riferimento alcune specifiche questioni (qui di seguito solo accennate). In particolare, Torino è un contesto urbano che, all’interno di un processo di riorganizzazione industriale, presenta una concentrazione di cittadini immigrati del 4,5%. Reggio Emilia, con una analoga concentrazione di 4,5%, ha assunto interesse per il tessuto economico in grado di offrire consistenti opportunità di occupazione. La città di Prato, oltre a rientrare nelle zone industriali caratterizzate da distretti locali, è la città italiana che presenta il più alto numero di appartenenti alla comunità cinese. Infine Palermo e Roma, dove prevale l’occupazione nel settore dei servizi. La prima, con una concentrazione di immigrati del 2,2% più vicina alla media nazionale, è prevalentemente territorio di arrivo e transito. La seconda, città emblematica dell’immigrazione in Italia, ha il numero più alto di presenze straniere che rappresentano il 5,4% della popolazione.

Considerando la numerosità totale degli stranieri nelle cinque città, che ammonta a 118.453 unità, si è proceduto al calcolo di un campione statisticamente rappresen­tativo che è risultato di 598 unità. (11) A questo punto, il campione statisticamente rappresentativo per il nostro universo di riferimento è stato di 600 cittadini immigrati da mettere a confronto sui temi della sicurezza urbana. Si è proceduto, così, a costruire un campione bilanciato, per quote omogenee per città, indipendentemente dalla variabile numerosità, sia per quanto concerne la popolazione autoctona che quella immigrata. Pertanto le interviste da somministrare sono state fissate in 120 (60 maschi e 60 femmine) per ogni città, in modo da consentire la comparabilità fra i diversi contesti urbani.

Si è trattato, in ultima analisi, di un campione stratificato semplice con estrazione casuale. La proporzione campionaria per strato ha riflettuto la proporzione della popolazione immigrata per paese di provenienza sul totale dei residenti di ciascuna delle città considerate. Successivamente, mediante le liste anagrafiche comunali, si è avviata l’estrazione casuale della popolazione immigrata residente maschile e femminile, avente un’età compresa tra i 18 e i 45 anni. La rilevazione è stata condotta nei mesi di giugno e luglio 2000. (12)

Da un confronto è possibile affermare che il campione ha dimostrato di avere una buona tenuta, in quanto le porzioni calcolate (teoriche) e poi raggiunte per le singole comunità si avvicinano in modo piuttosto significativo nei singoli contesti urbani. Inoltre in un confronto di livello nazionale con le comunità degli stranieri presenti in Italia (cfr. Dossier statistico 2000, a cura della Caritas), lo scostamento risulta di pochi punti.

 

3. Descrizione del campione

Sono stati intervistati 604 soggetti (305 maschi e 299 femmine) in cinque città: Torino, Reggio Emilia, Prato, Roma, Palermo (60 maschi a Roma e Torino, 62 a Prato, 57 a Reggio Emilia, 66 a Palermo; 60 femmine a Roma, Prato, Torino, 64 a Reggio Emilia, 55 a Palermo).

L’area di provenienza più numerosa, sia per i maschi che le femmine, è l’Africa centrale e orientale, cui seguono l’Africa Nord e la Cina.

A Prato oltre la metà del campione è cinese, a Torino, Palermo e Reggio Emilia la presenza più numerosa è di uomini e donne provenienti dall’Africa (nord, centro e orientale), a Roma il numero più alto di provenienti dall’Est Europa e dalle Filippine; coloro che provengono dal subcontinente indiano si trovano soprattutto a Palermo. Riportiamo di seguito i dati parzialmente disaggregati a partire dai criteri di formazione dei campioni urbani. (13)

 

Area di provenienza/nazionalità

 

 

Maschi

Femmine

Totale M/F

 

 

%

 

%

 

%

Europa non comunitaria/Est

50

16,4

39

13 0

 89

 14,7

Asia (altri paesi)

5

 1,6

15

 5,0

  20

 3,3

Cina

49

16,1

58

19,4

107

17,7

Filippine

10

3,3

20

 6,7

30

5,0

Subcontinente indiano (India, Bangladesh, Pakistan Sri Lanka

42

13,8

22

7,4

64

10,6

Africa nord (Tunisia, Marocco, Egitto, Algeria

63

20,7

48

16,1

111

18,4

Africa centrale, orientale

64

21,0

64

21,4

128

21,2

America latina

22

7,2

 33

11,0

55

9,1

Totale

305

100,0

299

100,0

604

100,0

 

 

Roma

Prato

Reggio E.

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Euro a Est

18,3

20,0

22,6

11,7

10,5

15,6

28,3

11,7

3,0

5,5

16,4

13,0

Asia

1,7

1,7

 

 

7,0

17,2

 

 1,7

 

3,6

1,6

5,0

Cina

11,7

13,3

51,6

68,3

10,5

12,5

 

5,0

1,5

1,8

16,1

19,4

Filippine

10,0

18,3

 

5,0

 

 

1,7

3,3

4,5

7,3

3,3

6,7

Sub. indiano

23,3

6,7

4,8

5,0

5,3

1,6

 

 

33,3

25,5

13,8

7,4

Africa nord

18,3

16,7

9,7

3,3

24,6

17,2

28,3

20,0

22,7

23,6

20,7

16,1

Africa centrale

8,3

15,0

11,3

6,7

26,3

21,9

26,7

31,7

31,8

32,7

21,0

21,4

America latina

8,3

8,3

 

 

15,8

14,1

10,0

31,7

 

3,0

7,2

11,0

Totale

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

 

L’età di circa la metà dei maschi e delle femmine è compresa fra i trenta e i quaranta anni; i giovani al di sotto dei trenta sono il 35% e una percentuale di quattro punti superiore per le donne. Come si vede più avanti, c’è una correlazione diretta fra età degli intervistati e durata del loro soggiorno in Italia: i più giovani sono arrivati in Italia soprattutto negli ultimi cinque anni, i quarantenni e oltre, per oltre la metà, hanno una permanenza più che decennale. I maschi più giovani provengono dall’Asia, le femmine dall’Europa dell’Est; dall’America Latina i più vecchi di entrambi i sessi.

Sia nei maschi che nelle femmine prevale una scolarità medio-alta: quasi la metà (45% M e 41,1% F) ha frequentato dagli 11 ai 15 anni, corrispondenti a una scuola superiore. In condizione di alfabetizzazione scarsa, con meno di cinque anni, sono più numerose le donne (10,4% contro 5,2% dei M); infine quasi un quinto degli intervistati di entrambi i sessi ha fatto studi universitari. Si tratta dunque di un campione piuttosto scolarizzato.

Dall’Asia e dall’Africa provengono donne e uomini con minore scolarizzazione che vivono soprattutto a Prato, laureati/e provengono da Europa non comunitaria e, per le donne, anche da America Latina. A Roma e poi a Torino si trova la maggiore concentrazione di istruiti/e.

Quasi la metà degli intervistati non ha frequentato alcuna scuola o corso di studio in Italia, più numerosi gli uomini (47,9% M e 45,3% F).

Fra gli altri che invece hanno frequentato corsi di studio, in un quarto hanno utilizzato quelli di lingua italiana (26,4% M e 27,7% F dei due campioni) soprattutto uomini e donne africani e cinesi; sono maschi e femmine provenienti dall’Africa centrale e dall’Europa ad avere frequentato più degli altri corsi di formazione professionale (13% M e 11,3% F sul totale) e l’università. I comportamenti di studio delle donne e degli uomini non paiono essere molto difformi in relazione all’area geografica di provenienza. La quota più che consistente di quanti non hanno seguito alcun corso nel nostro paese rende esplicita la necessità di attivare nel campo della formazione, sia linguistica che professionale, consistenti opportunità formative per migliorare le capacità di autonomia e di inserimento sociale.

 

4. L‘occupazione di oggi e di ieri

Il numero di coloro che attualmente sono in cerca di lavoro è di poco superiore al 10% per entrambi i sessi (11,5% M e 13,7% F), ma poi la struttura dell’occupazione si differenzia notevolmente. La metà dei maschi svolge un lavoro operaio o simile, a bassa qualificazione (48,5%) mentre fa lavori domestici e di assistenza una quota del 8,5%; svolgono attività autonome come artigiani (8,5%), commercianti (5,6%) e anche come venditore ambulante (3,6%); piuttosto ridotte le professioni intellettuali come impiegati/insegnanti (4,6%), meno ancora i liberi professionisti e gli studenti.

Sono soprattutto africani (metà di loro) ed europei gli operai; asiatici chi si dedica al commercio e alle attività domestiche. Il numero maggiore di operai è concentrato a Reggio Emilia (68,4% dei maschi della città), e a Torino (54,8%); a Roma e a Palermo il numero più alto di collaboratori domestici; chi si dedica ad attività artigianali, imprenditoriali e commerciali si trova a Roma, Prato e Reggio Emilia.

Fra le donne, invece, solo il 17% svolge un lavoro operaio o simile (comunque a Prato e a Reggio Emilia, dove le operaie sono il 38,3% e il 28,1% delle intervistate); prevalgono in generale i lavori di collaboratrice domestica e di assistenza agli anziani (per un totale del 28,1%, donne di diversa provenienza), che si trovano in particolare a Roma e a Palermo; attività commerciali poche, soprattutto a Prato e a Torino come ambulanti; un certo numero fa l’impiegata/insegnante (6,0%), una percentuale inferiore studia; qualcuna fa la ballerina.

Soprattutto le africane, un quarto di coloro che abitano a Torino cercano lavoro; stanno in casa nel 13,0%: circa la metà perché non trova lavoro o lavoro adeguato, le altre perché preferiscono curare bambini e casa.

 

Occupazione attuale

 

 

Roma

Prato

Reggio E.

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Cerca lavoro

11,7

11,7

16,1

10,0

7,0

7,8

11,7

26,7

9,1

12,7

 11,1

13,7

Sta in casa

 

16,7

 

5,0

 

21,9

 

6,7

3,0

14,5

0,7

13,0

Collab. Familiare

10,0

26,7

 

8,3

1,8

6,3

 

18,3

22,7

36,4

7,2

18,7

Assistenza

3,3

18,3

 

6,7

1,8

10,9

 

8,3

1,5

1,8

1,3

9,4

Lavoro agricolo

 

5,0

 

1,6

 

1,6

 

 

 

1,8

1,3

0,7

Operaio/a e simili

15,0

1,7

54,8

38,3

68,4

28,1

66,7

6,7

39,4

9,1

48,5

17,1

Artigiano/a

13,3

8,3

8,1

1,7

15,8

10,9

 

5,0

1,5

1,8

8,5

4,7

Ambulante

10,0

1,7

1,6

6,7

 

14.1

1,7

31,7

 

4,5

3,6

1,7

Commerciante

8,3

1,7

4,8

11,7

 

 1,8

 

3,3

9,1

5,5

5,6

3,7

Ins./impieg.

8,3

6,7

12,9

11,7

 

1,6

 

1,7

1,5

9,1

4,6

6,0

Lib. Profess.

3,3

3,3

 

 

 

 1.8

5,0

5,0

1,5

3,6

2,3

2,3

Artista

 

1,7

 

 

 

3.1

1,7

1,7

 

 

0,7

1,0

Ballerino/a

 

1,7

 

 

 

7,8

 

3,3

1,5

1,8

0.3

3,0

Studente/sa

10,0

 

 

 

 

 

5,0

21,7

 

 

300

4,3

Totale

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

 

Dal confronto con il lavoro fatto in patria risulta evidente che se per gli uomini emigrare ha ridotto la disoccupazione, questo ha significato soprattutto lavoro di tipo operaio (poi lavoro domestico e commerciale-ambulante), mentre per coloro che prima facevano lavori impiegatizi e di insegnamento c’è stata una notevole riduzione di opportunità.

Le donne del campione, invece, sono più disoccupate ora (anche se di poco) e per loro i lavori artigianali e le professioni impiegatizie o di insegnamento che facevano alloro paese si sono ridotte a vantaggio dei lavori domestici e assistenziali. Anche per loro, più ancora che per gli uomini, la migrazione ha significato non valorizzazione delle competenze acquisite e comunque difficoltà a trovare lavoro, visto che per una parte delle casalinghe si tratta, per loro affermazione, di disoccupazione mascherata.

Le modalità di lavoro prevalenti mostrano una situazione lavorativa abbastanza regolare e stabile, anche in relazione col fatto che una buona fetta soggioma in città da parecchi anni: per il 31% dei maschi e il 25% delle donne il lavoro è a tempo indeterminato e per una quota di poco superiore si tratta comunque di lavoro regolare. Lavorano a tempo determinato 14 maschi e dieci femmine su cento; il lavoro in nero coinvolge l’8% degli uni e poco più delle altre, soprattutto indiani e cinesi sia maschi che femmine. Le donne in numero maggiore fanno attività a tempo parziale, come collaboratrice coordinata e come coadiuvante familiare (tra il 5 e l’8%); in misura uguale sono soci lavoratori di cooperativa (probabilmente per servizi assistenziali, di pulizia).

La condizione occupazionale conferma in sostanza le differenze fra tipologie e settori di lavoro resi disponibili e accessibili a donne e uomini immigrati, la relativa stabilità e regolarità del campione intervistato e la maggiore diversificazione dei rapporti di lavoro per le donne.

 

 

5. Stato civile, forme familiari, religione

La condizione più diffusa è quella del matrimonio/convivenza: i maschi lo sono per il 55%, le donne per il 69%; più numerosi, naturalmente, i maschi celibi (in particolare a Roma e Torino) delle donne nubili.

La presenza dei figli differenzia ancora uomini e donne: sono più numerose le donne che hanno figli conviventi (44,5% F contro il 30% M) e meno numerose ad averli al proprio paese (in questo caso circa un quinto degli uomini, poco più del 10% delle donne, soprattutto dall’Asia, a Prato più che altrove). Anche in accordo con la condizione di celibato, più uomini che donne non hanno alcun figlio (40% M e 34% F).

Il numero dei figli è comunque limitato per entrambi i sessi a uno e a due, pochissimi chi ne ha tre.

La tipologia familiare /di convivenza più diffusa è quella nucleare: marito, moglie e figli, (benché per le differenze già individuate sia minore per i maschi (42%) che per le donne, 56%). Altrettanto marcata la differenza a proposito della convivenza con amièi: ben più diffusa fra i maschi (23,3%, africani ed europei) che fra le donne (5%). Lo stesso avviene per chi vive da solo/a: più gli uomini che le donne. Ma se ci sono nuclei mono-parentali, allora sono soprattutto le donne, in particolare africane e latinoamericane, che vivono sole con i loro figli.

Una quota convive con altri familiari (10% uomini e 15% per le donne); non mancano casi nei quali l’abitazione è quella del datore di lavoro, e anche qui le donne superano gli uomini sia pure non di molto (5,9% M e 6,7% F), soprattutto asiatici, a Prato e a Roma.

In sostanza negli uomini sono diffuse le condizioni tipiche della migrazione maschile: essere da soli e con amici; fra le donne sono presenti i nuclei madre-figli, la convivenza con altri parenti, la sistemazione presso il datore di lavoro.

Più di un terzo degli uomini pratica la religione musulmana, poi religioni cristiane (americani ed europei nel 29,5%), in numero minore sono buddisti e induisti (8,5%); il 22,6% dichiara di non aderire ad alcun credo religioso. Le posizioni sono diverse in campo femminile: il numero maggiore professa una religione cristiana (3 8,5%, latinoamericane ed europee), il 25% sono musulmane, mentre il 20,7% non ne professa alcuna.

 

6. Ragioni della migrazione, permesso di soggiorno, durata della permanenza

La ragione più importante che sta alla base della decisione di migrare dal proprio paese mostra consistenti differenze fra uomini e donne. Sono soprattutto le ragioni economiche legate alla ricerca di lavoro (31%), il desiderio di un progetto di vita migliore (29%) e le condizioni politiche del paese quelle che caratterizzano i maschi.

Per un terzo delle donne, la spinta viene innanzitutto, dal ricongiungimento con familiari (più le africane), sapendo che all’interno di questa categoria, come hanno analizzato diversi studi, sussistono fenomeni diversi; ma se si sommano le altre motivazioni che segnalano scelte più individuali, allora due terzi delle donne è emigrata per ragioni centrate maggiormente su di sé: cercare lavoro (16,1%) e studiare (africane soprattutto), migliorare le condizioni di vita (22,5%), fuggire da situazioni politiche e sociali negative (soprattutto dall’Est Europa).

 

Le ragioni del migrare

                                              

 

Maschi

Femmine

Totale M/F

Condizioni politiche (guerre, ecc.)

13,8

10,4

12,1

Cercare lavoro

31,1

16,1

23,8

Studiare

8,6

9,4

9,0

Raggiungere i familiari

6,2

32,6

19,3

Fare nuove esperienze

9,5

6,0

7,8

Migliorare le condizioni di vita

29,3

22,5

25,9

n.r.

1,3

3,0

2,2

Totale

100,0

100,0

100,0

 

La maggior parte è perciò in possesso di un permesso di soggiorno per lavoro, in sintonia con la ricerca di maggiori opportunità di vita: ciò vale per il 70% degli uomini e per poco più della metà delle donne (5,2%) per le quali, naturalmente, è elevata la quota dei permessi per ricongiungimento familiare (30,8%).

Le donne intervistate hanno subito in complesso meno condizioni di clandestinità o irregolarità: nel percorso migratorio ciò ha riguardato quasi due terzi dei maschi (64,3%) rispetto a poco più di un terzo delle donne (35,9%), africani e africane più di tutti. Questo a conferma di come le modalità di ingresso siano accidentate e possano intrecciare diversamente per i due sessi, in genere più per gli uomini, condizioni di irregolarità e di clandestinità, prima di raggiungere la regolarizzazione.

Una quota che si aggira intorno a circa un quarto (un po’ più per gli uomini e un po’ meno per le donne) ha una permanenza in Italia abbastanza lunga, che data dal decennio ‘80-’90; la metà di costoro ha naturalmente superato i 40 anni.

Il resto del campione è immigrato dal ‘90; negli ultimi cinque anni sono arrivati in Italia la quasi totalità degli europei e là quasi totalità delle donne europee e asiatiche.

Anche per i flussi migratori più recenti si mantiene la correlazione con l’età già osservata: donne e uomini giovani sotto i 30 anni hanno una permanenza più breve (infatti oltre la metà di questa classe è in Italia dal 1996).

La maggior parte dei maschi e ancor più le donne vivono nella stessa città dal momento dell’arrivo in Italia; evidentemente solo una ristretta quota di stranieri, soprattutto di uomini, ha fatto tappe in altri luoghi.

 

Arrivo in Italia per classi di età

 

 

18 - 29 anni

30 - 40 anni

41 anni e oltre

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

Fino al 1989

9,3

11,1

29,4

22,1

51,7

49,0

27,2

22,2

1990 - 1995

32,7

31,6

43,4

46,6

25,0

34,7

36,4

38,7

1996 - 2000

57,9

57,3

27,3

31,3

17,3

16,3

36,4

39,1

Totale

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

7. Situazione abitativa

Poiché una delle difficoltà maggiori che gli stranieri incontrano riguarda l’abitazione, e questo costituisce un elemento di insicurezza nel percorso di inserimento sociale e di insoddisfazione, oltre che richiedere grandi capacità di adattamento, è stato chiesto agli intervistati una valutazione globale della loro situazione: la percezione che essi hanno di un miglioramento o di un peggioramento a confronto con le condizioni abitative che si avevano in patria. Infatti:

- la metà degli intervistati di entrambi i sessi, africani assai più degli altri, valuta che quelle attuali siano peggiori; questo il dato più significativo;

- circa un quinto, invece, rileva un miglioramento (lo pensano soprattutto europei), cosa dalla quale si può inferire che vi sia stato un miglioramento complessivo della loro vita;

- per il restante 30% circa, l’abitazione più o meno non differisce da quella che si aveva in patria;

Se poi si considera il quartiere, anche per la relazione che le sue condizioni possono avere con la percezione di sicurezza da parte di chi ci vive, la valutazione è invece positiva per la maggioranza che lo ritiene fondamentalmente tranquillo e adatto alle proprie esigenze (oltre il 65%, con uno scarto di qualche punto a favore delle donne che sembra si trovino a vivere in condizioni generalmente più tranquille).

Tra gli uomini, più che fra le donne, circa un quinto lamenta condizioni difficili: che il quartiere sia abitato solo da stranieri e da italiani poveri e appaia quindi luogo di emarginazione, e che sia più pericoloso di altre parti della città. Anche in questi casi sono soprattutto africani e africane a vivere questa condizione, a Palermo in modo particolare. Tendono a sdrammatizzare coloro che vi vedono gli stessi pericoli che altrove.

In sostanza, la casa si conferma il punto più critico per gli stranieri: metà di loro manifesta disagio più per l’abitazione, segnalandone la inadeguatezza, che non per il quartiere nel suo complesso.

 

Giudizio sul quartiere

 

 

Roma

Prato

Reggio E.

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Tranquillo, ci vivo bene

55,0

63,3

50,0

58,3

68,4

64,1

63,3

73,3

47,0

52,7

56,4

62,5

Adeguato alle mie esigenze

10,0

16,7

1,6

6,7

17,5

10,9

11,7

10,0

1,5

7,3

8,2

10,4

Di stranieri e italiani poveri

11,7

3,3

4,8

3,3

3,5

14,1

10,0

1,7

19,7

5,5

10,2

5,7

Più pericoli che altrove in città

6,7

8,3

8,1

1,7

5,3

6,3

3,3

10,0

19,7

12,7

8,9

7,7

Stessi pericoli che altrove

16,7

5,0

32,3

30,0

3,5

4,7

10,0

5,0

10,6

18,2

14,8

12,4

Totale

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

 

8. Preoccupazioni iniziali ed esigenze attuali

Il presente tra un passato anche recente e le prospettive future: un segmento nel continuum del percorso migratorio. Due domande hanno cercato di sondare quali erano le preoccupazioni della prima ora e quali siano - lo sguardo rivolto a più sicure prospettive di vita - le esigenze attuali. Un raffronto fra momenti significativi della vita di migrante, che dà idea di come si modificano bisogni e desideri nel percorso di inserimento. Raffronto che è stato posto sia nella fase iniziale del questionario - con voci più in dettaglio - che in quella finale a tracciare un bilancio sintetico.

Ora si considera il raffronto più dettagliato.

Le preoccupazioni all ‘arrivo in Italia non erano del tutto coincidenti per uomini e donne sulle questioni «di emergenza» e sui problemi da affrontare. Trovare un lavoro è stata la preoccupazione più forte per la metà dei maschi (51,5%, africani in particolare); circa un terzo (30% per ogni voce) era poi preoccupato di trovare un luogo per dormire (ancora soprattutto africani), di regolarizzare la propria posizione, di imparare la lingua di non essere fermato dalla polizia (cinesi negli ultimi due casi). Inserirsi nella società italiana era un pensiero più forte (15%) che quello di ammalarsi e di trovare solidarietà presso connazionali.

Le donne, invece, sentivano più urgente fra tutte la necessità di imparare la lingua (oltre la metà delle donne, prime fra tutte le cinesi) per comunicare con la realtà del nuovo paese, per essere, probabilmente, meno dipendenti da altri; un’esigenza di relazioni che si ritrova anche nella aspirazione diffusa a inserirsi nella società italiana (quasi il 30%, il doppio degli uomini con la stessa aspirazione). Naturalmente il lavoro era, per quaranta donne su cento, una questione cruciale (per le europee in particolare) e per un quinto di loro anche regolarizzare la propria posizione giuridica. Che un terzo rispetto agli uomini (10,5% F e 30,2% M) fosse preoccupata di dove dormire e che più del doppio degli uomini fosse in ansia per la propria salute rafforza l’immagine di condizioni iniziali forse meno dure che per gli uomini e al tempo stesso di un diverso orientamento dei loro bisogni immediati, a conferma di differenti motivazioni e dinamiche di ingresso.

Le necessità basilari del vivere - un lavoro, un tetto per dormire, essere capaci di capire e farsi capire - sono state, in definitiva, le preoccupazioni della prima ora, insieme alla regolarizzazione giuridica. Bisogni primari, allora.

E ora, quali sono i desideri attuali per migliorare le condizioni di vita in una prospettiva meno vincolata - forse - dalla contingenza, che dovrebbe avere trovato un certo assestamento ? Per comodità di analisi le risposte si possono raggruppare in due sfere di questioni: il lavoro, l’inserimento e la cittadinanza sociale.

La metà degli uomini mette in primo piano il lavoro, chiave di accesso ad altri beni: la richiesta non è solo quella di un lavoro regolare e stabile che fa uscire dalla precarietà e dà sicurezza (29,5%), ma avere maggiori possibilità di scelta in campo lavorativo (19%) rispetto ad ambiti di impiego che oggi sono pochi e non richiedono qualificazione professionale. Molti vorrebbero infatti il riconoscimento del titolo di studio conseguito in patria (11%, in particolare europei e latinoamericani).

Le donne esprimono gli stessi desideri, anche se con qualche punto inferiore: le africane desiderano soprattutto la regolarità lavorativa, le asiatiche avere maggiore opportunità di lavoro, le europee il riconoscimento del titolo di studio.

Un’altra quota di stranieri punta le sue aspettative su una serie di questioni indicative della volontà di integrarsi pienamente nella società italiana; si guarda soprattutto all’inserimento dei figli, alla partecipazione alle elezioni locali, a migliorare le condizioni abitative (soprattutto uomini e donne dall’Africa e dall’Asia). In queste esigenze sociali le donne esprimono maggiori aspettative che gli uomini. Anche fra le immigrate emerge dunque la maggiore assonanza con strumenti che agiscono nella sfera relazionale, secondo orientamenti di genere che propongono una lettura più attenta alle articolazioni della realtà, fra dimensione pubblica e privata.

Gli uomini invece insistono maggiormente sul «rispetto» dovuto a chi si comporta onestamente da «cittadino produttivo»: lavorare e pagare le tasse come doveri pubblici e base della cittadinanza (15,4%), come segno di mancanza di discriminazioni (in particolare si distinguono gli europei).

In seconda istanza (cioè rispondendo una seconda volta al quesito), sono le esigenze di integrazione sociale e politica ad acquistare maggiore peso per gli uni e per le altre: abitazione più adeguata, partecipazione al voto locale, avvenire dei figli. Desideri che rendono conto del faticoso percorso di inserimento - materiale e culturale - nella società italiana.

 

Cosa si desidera ora per dare prospettive più sicure alla vita (10 scelta)

 

 

Asia

Africa

America Latina

Est Europa

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Riconoscimento titolo di studio

11,4

11,5

9,5

12,6

13,0

11,4

14,0

23,1

11,1

13,7

Lavoro regolare

25,7

18,6

31,0

26,1

39,1

20,0

30,0

17,9

29,5

21,4

Opportunità di scelta lavoro

19,0

20,4

20,6

15,3

17,4

20,0

14,0

10,3

19,0

17,1

Casa più adeguata

7,6

12,4

11,1

12,6

4,3

 5,7

4,0

 7,7

8,2

11,0

Vivere in altro quartiere

1,9

2,7

 

0.9

 

 2,9

 

 2,6

0,7

 2,0

Votare elezioni locali

4,8

2,7

4,8

 9,0

4,3

 8,6

2,0

5,1

4,3

6,0

Figli inseriti in società italiana

12,4

20,4

9,5

14,4

13,0

17,1

8,0

20,5

10,5

17,7

Rispettato, perchè lavora e paga le tasse

15,2

8,8

12,7

 8,1

4,3

8,6

28,0

10,3

15,4

 8,7

Non risponde

 

 1,9

 

0,8

 

 4,3

 

 

1,3

2,3

Totale

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

 

9. Vivere la città: inciviltà, razzismi, insicurezze

Uno dei temi centrali dell’indagine era quello di vedere come, nella relazione con i locali, donne e uomini stranieri siano fatti oggetto di comportamenti incivili e insofferenti, che possono aumentare il senso di marginalità e di fatica.

Dall’esame complessivo delle risposte alla domanda «Le sono mai capitate le seguenti esperienze ?» emergono alcune osservazioni generali: la prima che, a seconda del comportamento messo sotto osservazione, varia grandemente - come ovvio del resto - il numero di donne e uomini che hanno percepito o subito i comportamenti di cui si parla: dalla metà circa a una quota del 10% (considerando le esperienze recenti e passate). Perciò una fetta consistente degli/delle intervistate non ha fatto queste esperienze.

 

Esperienze di inciviltà capitate recentemente e in passato

 

 

recentemente

in passato

mai

 

M

F

M

F

M

F

Essere osservata/o con diffidenza e ostilità

25,2

19,1

35,7

37,8

52,5

52,5

Sentirmi ignorata/o

15,7

15,1

30,5

35,5

50,7

57,9

Essere trattata/o con arroganza, disprezzo

14,4

18,1

29,8

29,8

61,6

60,9

Essere minacciata/o, insultata/o (mi hanno detto di tornare al mio paese)

13,1

12,4

22,3

21,4

64,9

71,6

Essere controllata/o nei negozi (paura che rubi)

11,5

10,4

22,3

12,0

73,8

81,3

Essere fermata/o dalla polizia per controllo

15,7

13,7

20,7

11,0

73,8

78,3

Sugli autobus/tram gli italiani controllano che timbri il biglietto

15,1

14,0

20,0

16,1

73,8

78,3

Ricevere complimenti insistenti, essere molestata\o da italiani

9,8

20,1

12,5

28,1

82,0

53,2

Ricevere complimenti insistenti, essere molestata\o da stranieri

5,2

10,4

7,2

14,7

89,5

80,3

Essere sospettata\o di prostituzione

 

9,4

0,7

8,7

99,3

87,7

 

La seconda osservazione si riferisce alla differenza di genere, che è marcata soprattutto per alcuni comportamenti offensivi loro diretti. Se infatti gli uomini subiscono maggiori controlli nei negozi e sono fermati dalla polizia, le donne sono/sono state sospettate di prostituzione e molestate da complimenti insistenti: in misura maggiore da parte di italiani (il 46,8%) e minore da stranieri (un quinto, 19,7%). Un’esperienza, comunque, alla quale non sono estranei nemmeno gli uomini.

La domanda ha inoltre cercato di rilevare un andamento temporale nella percezione di questi episodi, fra un tempo vicino/il presente (recentemente) e il passato, nella ipotesi che emergessero andamenti in aumento o in diminuzione e trarre da questo indicazioni su un «raffreddamento» di certi climi persecutori o il contrario; pur tenendo presente come si sia in presenza di fenomeni e percezioni che intrecciano strettamente aspetti oggettivi e soggettivi in divenire. Resta il fatto che per tutti i casi considerati la denuncia di comportamenti diffidenti o persecutori è sentita dagli intervistati più alta per il passato che per il presente. Questo porterebbe a ipotizzare che la popolazione locale stia attenuando certi atteggiamenti sgradevoli e intolleranti verso uomini e donne immigrati e che, d’altronde, questi ultimi col passare del tempo siano meno in tensione nella convivenza con gli autoctoni: dunque comportamenti e percezioni che vanno modificandosi, ma che restano piuttosto vive e consistenti, anche nel presente, da parte dei giovani, da meno tempo in Italia. In generale si attenua la percezione di inciviltà verbali come l’essere minacciato o trattato con arroganza, essere controllato nei negozi e sui mezzi pubblici; anche la Polizia sembra diminuire controlli per strada (in particolare dei maschi). Sentirsi guardato con diffidenza continua ad essere tuttavia una percezione piuttosto diffusa, indicativa del permanere di tensioni: lo avverte anche oggi un quarto dei maschi e un quinto delle donne. E lo avvertono, come si è detto, tanto più quanto più sono giovani, quasi che la giovinezza (dei maschi o delle femmine a seconda dei casi) sia un fattore che espone maggiormente alla diffidenza e all’inquietudine dei locali.

 

 

Roma

Prato

Reggio Emilia

Torino

Palermo

 

recentem.

passato

recentem.

passato

recentem.

passato

recentem.

passato

recentem.

passato

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

1 diffidenza

6,7

10,0

20,0

28,3

19,4

10,0

38,7

38,3

38,6

31,3

36,8

34,4

31,7

25,0

45,0

40,0

30,3

18,2

37,9

49,1

2 ignorati

8,3

3,3

33,3

31,7

12,9

26,7

33,9

43,3

15,8

21,9

26,3

28,1

21,7

16,7

28,3

40,0

19,7

5,5

30,3

34,5

3 disprezzati

1,7

5,0

30,0

26,7

16,1

18,3

24,2

23,3

12,3

31,3

24,6

35,9

20,0

23,3

41,7

33,3

21,2

10,9

28,8

29,1

4 insultati

5,0

5,0

31,7

18,3

11,3

1,7

37,1

13,3

12,3

17,2

26,3

21,9

18,3

23,3

30,0

23,3

18,2

14,5

19,7

30,9

5 negozi

8,3

8,3

25,0

13,3

8,1

3,3

16,1

1,7

10,5

7,8

17,5

9,4

18,3

16,7

33,3

23,3

12,1

16,4

19,7

12,7

6 fermato

18,3

16,7

23,3

13,3

11,3

6,7

22,6

10,0

8,8

6,3

5,3

6,3

28,3

28,3

36,7

18,3

12.1

10,9

15,2

7,3

7 autobus

18,3

16,7

23,3

15,0

11,3

6,7

21,0

11,7

8,8

7,8

7,0

7,8

25,0

28,3

36,7

35,0

12,1

10,9

12,1

10,9

8 molestie it.

3,3

18,3

16,7

33,3

4,8

10,0

4,8

10,0

19,3

31,3

19,3

29,7

3,3

21,7

6,7

30,0

18,2

18,2

15,2

38,2

9 molestie str.

5,0

10,0

10,0

21,7

3,2

6,7

3,2

5,0

5,3

10,9

5,3

10,9

 

13,3

5,0

18,3

12,1

10,9

12,1

18,2

10 prostituz.

 

10,0

 

10,0

 

1,7

 

 

 

9,4

1,9

12,5

 

18,3

 

18,3

 

7,3

1,5

1,8

 

NB omesso «mai/non ho avuto questa esperienza» che è il complemento a 100 dopo «recentemente» e «in passato» per M e F in ogni città

1. Essere osservata/o con diffidenza e ostilità

2. Sentirmi ignorata/o

3. Essere trattata/o con arroganza, disprezzo

4. Essere minacciata/o, insultata/o (mi hanno detto di tornare al mio paese)

5. Essere controllata/o nei negozi (paura che rubi)

6. Essere fermata/o dalla polizia per controllo

7. Sugli autobus/tram gli italiani controllano che timbri il biglietto

8. Ricevere complimenti insistenti, essere molestata\o da italiani

9. Ricevere complimenti insistenti, essere molestata\o da stranieri

10. Essere sospettata\o di prostituzione

 

Non a tutti e tutte le straniere in modo uguale, comunque, vengono diretti questi comportamenti; oltre all’età è il colore della pelle che attira più l’attenzione e provoca reazioni di rifiuto, così che uomini e donne africani sono quelli più «sotto tiro» per insulti, sospetti e molestie che acquistano un significato decisamente razzista.

E anche l’atmosfera della città pesa. Per il complesso degli atteggiamenti di diffidenza, ostilità e controlli verso entrambi i sessi si distinguono Torino, poi Palermo; tuttavia anche a Reggio Emilia è molto facile per gli stranieri e straniere sentirsi addosso occhi diffidenti e sprezzanti (e la città è al primo posto nel molestare), mentre Prato in genere si distingue per maggiore civiltà dei locali.

Già da ora in relazione alla percezione della sicurezza/insicurezza urbana cominciano a delinearsi due situazioni che ricorrono anche suècessivamente: le città grandi da un lato, con Torino che precede Palermo e Roma, sono teatro di maggiori tensioni, diffidenza e pericoli; dall’altro le città medio-piccole sono più tranquille, con un segno positivo a vantaggio di Prato.

Anche in relazione alle inciviltà e ai comportamenti razzisti prima considerati, in città si possono verificare situazioni che producono ansia e paura, insicurezza. Una percezione che si presenta da subito segnata dalla differenza di genere: un quinto circa degli uomini, ma un decimo delle donne dicono di non provare sensazioni di ansia per i casi presentati.

Per la maggior parte si confermano invece timori legati agli spazi aperti e ai mezzi di trasporto. C’è infatti una quota di uomini e di donne (sia pure ridotta, più degli altri africani e africane) che si sentono in ansia quando si muovono in città, sia il semplice camminare per strada che uscire dal proprio quartiere (donne asiatiche, uomini asiatici e africani), o salire sui mezzi pubblici (donne e uomini africani); paure vissute prima di tutto nella metropoli, Roma (qui, tra l’altro, è alto il numero di coloro che sono state vittime di scippi e borseggi, cfr. oltre), ma anche a Palermo. Alcuni uomini provano timore se vogliono entrare in locali nei quali non si èconosciuti (soprattutto africani, in particolare a Torino), e più delle donne, anche perché più di queste abituati a servirsi dei locali pubblici.

 

Situazioni che creano ansia e timore

 

 

Maschi

Femmine

Tot. M/F

camminare per strada

6,7

5,5

6,1

uscire dal quartiere

4,6

4,8

4,7

prendere i mezzi di trasporto

5,0

4,8

4,9

entrare in bar, ristotanti dove non conosciuto

12,2

7,0

9,4

sentire le sirene della polizia, incontrare agenti in divisa

15,1

7,0

10,8

sentire notizie di immigrati aggrediti, uccisi

67,2

54,8

60,6

uscire la sera da solo/a

27,3

65,1

47,5

 

Il totale è superiore a 100, perché erano possibili più risposte

 

Ma è soprattutto la città di notte che spaventa. E qui la differenza di genere è significativa, poiché le donne sono spaventate in misura più che doppia degli uomini (65,1% rispetto al 27,3%; le cinesi e le africane lo sono più di tutte, a Roma e a Prato in particolare): una differenza che rimanda a uno stato d’animo di insicurezza che le donne - le straniere come le italiane - percepiscono di notte. La città di notte potenzia tutti i possibili rischi e pericoli, timori da cui non sono immuni nemmeno dei maschi, cinesi in particolare.

E se incontrare la polizia produce più timore negli uomini (questi del resto hanno avuto più esperienze di irregolarità e subiscono più controlli), gli uni e le altre si sentono in qualche modo minacciati nella loro sicurezza, e in molti provano paura, alla notizia di aggressioni anche mortali a danno di altri immigrati (più della metà ne èimpaurita, il 67,2% dei maschi e il 54,8% delle donne). Sono fatti che - spesso presentati con notevole superficialità dai media - mantengono alta la tensione e l’attenzione non benevola degli autoctoni su tutti gli immigrati in blocco, fatti che enfatizzano l’allarme sugli immigrati come causa di azioni illegali, di violenze, di delinquenza. Fatti che alimentano la «spirale perversa» e circolare della percezione della paura e dell’intolleranza negli uni e degli altri. E non è un caso che ne siano ancora più colpiti gli uomini, più nel mirino quali responsabili di criminalità.

 

10. Comportamenti precauzionali

Quali allora i comportamenti che abitualmente uomini e donne mettono in atto per non esporsi a situazioni di rischio o semplicemente per sentirsi più sicuri e tranquilli quando si muovono in città ?

Innanzitutto si manifesta uno scarto di genere che conferma la maggiore dimestichezza e autonomia degli uomini nell’uso degli spazi pubblici, poiché sono più numerosi nell’affermare di muoversi senza problemi in città, tanto da non adottare alcuna precauzione particolare (55,1% dei maschi rispetto al 44,7% delle donne).

Ma qui interessano invece i comportamenti di quanti - oltre la metà delle donne e in misura minore gli uomini - adottano comportamenti e reazioni di difesa. Anche gli uomini mettono in atto tutte le precauzioni e le «strategie di evitamento» considerate tipiche delle donne. C’è anzi una singolarità: che gli uomini intervistati reagiscono agli insulti verbali tacendo più di quanto non facciano le donne; e viceversa, rispondono meno per le rime nelle stesse occasioni. Una spiegazione possibile di questa maggiore prudenza o timidezza maschile è che probabilmente almeno una parte degli uomini sa che la loro reazione diretta potrebbe divenire fonte di ulteriori risposte, finire magari in risse e aggressioni, e perciò preferiscono troncare le questioni, subire in silenzio. In entrambi i casi, comunque, si distinguono rispetto agli altri sia gli uomini che le donne provenienti dall’Africa; e ciò fa pensare che anche in questo caso il colore della pelle

- già segnalato in precedenza come elemento che espone maggiormente al riconoscimento e a insulti di tipo razzista - sia l’elemento che condiziona reazioni e comportamenti. Altri, soprattutto indiani ed europei, cercano invece di passare inosservati: diventare persone invisibili !

Naturalmente sono più le donne che non reagiscono di fronte a complimenti pesanti (africane ed europee): una strategia adottata anche dalle donne italiane, così come evitare i luoghi che si sanno pericolosi nella mappa cittadina.

La prudenza di evitare contatti con certi altri stranieri, perché potrebbero essere poco rassicuranti o peggio, è più degli uomini (si distinguono in questo quelli provenienti dall’Est Europa, poi dall’Africa del nord). Le donne provenienti soprattutto dall’Africa centrale (ma sono però quelle del Maghreb ad evitare certi connazionali/stranieri) si distinguono più delle altre nei comportamenti prudenziali; anche le cinesi evitano luoghi considerati pericolosi.

 

Comportamenti consueti nella città

                                              

 

Maschi

Femmine

Tot. M/F

Evito di prendere i mezzi di trasporto

 4,6

  7,2

 5,9

Cerco di non attirare l’attenzione

 15,5

 19,8

 17,6

Davanti agli insulti preferisco non rispondere

 26,1

 22,5

24,3

Davanti agli insulti rispondo per le rime

 14,5

 16,7

 15,6

Davanti a complimenti pesanti fingo di non sentire

7,6

16,7

12,1

Evito contatti con certi connazionali o altri stranieri

11,9

7,5

9,7

Evito i luoghi ericolosi della città

18,2

22,9

20,5

In città mi muovo senza problemi

55,1

44, 7

50,0

 

Il totale è superiore a 100, perché erano possibili più risposte

 

Ci sono dunque uomini e donne stranieri che più degli altri hanno problemi per la loro sicurezza personale e «si difendono» da certi comportamenti delle popolazioni locali. Ma non solo: si «difendono» anche da altri stranieri e/o connazionali, la cui presenza è quasi sempre individuabile in luoghi ben precisi della città.

 

11. Discriminazioni, soprusi, aggressioni

L’esperienza che uomini e donne immigrati hanno fatto di azioni discriminanti, violente e illecite, tese a segnare forme di sfruttamento a vantaggio della popolazione locale anche in termini economici, a perpetuare condizioni di debolezza e di ricattabilità, costituisce un altro tassello dei sentimenti di insicurezza nei migranti.

Gli ambiti sondati sono: rapporti fra padroni di casa e affittuari, rapporti di vicinato, controlli da parte di polizia e carabinieri, la scuola dei figli, i rapporti di lavoro comprese le molestie sessuali.

La condizione di «vittima» è riferita prima di tutto all’intervistato/a, ma si è allargata la sfera alla cerchia di amici e conoscenti immigrati per esplorare, sia pure in modo indiretto, l’ampiezza dei fenomeni in questione. Anche in questo caso, va subito segnalato, una quota variabile di uomini e donne (da meno della metà fino a oltre tre quarti) non ha subito alcuno dei reati e delle sopraffazioni indicate: né loro stessi, né i loro amici e conoscenti. Una constatazione positiva. Non per tutti, comunque, come sarebbe equo. Ed è sulle esperienze negative che ora si pone l’accento.

 

Rapporti con locatari. Le difficoltà e la violenza subite dagli stranieri sono molto elevate, quanto a raggiri e truffe e ancor più quanto ai rifiuti ricevuti: lo sono ancor più per gli uomini per i quali evidentemente i locatari hanno maggiore diffidenza anche perché molti sono soli o con amici, che per le donne (32,1% e 24,4% nel primo caso; 46,6% dei maschi e 36,4% delle donne nel secondo caso). Una volta ottenuta la casa, per una parte di loro si sono verificate incomprensioni con i vicini: abitudini, modi di vivere diversi generano insofferenze nella vita di ogni giorno, quando ci si trova a condividere gli stessi spazi (insofferenze confermate anche più avanti, a proposito delle opinioni degli intervistati sui modi di pensare e di comportarsi degli italiani).

 

Controlli immotivati da parte delle forze dell’ordine riguardano più l’esperienza dei maschi (oltre un quarto) che delle femmine, un dato che conferma altri risultati del questionario che mostrano la maggiore «esposizione» dei maschi ai controlli delle forze dell’ordine e perciò anche il maggiore sentimento di ansia che la loro vista procura: più agli uomini, appunto, che alle donne.

 

Per quanto vi sia chi lamenta episodi di discriminazione vissuti dai figli a scuola, tuttavia l’ambiente scolastico risulta quello che offre condizioni di inserimento che gli immigrati giudicano meno problematiche che altrove.

 

È l’ambito del lavoro quello che, insieme alla casa, è fonte di più numerosi episodi di discriminazione che respinge gli immigrati in posizioni di subordinazione, sfruttamento e violazione di diritti. Discriminazioni che più facilmente, ma non necessariamente, avvengono durante i periodi di irregolarità che, si ricorda, oltre il 60% degli uomini ha vissuto.

Fra tutte le azioni illecite indagate, emerge in primo piano l’offerta di lavoro al nero (54,1% degli uomini e 43,0% delle donne ne hanno fatto esperienza), cui seguono truffe e raggiri in senso stretto (patti non mantenuti, ecc.), discriminazioni rispetto ai lavoratori italiani. Infine a circa un quinto è stato rifiutato il lavoro, perché immigrato. In tutti i casi considerati sono più numerosi gli uomini ad essere stati vittime, ma anche per le donne si tratta di esperienze quantitativamente significative.

Delle molestie sessuali sono le donne a portare il peso.

Un fatto particolare è quello di incidenti sul lavoro che non sono stati denunciati, poiché evidentemente si trattava di lavoro nero, non protetto, ecc.; per quanto non si tratti di una indagine specifica sul lavoro, un 11% di casi segnalati «personalmente» dagli uomini conferma L’esistenza di un fenomeno di cui si ha notizia indirettamente, ad esempio dagli ambulatori di prima accoglienza nonché dalle notizie tragiche della cronaca.

Episodi forse minori, comunque indicatori di diffidenza e sfiducia nei processi di inserimento «a pieno titolo» possono manifestarsi da parte delle banche che talvolta - e la conferma tocca il 10,8% dei maschi e in minore percentuale le donne - frappongono difficoltà ad aprire il conto corrente bancario, a rilasciare il «bancomat», non certo ad aprire un libretto di risparmio.

Sono generalmente più numerose le donne e gli uomini di età intermedia, fra i 30 e 40 anni, ad essere state vittime di reati, ma consistenti percentuali anche fra le/i giovani.

Se poi si considera non l’esperienza personale, ma le discriminazioni e i soprusi a danno di amici e conoscenti stranieri dei quali si è a conoscenza, il numero sempre maggiore di coloro che ne sono informati è da considerarsi un indicatore indiretto di quanto siano diffusi rapporti sociali e lavorativi segnati da sfruttamento e ricatto ai danni degli immigrati: o per ricavarne un vantaggio economico o per rifiutarne decisamente la presenza aggravando posizioni di marginalità e precarietà.

Gli uomini provenienti dall’Africa sono in genere i più colpiti da atti discriminatori, ma sul lavoro lo sono pesantemente anche gli europei dell’Est, in particolare per l’offerta al nero, per incidenti non denunciati e per discriminazioni rispetto agli italiani.

Sono meno numerosi, per lo più asiatici, coloro che lamentano discriminazioni nei confronti dei figli a scuola.

Anche fra le donne, chi viene dall’Africa è più vittima delle altre: hanno subito personalmente più truffe sulla casa (in genere conoscono un numero molto ampio di coloro che hanno fatto la stessa esperienza), hanno avuto incomprensioni nei rapporti con i vicini e lamentano discriminazioni subite dai figli a scuola; sono state le più truffate e discriminate sul lavoro. Rifiuti sul lavoro, comunque, sono lamentati anche dalle europee. Molestate soprattutto le africane e le latinoamericane.

Le culture urbane locali diversificano grandemente le esperienze di discri­minazione. Sulla casa: sono Torino e Palermo le città dove gli uomini e le donne straniere incontrano maggiori truffe e rifiuti e dove è più facile avere cattivi rapporti con i vicini (anche a Prato, tuttavia, i rifiuti sono alti come truffe e incomprensioni coi vicini a Reggio Emilia).

Quanto al controllo immotivato da parte della polizia e dei carabinieri, come considerando globalmente le discriminazioni subite sul lavoro, Torino appare una città dura verso gli immigrati, ma Palermo non lo è molto meno. Anche a Roma sono consistenti soprattutto le offerte di lavoro al nero che invece sono ridotte a Reggio Emilia; qui tuttavia un quinto delle donne lamenta rifiuti, truffe e discriminazioni. A Prato c’è una discreta quota di lavoro al nero e di incidenti non denunciati, ma globalmente le denunce sono inferiori.

 

Essere vittima di discriminazioni nella casa, nel lavoro, ecc.: personalmente, conoscenti/amici stranieri

 

 

Lui

Lei

Conoscenti/amici

Non esperienza

 

M

F

M

F

M

F

Truffe e raggiri sulla casa (caparra non restituita, affitto iù alto degli italiani)

31,1

24,5

48,5

37,2

44,6

49,7

Rifiuto di affitto della casa

46,9

36,6

51,8

44,0

32,1

39,8

Conflitti e incomprensioni con i vicini di casa italiani

17,4

18,5

29,2

27,2

64,3

62.4

Controllo senza motivo di documenti da parte di polizia, carabinieri

27,2

11,7

34,8

26,5

56,1

67,8

Discriminazioni dei figli a scuola

7,5

8,4

13,4

19,5

82,3

75,5

Truffe e raggiri sul lavoro (non danno soldi concordati, ecc.)

29,5

20,1

29,8

28,9

55,4

59,7

Offerte di lavoro al nero

54,1

43,0

46,9

43,0

37,0

40,6

Discriminazioni sul posto di lavoro rispetto agli italiani

29,2

18,8

28,5

28,5

57,7

62,1

Incidenti sul lavoro non denunciati

11,1

5,0

14,8

14,8

78,0

81,5

Rifiuto del lavoro perché immigrato/a

23,0

17,1

27,2

27,2

63,6

67,1

Rifiuto/difficoltà per aprire c. corrente

10,8

6,0

11,5

9,7

82,6

86,2

Molestie sessuali sul lavoro

1,0

7,0

6,9

8,7

92,5

86.2

 

N.B: Il totale di riga per M e F è superiore a 100, perché la domanda era a più risposte.

 

12. Episodi e autori di atti violenti

Sempre restando nell’ambito degli episodi di vittimizzazione, si è cercato di capire chi fossero gli autori degli episodi denunciati, per articolare l’analisi da più angoli di visuale. Andare oltre la relazione e la contrapposizione fra italiani e immigrati come due universi indifferenziati, e considerare anche le relazioni fra immigrati e immigrati. Nella ipotesi che l’universo stesso degli stranieri sia ormai da considerarsi non un tutto indistinto e che minacce e ingiustizie che causano insicurezze e timori agli/alle immigrati/e, provengano anche dagli immigrati stessi.

Prima di tutto, a conferma di quanto emerso nella domanda precedente, va segnalato che più del 40% degli uomini e più di un terzo delle donne dicono di essere stati personalmente vittime di questi episodi. E se è vero che le ingiustizie sul lavoro sono dovute soprattutto a datori di lavoro italiani (quasi un terzo per i maschi, poco meno per le femmine), un 8% degli uomini e 7% delle donne le ha subite da altri immigrati, sia connazionali che di altra provenienza. Donne e uomini africani ed europei si confermano gli immigrati che subiscono più numerose ingiustizie in campo lavorativo, in particolare da parte italiani; ma le europee e le africane anche da parte di altri stranieri compresi i connazionali.

Ma è soprattutto come autori di atti predatori di strada - scippi e borseggi - che emerge la presenza consistente degli stranieri (connazionali e altri). Inoltre non è irrilevante che donne e uomini immigrati siano vittime molto frequenti di questo tipo di delinquenza (una delle ragioni, probabilmente, della paura a muoversi in città, in particolare la notte). Infatti è stato borseggiato/derubato il 36,4% degli uomini e il 40% delle donne, evidentemente ancora più esposte a tali rischi. In questo reato autori italiani e stranieri quasi si equivalgono.

Italiani e stranieri quasi si equivalgono (una flessione di poco più di un punto percentuale per gli stranieri) anche come autori di aggressioni effettuate da singoli o da gruppi. In definitiva stranieri e straniere sono oggetto di violenze fisiche e verbali sia da parte di italiani che di altri immigrati, anche connazionali, benché in quantità minore degli atti predatori di strada. Una conferma di osservazioni già emerse da parte di donne straniere che spesso vedono nei connazionali possibili aggressori.

Uomini e donne asiatici e africani sono vittime più degli altri/e di furti e di aggressioni anche da parte di connazionali e altri stranteri.

Dando uno sguardo complessivo alle risposte, le grandi città appaiono luoghi aperti al pericolo di aggressioni, liti, scippi e furti. Rischio che è assai ridotto nelle medio-piccole (a Prato comunque si ruba di più, a Reggio Emilia sembra più facile incappare in liti e aggressioni).

La città nella quale avvengono più furti e borseggi a danno degli stranieri è senz’altro Palermo, Roma segue a breve distanza; ma nella prima gli autori sono stati soprattutto italiani, mentre a Roma si tratta soprattutto di altri immigrati: ugualmente vero per donne e uomini. Andamenti simili se si considerano liti e aggressioni effettuati da singoli e da gruppi: Palermo si conferma la città più a rischio fra quelle considerate, e anche in questi casi gli italiani sono gli autori più numerosi, mentre a Roma sono gli altri immigrati. E questo indica come gli stranieri si debbano ugualmente guardare sia da italiani che dagli altri immigrati, come se su questo piano si fosse prodotta una forma di uguaglianza fra gli uni e gli altri, ma in negativo.

 

Atti, violenti e discriminatori subiti da italiani, connazionali/altri stranieri

 

 

Roma

Prato

Reggio Emilia

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

1 Scippi, furti da italiani

8,3

10,0

9,7

16,7

10,5

7,8

15,0

16,7

48,5

45,5

19,0

18,7

Scippi, furti da stranieri

31,8

35,0

17,7

10,0

3,6

18,8

20,0

11,7

4,5

9,0

15,3

28,1

Non subito scippi, furti

58,3

50,0

69,4

70,0

86,0

73,4

60,0

58,3

47,0

45,5

63,6

59,9

 

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

2 Aggressioni liti da singoli italiani

13,3

3,3

3,2

1,7

3,5

18,8

3,3

6,7

30,3

14,5

11,1

9,0

Aggressioni, liti da singoli stranieri

18,3

6. 7

 

4,8

7,3

7,8

13,4

6,7

6,0

20,0

9,8

8,3

Non subito aggressioni da singoli

68,3

90,0

91,9

96,7

89,5

73,4

83,3

86,7

63,3

65,5

79,0

82,6

 

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

3 Aggressioni liti da gruppi di italiani

8,3

6,7

 

1,6

3,5

3,1

8,3

5,0

27,3

3,6

10,2

3,7

Aggressioni, liti da gruppi di stranieri

15,0

3,4

 

4,8

 

3,6

6,7

5,0

10,6

5,4

8,2

2,7

Non subito liti e aggressioni da gruppi

76,7

90,0

93,5

100,0

93,0

96,9

85,0

90,0

62,1

90,9

81,6

93,6

 

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

4 Ingiustizie sul lavoro da italiani

46,7

26,7

17,7

8,3

21,8

21,9

40,0

35,0

34,8

41,8

32,1

26,4

Ingiustizie sul lavoro da stranieri

13,3

16,7

 

5,1

5,3

6,3

13,3

6,6

7,5

6,2

8,3

8,4

Non subito ingiustizie

40,0

56,7

80,6

86,7

73,7

71,9

46,7

58,3

57,6

50,9

59,7

65,2

 

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

Quanto alle ingiustizie e allo sfruttamento sul lavoro, si confermano andamenti già emersi a proposito dei reativisti in dettaglio: Palermo, Roma e Torino sono città più dure per chi cerca lavoro e più a carico dei maschi (fa eccezione Palermo); a Reggio Emilia e a Prato, invece, le situazioni di sfruttamento sono più contenute. Più «avvantaggiati» gli italiani - come ovvio - nello sfruttamento dei lavoratori/trici immigrati, ma a Roma e a Torino non mancano sfruttatori stranieri.

 

E quando si è stati/e vittima di un reato, quale comportamento è stato tenuto ? E' scontato, è facile per gli stranieri sporgere denuncia, esercitare i propri diritti come un cittadino qualsiasi ? Non lo è. Non è automatico farlo - e del resto non lo è nemmeno per gli italiani anche se negli ultimi anni si è registrata una maggiore propensione alla denuncia - e fra quanti si dichiarano vittime (cioè il 30% delle donne e il 37% degli uomini sul totale) - solo la metà lo ha fatto.

Gli altri, sia uomini che donne, sono stati trattenuti soprattutto perché non volevano avere grane con la Polizia, sia che si avesse una posizione regolare che no. Una insicurezza che si prova verso chi è visto soprattutto nel suo ruolo repressivo. Più le donne sono state persuase a non farlo e perché nessuno era disposto a testimoniare: dunque la convinzione di non essere credute, la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine e la mancanza di sostegno dell’ambiente che hanno provocato una sensazione di debolezza e impotenza.

 

13. La frequenza degli uffici e dei servizi pubblici

Accedere agli uffici pubblici e ai servizi, sia per il rilascio di documenti che per ottenere prestazioni di varia natura, è una necessità quotidiana. Ed è anche un indicatore della facilità o della difficoltà del percorso di inserimento e di stabilizzazione degli stranieri, di come si costruisce la loro cittadinanza sociale. L’impatto, che anche per i cittadini italiani è raramente friendly, può essere decisamente più problematico per le complessità normative del nostro sistema, nonostante gli sforzi di semplificazione in corso, per la difficoltà di accedere alle informazioni corrette, per le difficoltà linguistiche, per la scarsa disponibilità degli impiegati non sempre addestrati a una pratica di accoglienza, ecc.

Come vivono questo contatto uomini e donne stranieri - esplorato attraverso un indicatore globale come «trovarsi a proprio agio o a disagio» - fornisce perciò un ulteriore tassello della vivibilità o della invivibilità della città e dei suoi servizi, della qualità della accoglienza e degli stati d’animo degli immigrati, della loro capacità di destreggiarsi con autonomia.

Gli uffici e i servizi considerati sono diversi, alcuni «obbligati» o di prima necessità, altri legati al lavoro; variano perciò le quote di coloro, in certi casi consistenti, che non ne hanno esperienza alcuna. In genere, ad eccezione di anagrafe, servizi sanitari e Questura, le donne frequentano meno gli altri servizi/uffici proposti (Ufficio provinciale del lavoro, Camera di commercio, Sindacati), confermando che il loro raggio di azione è più ridotto, soprattutto se connesso con l’area del lavoro.

Gli uffici nei quali oltre la metà degli uomini e delle donne si sentono a loro agio sono soprattutto l’anagrafe del comune e l’ufficio dell’ASL per la scelta del medico. Ma se si ha bisogno del pronto soccorso ospedaliero, ci sono già più problemi: un quarto circa (un po’ più le donne) si sente a disagio, sia che ciò possa essere dovuto a modalità organizzative non accoglienti che a differenti culture del corpo e della malattia che creano difficoltà di comunicazione e disorientamento.

Ma sono gli uffici della Questura, di cui quasi tutti hanno esperienza, quelli nei quali si vive il disagio maggiore: per oltre la metà degli uomini e delle donne (un po’ più i primi delle seconde). E la cosa non cambia in altri uffici territoriali come i Commissariati, benché siano meno frequentati.

In generale, uomini e donne (ma queste come si è detto hanno una frequenza ridotta rispetto ai maschi) danno un giudizio positivo degli uffici legati al lavoro, dall’ufficio provinciale del lavoro alla Camera di commercio (ma qui la frequenza è minore che altrove), ai sindacati. Più uomini frequentano i Centri di accoglienza, soprattutto a Torino e Roma, e il giudizio è positivo.

Sono generalmente gli europei seguiti dagli africani i più insoddisfatti; le donne dall’Africa e dall’Asia manifestano disagio in particolare per il pronto soccorso, probabilmente per i motivi prima accennati.

 

Essere a proprio agio o a disagio negli uffici e servizi

 

 

Roma

Prato

Reggio Emilia

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Anagrafe comune

Agio

43,3

51,7

62,9

66,7

84,2

77,8

80,0

86,2

57,1

58,5

65,2

68,4

Disagio

31,7

25,0

14,5

5,0

5,3

4,8

13,3

12,1

12,7

15,1

15,6

12,2

Non frequenta

25,0

23,3

22,6

28,3

10,5

17,5

6,7

1,7

30,2

26,4

19,2

19,4

ASL uffici

Agio

48,3

63,3

62,3

60,0

86,0

79,0

86,7

96,6

52,4

62,3

66,8

74,4

Disagio

35,0

13,3

8,2

5,0

3,5

8,1

3,3

1,7

25,4

28,3

15,3

10,9

Non frequenta

16,7

23,3

29,5

35,0

10,5

12,9

10,0

1,7

22,2

9,4

17,9

16,7

Pronto soccorso

Agio

31,8

23,3

25,0

20,0

82,5

69,8

75,0

79,3

50,8

54,7

52,7

49,3

Disagio

37,9

43,3

16,7

13.3

8,8

14,3

15,0

12,1

34,9

41,5

22,8

24,5

Non frequenta

31,0

33,3

56,7

66,7

8,8

15,9

10,0

8,6

14,3

3,8

24,2

26,2

Questura

Agio

36,7

35,0

27,9

44,1

33,3

23,8

40,0

46,6

33,3

47,2

34,2

38,9

Disagio

55,0

60,6

63,9

40,7

61,4

65,1

53,3

48,3

54,0

43,4

57,5

51,9

Non frequenta

8,3

5,0

8,2

15,3

5,3

11,1

6,1

5,2

12,7

9,4

8,3

9,2

Commissariato

Agio

30,5

25,0

 

11,5

33,3

18,0

35,0

42,2

23,8

34,6

26,7

23,7

Disagio

49,2

53,3

9,8

6,8

36,8

21,3

30,0

16,9

34,9

19,2

32,0

23,7

Non frequenta

20,3

21,7

78,7

93,2

29,8

60,7

35,0

40,7

41,3

46,2

41,3

52,6

Ufficio  Provinciale del Lavoro

Agio

35,6

30,6

23,3

15,0

64,9

46,0

58,3

52,5

32,3

30,2

42,6

34,9

Disagio

25,4

26.7

11,7

3,3

10,5

4,8

13.3

15,3

37,1

24,5

19,8

14,6

Non frequenta

39,0

43,3

65,0

81,7

24,6

49,2

28,3

32,2

30,6

45,3

37,6

50,5

Sindacati

Agio

25,0

25,0

19,7

15,3

66,7

49,2

40,0

39,0

29,0

20,8

35,7

30,3

Disagio

3,3

5.0

13,1

1,7

 

7,0

6,7

1,7

8,1

5,7

7,7

2,7

Non frequenta

71,7

70,0

67,2

83,1

26,3

50,8

53,3

59,3

62,9

73,6

56,7

67,0

Camera di commercio

Agio

25,0

16,7

13,1

5.2

36, 8

14,3

30,0

30,5

15,0

5,7

23,8

14,7

Disagio

 

10,0

4,9

3,4

5,3

4,8

 

6,7

10,0

7,5

7,4

3,1

Non frequenta

65,0

83,3

82,8

91,4

57,9

81,0

63,3

69,5

75,0

86,8

68,8

82,3

Centro accoglienza

Agio

30,0

18,6

13,3

10,0

30,4

1,6

40,0

39,0

25,8

32.1

27,9

19.7

Disagio

13,3

8,5

13,3

10,0

1,8

6,3

8,3

1,7

 

8,1

9,1

5,4

Non frequenta

56,7

72,9

73,3

80,0

67,9

92,1

51,7

59,3

66,1

67,9

63,1

74,8

Totale di colonna per ogni item

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

Marcate appaiono le differenze fra città che sembrano indicare culture dei servizi piuttosto distanti: nei servizi anagrafici, sanitari e del lavoro a Torino e a Reggio Emilia la maggioranza degli uomini e delle donne intervistate si trova bene; le ricorrenti risposte positive fanno pensare a pratiche di accoglienza e di efficienza

diffuse. Più insoddisfazioni e disagi si provano invece negli uffici pubblici e al pronto soccorso - denunciati soprattutto dalle donne - di Roma e Palermo. In tutte le città il disagio è forte negli uffici della Questura, con punte di oltre il 60% a Reggio Emilia - qui il clima sembra essere l’opposto che negli altri uffici pubblici della città, in particolare per le donne - e a Prato, soprattutto per gli uomini. Anche a Roma oltre la metà degli intervistati, e più le donne, denuncia il problema. In sostanza, nella situazione difforme che riflette la più generale situazione italiana di funzionamento disomogeneo degli uffici pubblici, l’indicazione che si trae è che ci siano margini ampi di lavoro, e in alcune città più che in altre, per qualificare la capacità di risposta agli stranieri: un’esperienza che, quando è positiva, ne favorisce il riconoscimento di «cittadini come gli altri». Un tassello del puzzle dell’integrazione.

 

14. Città sicure e insicure: un giudizio d’insieme

L’analisi fin qui condotta ha esplorato i diversi ambiti e situazioni che possono essere fonte di ansia, insicurezza e paura per gli uomini e le donne straniere che si muovono negli spazi pubblici cittadini, che hanno relazioni con il sistema delle istituzioni e dei servizi, che possono subire raggiri e truffe sul lavoro e per la casa, aggressioni e furti. Un mosaico di fattori oggettivi e di percezioni soggettive che determinano diversi comportamenti e precise precauzioni con le quali gli stranieri fanno fronte, quando è possibile, alle situazioni di rischio.

Cercando ora di ricomporre i diversi tasselli dell’esperienza individuale che di volta in volta è stata situata nei diversi contesti urbani, qual è la percezione globale che donne e uomini hanno della città dove vivono ? Quale valutazione generale danno della sua sicurezza per gli stranieri che l’abitano?

 

Giudizio sulla sicurezza della città per gli stranieri

 

 

Roma

Prato

Reggio Emilia

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Per niente sicura

8,3

5,0

8,1

3,3

3,5

1,6

10,0

5,0

15,2

5,5

9,2

4,0

Poco sicura

30,0

31,7

16,1

20,0

10,5

15,6

41,7

46,7

33,3

27,3

26,9

28,1

Abbastenza sicura

56,7

60,0

62,9

70,0

49,1

57,8

31,7

40,0

25,8

43,6

44,9

54,5

Sicura

5,0

3,3

11,3

6,7

36,8

25,0

15,0

8,3

24,2

21,8

18,4

13,0

 

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

Ad un giudizio globale, è il 35% degli uomini e un numero leggermente inferiore delle donne (32,1%) che ritengono la propria città poco o per niente sicura per gli stranieri. Il restante - dunque la maggioranza - ne dà un giudizio positivo, pur attenuato dall’«abbastanza» da parte della maggior parte (il 45% dei maschi, il 54% delle donne).

Ma il giudizio non è omogeneo, riflette anche in questo caso situazioni urbane diverse:

- la città giudicata meno sicura - dalla maggior parte degli uomini ma anche delle donne - è Torino; segue Palermo nel giudizio degli uomini, dove il campione si divide quasi equamente tra giudizi negativi e positivi, ma non per le donne;

- Roma rivela ampi margini di insicurezza, tuttavia non per la maggioranza degli intervistati sia donne che uomini;

- le città medio-piccole, di fronte alle grandi, sono ritenute senz’altro più sicure per gli immigrati, e Reggio Emilia (oltre l’80% per entrambi i sessi) in questo caso precede Prato.

L’opinione delle donne e degli uomini è generalmente convergente se non per la città di Palermo, dove le donne esprimono un giudizio più positivo.

Quali fattori incidono sulla percezione della sicurezza ? Pensando a questa valutazione come riassuntiva, in certo qual modo, degli elementi prima analizzati, non stupisce di trovare una sostanziale convergenza di giudizi: Torino e Palermo, nell’esperienza degli intervistati, sono infatti le città nelle quali sono più esposti a rischi e difficoltà sul lavoro, nella casa, dove più problematico e conflittuale è il rapporto «faccia a faccia» con i locali. Allo stesso tempo, la percezione della sicurezza della città non sempre è strettamente correlata alle singole esperienze negative che possono essere capitate, (14) ma ciò che conta - o che pesa - è quel certo clima generale della città sul quale influiscono anche i media con la loro costruzione di messaggi.

Ancora una volta soprattutto chi viene dall’Africa deve fare i conti con esperienze, percezioni e valutazioni più negative di coloro che vengono da altre parti del mondo e dunque fanno intravvedere più difficili percorsi di inserimento nel nostro paese.

 

Giudizio sulla sicurezza della città per gli stranieri a seconda della provenienza

 

 

Asia

Africa

America Latina

Est Europa

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Per niente sicura

7,6

1,8

11,9

7,2

 

4,3

8,0

5,1

9,2

4,0

Poco sicura

28,6

16,6

33,3

38,7

4,3

40,0

16,0

20,5

26,9

28,1

Abbastenza sicura

47,6

67,3

32,5

44,1

69,6

45,7

60,0

56,4

44,9

54,5

Sicura

16,2

14,2

20,6

9,0

21,7

14,3

14,0

17,9

18,4

13,0

 

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

15. Azioni che favoriscono sicurezza e inserimento degli stranieri

Dalla denuncia delle difficoltà, dei problemi, delle paure, si passa ora alle proposte. Quali azioni suggeriscono gli immigrati alle autorità locali perché il loro inserimento nella città divenga più sicuro, perché la loro presenza non costituisca più motivo di diffidenza o di intolleranza ? Due domande raccolgono gli orientamenti in proposito: la prima si riferisce a coloro che hanno le responsabilità di governo della città, la seconda agli stessi immigrati.

Quanto alle politiche sostenute da chi governa, sono in pochi, donne e uomini, ad avere un atteggiamento per così dire «attendista», lasciando che sia il tempo a smussare le diffidenze e a favorire la convivenza (comunque lo pensano in particolare a Roma e a Reggio Emilia, piccola e grande dimensione della città in questo caso convergono). Entrambi i sessi, e nella misura del 50 %, mostrano in primo luogo di avere fiducia in azioni di governo che affidano agli strumenti culturali il compito di abituare gli italiani a non avere paura degli stranieri. Fiducia ribadita dalla conoscenza e dallo scambio prodotti da incontri tra le comunità, straniere e autoctone da organizzare nei quartieri, dove la condivisione degli spazi e l’incontro «faccia a faccia» sono frequenti elementi di tensione (25,1% M e 28,7% F in particolare europei e africani). Il ponte fra differenze andrebbe poi supportato dalla diffusione di nuove figure professionali – mediatori/trici culturali - secondo l’opinione di oltre un quarto degli uomini e delle donne, soprattutto a Prato e a Palermo.

Tutti questi interventi fanno leva, in vario modo, sulla conoscenza per sconfiggere l’ignoranza, causa prima dell’intolleranza, e fare crescere la sicurezza degli stranieri.

 

Azioni del governo della città per migliorare la sicurezza degli stranieri

 

 

Maschi

Femmine

Totale M/F

Aumentare la presenza di vigili urbani

10,0

11,3

10,6

Più severità con spaccio, prostituzione

40,8

38,6

39,7

Più mediatori culturali

27,1

29,7

28,4

Più incontri di italiani e stranieri nei quartieri

25,1

28, 7

26,9

Educare italiani a non avere paura degli stranieri

49,5

50,2

49,8

Nulla, occorre tempo per la convivenza

18,1

12,6

15,4

 

Il totale è superiore a 100, perché la domanda era a più risposte

 

Questa linea di azione del governo cittadino deve essere poi affiancata da una decisa repressione dello spaccio di droga e della prostituzione (è il secondo intervento per importanza, africani ed europei lo sostengono più degli altri, a Torino e a Roma in particolare, ma anche a Reggio Emilia); sono traffici che si sa essere per una gran parte in mano a stranieri - e perciò si tratta di un intervento volto per lo più contro una parte stessa del mondo dell’immigrazione - mentre assai meno efficace è considerata la maggiore presenza di vigili nei quartieri e del resto sono pochi a ritenere il quartiere dove abitano più pericoloso di altri; chiedono comunque questo intervento uomini e donne a Prato.

Quanto a loro stessi, per migliorare il loro inserimento nella vita della città, donne e uomini immigrati concordano nel ritenere prioritaria la loro partecipazione ad associazioni che operano in favore dei diritti degli immigrati, rendendo così esplicito il legame fra condizione collettiva e condizione individuale, fra aspetti giuridici e migliore inserimento sociale (26,6 % F e 27,1% M).

Il secondo veicolo di inserimento sociale sono le manifestazioni culturali e artistiche, e mentre come terza scelta le donne puntano a rafforzare le associazioni della loro comunità che vedono strumento di aiuto e di rassicurazione (21,1%), gli uomini danno più valore all’uso dei mass media locali per diffondere informazioni autonomamente gestite (20,3%).

 

Azioni degli immigrati per migliorare l’inserimento in città

 

 

Maschi

Femmine

Totale M/F

Creare/rafforzare associazioni della comunità

 17,7

 21,1

 19,4

Partecipare alle associazioni per i diritti degli immigrati

 26,6

 27,1

 26,8

Manifestazioni culturali/artistiche di altri paesi

 22,6

 24,1

 23,3

Spazi autonomi in radio e TV locali

 20,3

 17,7

 19,0

Promuovere incontri sportivi

 5,9

  3,3

  4,6

Altro

 5,2

  5.0

 5,1

non risposto

 1.6

  1,7

  1,7

Totale

100,0

 100,0

 100,0

 

Europei e africani danno più peso alla partecipazione associativa, asiatici e latinoamericani alla promozione culturale, africani alla gestione dei massmedia, un orientamento che è diffuso anche fra le donne africane; mentre le donne dell’Asia pongono l’accento sulla loro comunità per rafforzare la capacità di inserimento, le donne europee sostengono invece l’impegno politico in favore dei diritti. Due modelli politico-culturali si evidenziano: il primo punta alla mediazione comunitaria che tutela la singola persona, il secondo al riconoscimento del singolo individuo come titolare di diritti.

Non c’è dunque una sola via - sia da parte di chi governa la città che da parte degli stranieri - per produrre maggiore sicurezza individuale e collettiva, migliore inserimento sociale, ma il piano dei diritti e delle libertà (anche attraverso la repressione delle illegalità) e quello della cultura e del cambiamento di mentalità sono i due terreni sui quali occorre che tutti si impegnino per obiettivi convergenti.

 

16. Immagini e stereotipi nella popolazione italiana. Lo sguardo degli «stranieri» su di noi

Le risposte analizzate in questa sezione erano volte a cogliere percezioni, vissuti, immagini, stereotipi che popolazione italiana e immigrata si rimandano.

Abbiamo ritenuto necessario inserire questo tipo di domande a partire dalla convinzione che l’immigrazione oggi ponga una «questione sociale» che non riguarda solamente condizioni e diritti dei migranti (e delle migranti), ma anche l’impatto che essi producono nel contesto sociale nel quale si inseriscono, che a sua volta ha precise ricadute sulla in\sicurezza di chi «straniero» vive nel nostro paese.

Inoltre si tratta di questioni che possono pesare in maniera differente su donne e uomini, essere influenzate (o meno) dalle culture «locali» e dai diversi contesti urbani, così come da usi e costumi dei paesi di provenienza.

Il primo quesito era relativo al modo in cui donne e uomini immigrati percepiscono atteggiamenti, comportamenti, opinioni della popolazione italiana nei loro confronti.

La maggioranza degli italiani tenderebbe a guardare il fenomeno migratorio nel suo insieme, con scarsa capacità di distinguere fra i diversi gruppi nazionali e le differenti culture. Lo affermano oltre tre quinti degli intervistati, sia uomini che donne, e con toni assai più decisi chi vive a Torino, Reggio Emilia, Palermo (cfr. tabella seguente, quarto quesito).

Questa superficialità dello sguardo non giunge tuttavia a rinchiudere tutti i migranti nelle categorie di clandestini o delinquenti (primo quesito). Solo una minoranza degli italiani avrebbe adottato un’ottica sospettosa e denigratoria verso gli stranieri in città come Prato o Roma, mentre questa percentuale sale alla metà della popolazione a Torino. D’altro canto Torino è anche la realtà dove in modo più deciso si segnala (ancor più da parte delle donne) come la maggioranza della popolazione discrimini in base al colore della pelle (secondo quesito). Un atteggiamento che riguarda, in misura minore, anche romani e reggiani, mentre ne sarebbero quasi immuni i pratesi.

Una realtà, quella che emerge dalle interviste condotte a Prato, che evidenzia alcune particolarità e sollecita una serie di riflessioni alle quali accenniamo solamente. Il campione pratese è focalizzato - di necessità per rispecchiare l’andamento dell’immigrazione in quel territorio - sulla popolazione proveniente dal continente asiatico, in particolare dalla Cina. Si può ipotizzare, stando ai dati raccolti e comparandoli con le realtà a prevalente immigrazione africana, che nonostante tutto il «giallo» faccia meno paura del «nero» (anche se di recente alcune inchieste giornalistiche, apparse su quotidiani e settimanali a larga diffusione, hanno teso a sottolineare «il pericolo giallo»). Un atteggiamento degli italiani che a sua volta può derivare da comportamenti che la popolazione immigrata mette in atto. Lo stesso orientamento verso la chiusura dentro la propria comunità, che è proprio in particolare dei cinesi, quella «riservatezza» che porta a comunicare ben poco con gli autoctoni, ad essere «autosufficienti», poco invadenti fino a divenire quasi invisibili, potrebbe rappresentare una delle ragioni che alla fine porta ad una accettazione passiva di chi, pur essendo presente, non disturba gran che gli equilibri e i modi di vivere della città. Non a caso infatti l’atteggiamento degli abitanti diviene sospettoso e diffidente, quando non esplicitamente ostile, nel momento in cui la presenza straniera viene percepita come «invasione» che si appropria di intere parti del quartiere. (15)

A fattori che allontanano migranti e nativi se ne possono accompagnare altri che invece accomunano; per esempio quella cultura del lavoro che produce risultati di efficienza e ricchezza, magari anche a prezzo di condizioni di pesante fatica e sfruttamento. La proverbiale capacità imprenditoriale dei pratesi finisce per accogliere (16) una popolazione con la quale sente affinità per quanto concerne l’etica del lavoro e che d’altro canto, per l’autonomia dimostrata nell’organizzazione quotidiana, non cambia radicalmente modi e ritmi della vita urbana (o in altro caso che sa adattarsi all’ambiente e allo stile di vita locale, come ad esempio è accaduto per altre comunità nell’area reggio-emiliana).

A tutto ciò si devono aggiungere gli interventi messi in atto dalle amministrazioni locali e l’attenzione verso la popolazione immigrata nella proposta di servizi adeguati che spesso fanno di queste realtà minori luoghi di sperimentazione per una convivenza multietnica. Uomini e donne straniere (queste ultime in maniera più accentuata, come se ci fosse in loro maggiore attenzione e una più acuta sensibilità nel percepire anche atteggiamenti non sempre chiaramente espressi a livello verbale) si sentono addosso l’accusa di «rubare il lavoro agli italiani» (terzo quesito) soprattutto da parte dei torinesi; ma in questo caso anche la maggioranza dei pratesi farebbe pesare questo pregiudizio. Sempre a Torino si deve aggiungere il peso di sentirsi vicini di casa mal sopportati (sesto quesito). Infatti, nonostante i problemi accennati, si ritiene che gli italiani, in fin dei conti, accolgano più facilmente gli stranieri come colleghi di lavoro che come vicini di casa. Esperienze analoghe a quelle di chi vive a Reggio Emilia o ancora peggio a Roma, dove quasi tre quarti del campione conferma di sentirsi non gradito dalla maggior parte degli italiani che vivono nello stesso condominio o accanto nel quartiere.

Se dunque sul lavoro è in fin dei conti possibile trovare punti di convergenza (magari tramite quella stessa cultura del lavoro prima accennata), talvolta anche di solidarietà nella lotta contro le discriminazioni e la difesa di diritti che possono accomunare italiani e stranieri, più difficile diviene essere accettati in quegli aspetti di diversità che turbano e disturbano perché contrastano con abitudini e usanze. E un’insofferenza talvolta epidermica verso costumi che danno fastidio perché non consueti: dal modo di cucinare, agli odori, talvolta al tono di voce o all’abbigliamento. È la difficoltà ad accettare lo «straniero» quando questi diviene parte della vita quotidiana e delle relazioni sociali.

Un insieme di fattori ostili che porta la popolazione immigrata a sentirsi usata come capro espiatorio (nono quesito) sul quale la maggioranza degli italiani finisce per proiettare problemi e difficoltà legate al lavoro e all’organizzazione della vita urbana. Un uso dello straniero come gioco degli specchi praticato dalla maggioranza della popolazione autoctona, a parere di oltre la metà degli intervistati, soprattutto maschi, in tutte le realtà considerate, salvo Prato dove, secondo l’opinione di donne e uomini (circa tre quarti), solo una minoranza di cittadini scaricherebbe sugli stranieri problemi e difficoltà.

Più che le campagne di alcune forze politiche (ottavo quesito) è il modo in cui la televisione fornisce le notizie a creare allarme tra la maggioranza degli italiani nei confronti degli immigrati. Di lì può nascere un vero e proprio circolo vizioso dell’insicurezza. Timori e preoccupazioni presenti in tutte le realtà, espressi da quasi tre quarti degli intervistati, più maschi che femmine (75,4% contro 68,1%), e con allarme maggiore fra chi vive a Torino (e poi anche Reggio Emilia e Palermo).

Il prezzo che gli italiani chiedono sarebbe dunque quello di tagliare con le proprie radici ? (quinto quesito). Gli intervistati, donne e uomini, attribuiscono questo atteggiamento di chiusura solo ad una parte minoritaria della popolazione autoctona.

In sostanza, dunque, la maggioranza degli italiani sarebbe più accogliente di altre popolazioni ? (decimo quesito). In questa sorta di giudizio conclusivo il campione si spacca a metà, rivelando uno, sguardo lievemente più favorevole da parte del campione maschile, ma in modo non sempre congruente con le risposte precedenti per quanto concerne le diverse realtà urbane. Nonostante i problemi anche gravi denunciati in altre risposte, chi vive a Torino ammette che in fondo nella città prevale una maggioranza di abitanti accoglienti, mentre chi vive a Prato, dopo avere sottolineato nelle risposte precedenti la scarsa problematicità della vita in quella città, sostiene che nella sostanza la disponibilità ad accogliere gli stranieri è patrimonio di una minoranza, che diviene davvero esigua nel giudizio delle donne intervistate. Si palesa dunque in queste donne, pur nella maggiore tranquillità dimostrata, una sorta di delusione nel vedersi ben tollerate ma non accettate come persone che, in una strategia migratoria di lungo periodo quando non addirittura definitiva, aspirano ad ampliare la sfera relazionale, anche se si tratta di bisogni espressi in maniera contraddittoria.

Se appare poco rilevante la fascia d’età degli intervistati sia per le donne che per gli uomini (di norma percepisce gli italiani come meno ostili l’area di chi è dai quarant’anni in poi, che però coincide spesso con quella parte di popolazione immigrata da più tempo residente nel nostro paese), risulta invece significativa la provenienza. Coloro che arrivano dall’Africa sentono in generale più di altri l’ostilità degli italiani. Non solo per le «ovvie» discriminazioni in base al colore della pelle (che peraltro pesano in maniera analoga su buona parte di chi viene dall’America Latina), ma ancor più per l’incapacità degli italiani di distinguere le diverse comunità, così da liquidare con troppa facilità tutti gli stranieri come clandestini e delinquenti e utilizzarli come capro espiatorio delle proprie insicurezze e difficoltà.

La questione del lavoro invece sembra pesare ancora di più sugli europei; sono soprattutto le donne dell’Europa dell’Est (70,6%, e con uno scarto di soli tre punti gli uomini: 67,3%) a percepire l’accusa, da parte della maggioranza della popolazione italiana, di «rubare il lavoro».

 

La maggioranza degli italiani pensa o si comporta nei seguenti modi

 

 

Roma

Prato

Reggio Emilia

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

1. Considerano tutti gli immigrati clandestini e delinquenti

35,0

33,3

23,0

20,3

38,2

52,5

50,8

52,5

50,0

40,7

39,5

39,9

2. Discriminano in base al colore della pelle

62,1

53,3

26,2

18,6

50,9

56,7

63,8

72,9

43,8

44,4

49,0

49,3

3. Pensano che gli stranieri rubino il lavoro

45,0

56,7

63,9

67,2

40,7

50,8

65,0

76,8

41,3

48,1

51,3

59,9

4. Non sanno distinguere fra le diverse comunità di immigrati

60,0

53,3

36,1

29,3

73,2

82,3

81,7

76,8

75,4

79,2

65,2

64,0

5. Pensano che gli immigrati debbano abbandonare le loro usanze

36,8

35,0

21,3

20,3

36,4

43,5

39,7

35,1

25,8

21,6

31,7

31,5

6. Accettano più facilmente stranieri sul lavoro che vicini di casa

74,6

70,7

36,7

30,5

65,4

63,5

64,4

52,7

56,5

37,5

59,2

51,1

7. Sono allarmati da certe campagne politiche contro gli immigrati

44,4

51,7

26,2

14,0

59,2

45,1

50,8

61,4

46,6

26,2

44,8

40,4

8. Sono spaventati dalle notizie sull'immigrazione date dalla TV

70,0

71,7

72,1

45,0

78,0

77,6

81,4

82,1

76,2

66,7

75,4

68,1

9. Scaricano sugli stranieri i loro problemi

e difficoltà

59,3

55,0

25,8

22,4

57,7

55,8

51,7

53,4

57,4

40,0

50,0

45,3

10. Sono più accoglienti e rispettosi di altre popolazioni

41,4

37,9

46,7

12,1

45,7

66,1

72,2

61,2

62,5

74,0

53,9

49,1

 

Né l’accoglienza è migliore per quanto concerne la casa, la vita sul territorio e i rapporti di vicinato, dal momento che europei extracomunitari, africani e latinoamericani (in questo caso più sul versante femminile) denunciano in modo deciso il problema, segnalato dunque dalla maggior parte del campione, salvo coloro che provengono dal continente asiatico.

Un insieme di dati che confermano, da un’altra angolatura rispetto a quella adottata nelle risposte esaminate nelle pagine precedenti, come atti discriminatori sul lavoro e incomprensioni nei rapporti di vicinato riguardino in modo più accentuato alcune comunità.

Si conferma anche in questo caso come i gruppi che trovano meno ostile la maggioranza degli italiani siano decisamente quelli provenienti dall’Asia. Qualche preoccupazione (soprattutto fra gli uomini) viene mostrata solo nei confronti dell’informazione televisiva e dell’allarme che questa finisce per creare fra la popolazione autoctona, mentre ritengono irrilevanti gli effetti di campagne contro l’immigrazione, condotte da alcune forze politiche, sulla maggioranza degli italiani. Campagne che tuttavia sono avvertite come più rischiose da chi proviene dagli altri continenti.

 

17. Lo sguardo degli stranieri: opinioni, giudizi, valutazioni sui processi migratori

Nel medesimo campo di quesiti una seconda domanda era impostata a partire da una serie di affermazioni sulle quali veniva chiesta l’opinione degli intervistati e delle intervistate, esprimendo accordo o disaccordo. Affermazioni di diversa natura, volte a misurare quattro aree di ipotetico conflitto, o comunque problematiche, possibile fonte di in\sicurezza: il rapporto fra immigrati «stabilizzati» - la stragrande maggioranza del nostro campione - e nuova immigrazione, in particolare irregolare o clandestina; la percezione di discriminazioni e di atteggiamenti persecutori; le modificazioni che la cultura d’origine può o deve subire nel quotidiano contatto con usi e costumi «altri»; infine il desiderio di partecipazione attiva ai processi decisionali nel nostro paese a livello locale.

a) È possibile individuare una quota del campione (fra un terzo e un quarto) che sente in altri stranieri un pericolo per il proprio equilibrio e per l’inserimento nella società italiana, magari raggiunto a fatica nel corso del tempo. Infatti la presenza dell’immigrazione clandestina è vissuta come una minaccia da poco più di un terzo degli intervistati (35,3%), in modo leggermente più accentuato dalle donne (37,8%) e soprattutto da chi vive a Roma e a Reggio Emilia (le ragioni potrebbero essere assai diverse tra la grande e la piccola città). Soprattutto per gli uomini è un giudizio che aumenta progressivamente con l’età, dunque può essere legato alla maggiore stabilità\stabilizzazione in Italia e al sentirsi oramai un «europeo», defraudato dai nuovi arrivi.

 

Accordo con le seguenti affermazioni

 

 

Asia

Africa

America Latina

Est Europa

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Immig. clandest. e irregolari minacciano la sicurezza degli stranieri

34,3

25,5

37,2

44,8

34,8

46,9

31,3

44,7

35,3

37,8

mafia, spaccio, prostit. sono praticati solo da chi proviene da certi paesi

48,1

49,5

23,1

20,8

4,8

28,1

16,3

10,5

29,7

30,9

la mancanza di opportunità spinge molti immigrati alla criminalità

 

55,9

55,9

68,9

60,7

52,2

75,8

42,9

47,4

58,9

59,0

 

La quota di accordo si riduce di alcuni punti quando si tratta di allontanare da sé e definire come altro dalle proprie origini chi pratica spaccio di droga, traffico legato alla prostituzione o altre attività illegali di stampo mafioso (29,7% maschi, 30,9% femmine). Posizioni più radicali assumono coloro che provengono dal continente asiatico (quasi la metà) e chi vive a Prato: oltre tre quinti; ma sappiamo che in buona parte si tratta degli stessi soggetti, dal momento che una quota consistente di asiatici, in particolare cinesi, vivono a Prato. Nel prendere le distanze, come comunità, da chi spaccia droga o gestisce il traffico della prostituzione traspare una volontà di separatezza e autonomia nell’ambito del processo migratorio e di alcuni fenomeni che lo caratterizzano che probabilmente contribuisce, insieme ad altri aspetti, a fare si che questo gruppo si senta più accettato o comunque non percepisca nella vita quotidiana pratese particolari ostilità né discriminazioni.

Quasi tre quinti del campione (nel complesso senza differenza tra donne e uomini, con maggiore decisione in chi proviene dal continente africano) mostra uno sguardo comprensivo verso quegli stranieri che cadono nelle reti della criminalità, poiché tali comportamenti sarebbero in gran parte determinati dalla mancanza di opportunità che il nostro paese attualmente offre agli immigrati. Una «giustificazione» più convincente per chi vive a Torino e a Reggio Emilia.

b) Essere immigrati in Italia significa per circa la metà del campione, con un accento ancora più deciso nella componente femminile, sentirsi un soggetto discriminato e sempre sotto - potenziale - accusa. Infatti il 49,1% degli uomini (in particolare i latino americani e gli africani) e il 52,7% delle donne (soprattutto quelle che provengono dai paesi dell’Europa extracomunitaria) ritengono che le punizioni siano molto più pesanti, anche per reati minori, se si è stranieri. Un'esperienza che segna soprattutto chi vive a Roma e a Torino, che si confermano dunque città «dure»; così come si ripresenta l'ipotesi che queste esperienze di discriminazione siano meno percepite da chi è oltre i quarant'anni e presumibilmente da più tempo in Italia.

 

Accordo con le seguenti affermazioni

 

 

Roma

Prato

Reggio Emilia

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Anche per piccoli reati la punizione è molto più dura se sei straniero\a

65,0

63,2

37,7

30,0

50,0

56,4

57,9

63,5

36,1

53,1

49,1

52,7

Chi è immigrato ha sempre paura di essere incolpato di reati non commessi

61,7

62,7

55,7

52,5

51,9

64,4

68,3

66,7

48,4

68,6

57,2

62,8

 

Una quota ancora più consistente vive in un'atmosfera persecutoria, nella costante paura di essere incolpata di reati non commessi, proprio in quanto migrante (57,2% uomini, 62,8% donne). Paura che si accentua là dove l'atmosfera metropolitana è già stata segnalata come più rischiosa, anche da altre risposte: sono questi i casi di Torino e Roma, dove c'è più omogeneità anche nelle risposte dei due sessi.

c) Una batteria di quattro items era rivolta a misurare l'intersecarsi di tradizione e innovazione nel contatto fra diverse culture. Due temi di ordine generale, due orientati al versante familiare e alla condizione femminile.

 

Accordo con le seguenti affermazioni

 

 

Asia

Africa

America Latina

Est Europa

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Anche in un paese straniero tutte le tradizioni devono essere mantenute intatte

54,4

50,9

63,3

70,8

43,5

60,0

63,3

65,8

59,8

61,0

Troppi immigrati per sentirsi più accettati rinnegano la loro cultura di origine

33,7

18,7

39,0

46,3

34,8

38,2

44,9

38,9

38,0

33,9

 

Un atteggiamento di necessaria e rigorosa continuità con usi, costumi, culture delle origini (il quesito era «anche in un paese straniero tutte le tradizioni devono rimanere intatte») è espresso da oltre la metà degli intervistati, con una lieve accentuazione da parte femminile (61,0% contro 59,8% maschile), soprattutto coloro che provengono dal continente africano, ma in misura di poco inferiore anche dagli altri paesi europei.

Un giudizio che tuttavia non si tramuta per tutti\e in condanne di stampo integralista, dal momento che la percentuale di accordo cala decisamente, fino quasi a dimezzarsi (38% maschi, 33,9% femmine), quando l'affermazione diviene «troppi immigrati rinnegano la loro cultura d'origine per sentirsi più accettati».

d) Più donne che uomini ‑ poco più di un terzo contro poco meno di un quarto ‑ esprimono riserve sui matrimoni «misti». Una quota comunque minoritaria (dal momento che anche la maggioranza delle donne non è comunque contraria ai matrimoni misti, tanto è vero che nel 64,8% dei casi esprime disaccordo) che forse tende a salvaguardare la conservazione di un modello di famiglia, culturalmente omogeneo, magari «causa» della sua stessa migrazione e dal quale potrebbe mantenere tuttora un livello maggiore di dipendenza.

 

Disaccordo con le seguenti affermazioni

 

 

Asia

Africa

America Latina

Est Europa

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Meglio evitare matrimoni misti perché si creano incomprensioni

73,1

58,2

68,6

58,7

95,7

79,4

87,8

86,8

75,5

64,8

Solo dentro la famiglia una donna può trovare sicurezza in un paese straniero

64,7

68,8

45,1

58,9

78,3

61,8

68,8

74,4

58,4

65,2

 

Lo scarto ora segnalato fra opinioni femminili e maschili si rovescia quando si tratta di sostenere che una donna può trovare sicurezza solo dentro la famiglia in un paese straniero: 65,2% delle donne è in disaccordo, contro 58,4% degli uomini. Dissenso più deciso fra europee e asiatiche e fra quelle che vivono a Prato e a Torino, due realtà dove le donne sono particolarmente attive nel mercato del lavoro, accettando solo nel cinque, sei per cento dei casi il ruolo di casalinga. L'essere operaia o commerciante, come si verifica in prevalenza a Prato, oppure colf o anche solo alla ricerca attiva del lavoro, come accade ad oltre un quarto delle intervistate a Torino, è una condizione correlata ad una maggiore autonomia delle donne. Inoltre si può ipotizzare che si senta l'influenza, magari indiretta, di una cultura di emancipazione delle donne con «antiche» radici a livello locale e che un lavoro svolto da associazioni di migranti e native possa avere lasciato un segno. In sostanza si può pensare che culture e pratiche politiche delle donne in taluni contesti urbani aiutino le immigrate a trovare poi autonomamente maggiori spazi di libertà femminile.

e) Abbiamo visto che la partecipazione politica alle elezioni locali veniva segnalata solo come seconda istanza, ma soprattutto da coloro che da più anni risiedono in Italia, se veniva posta come uno dei mezzi per migliorare la qualità della vita nel nostro paese (cfr. paragrafo 8). Un consenso assai diverso assume questa opportunità se il quesito viene posto in relazione all'acquisizione di un diritto che sancisca l'allargamento della cittadinanza «gli\le immigrati\e dovrebbero avere diritto di voto per eleggere il sindaco»). In questo caso il desiderio di partecipare alla politica locale riguarda la stragrande maggioranza del campione, con una leggera accentuazione sul versante maschile (80,1% contro 77,6% di quello femminile) e tende ad evidenziarsi col crescere dell'età per entrambi i sessi. Si tratta, come abbiamo visto, di chi risiede in Italia e in quella città da più tempo, avendo fatto della migrazione una strategia di lungo periodo e una scelta «stanziale», in taluni casi irreversibile, come accade in modo particolare per una quota consistente che proviene dal continente africano.

Una domanda di più forte integrazione e partecipazione, in quanto membri della comunità locale, viene espressa da chi vive a Prato e a Palermo ma anche a Torino, mentre coinvolge meno di tutti coloro che provengono dagli altri paesi europei. In questo caso siamo di fronte spesso ad una immigrazione recente, concepita assai più di altre come un'esperienza temporanea, o magari anche prolungata nel tempo ma con .una sorta di «pendolarismo» fra l'Italia e il paese d'origine. Né d'altro canto pare significativo, se non forse in una ristretta minoranza, il desiderio di divenire cittadini attivi in un'Europa comunitaria allargata, nella quale esercitare i propri diritti in nome di una cittadinanza europea

 

Gli immigrati dovrebbero avere diritto di voto per eleggere il sindaco

 

 

Roma

Prato

Reggio Emilia

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Accordo

81,7

72,4

91,8

75,0

58,2

73,3

78,9

86,2

87,3

82,0

80,1

77,6

Disaccordo

18,3

27,6

8,2

25,0

41,8

26,7

21,1

13,8

12,7

18,0

19,9

22,4

Totale

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

Abbiamo già visto come il modo in cui la televisione fornisce le notizie produca, a parere dei nostri testimoni, allarme tra la maggioranza degli italiani nei confronti del fenomeno migratorio.

Entrando nel merito dei vari aspetti e delle diverse questioni che possono creare preoccupazione fra la popolazione immigrata e minarne la sicurezza, magari perché sollecitano emozioni negative anche in quella autoctona, il problema più rilevante riguarda il modo in cui i mezzi di informazione parlano dell'arrivo dei clandestini. In seconda istanza si segnalano i toni che il tema della sicurezza dei cittadini italiani assume in relazione ai mutamenti che il fenomeno migratorio provoca.

Parole e immagini che la televisione usa per informare su questi temi sono dunque, a parere della maggioranza degli intervistati, sia donne che uomini, in grado di incidere sul senso di in\sicurezza della popolazione italiana e, di conseguenza, di quella straniera. Sempre rilevante, ma meno grave e pesante per le conseguenze che può produrre, il modo in cui la tv parla del racket della manodopera e del lavoro degli immigrati.

 

18. Insicurezza e difficoltà: i punti di riferimento

La rete dei connazionali, sia parenti che amici, è il punto di riferimento più importante nei momenti difficilì del percorso migratorio. Un sostegno al quale ricorre poco meno della metà degli intervistati, sia uomini che donne (45,1 % e 45,3 %), in misura più consistente chi proviene dal continente asiatico; una risposta che conferma l'importanza e il peso della propria comunità quale elemento di mediazione con la società italiana, già rilevata a proposito del campione cinese.

Le donne indicano in una quota più consistente di quella maschile (37,6% F contro 28,0% M) di fare ricorso alla preghiera e alle cerimonie religiose. Una modalità di trovare conforto nei momenti difficili che coinvolge con maggiore intensità chi proviene dal continente africano.

Assai raramente invece viene riconosciuta l'esistenza di una figura carismatica nell'ambito della propria comunità in grado di aiutare nei momenti di difficoltà (4,7% F, 1,6% M).

Nella sostanza si equivale ‑ poco meno di un sesto, senza rilevanti differenze fra donne e uomini ‑ la quota di chi nei momenti di difficoltà trova conforto nelle tradizioni della famiglia (un rifugio al quale ricorre di frequente chi proviene dall'Europea dell'Est) e chi in gruppi, associazioni, amici italiani.

Una distanza fra le risposte di uomini e donne si evidenzia là dove si tratta di affermare la propria autosufficienza, autonomia o forse ammettere la solitudine e il bisogno di aiuto. E' infatti il 22,7% dei primi contro il 12,1% delle seconde a negare di fare ricorso a qualcuno o qualcosa di particolare nei momenti difficili; quasi non si volesse ammettere la propria fragilità, temendo di apparire deboli. Oppure è la fatica a riconoscere e ricordare (se si tratta di quelli da più tempo in Italia) le difficoltà sperimentate e la ricerca di sostegno alla quale, magari in passato, si è fatto ricorso.

 

Abitualmente a chi o a che cosa si rivolge per trovare un sostegno

 

 

Maschi

Femmine

Totale

Preghiera

28,0

37,6

32,7

Tradizioni famiglia

15,5

15,1

15,3

Parenti, amici connazionali

45,1

45,3

45,2

Associazioni, amici italiani

13,2

15,1

14,1

Leader comunità

1,6

4,7

3,2

Niente in particolare

22,7

12,1

17,4

Altro

6,3

8,1

7,1

 

Il totale è superiore a 100, perché la domanda era a più risposte

 

19. Un bilancio su cittadinanza e sicurezza: la valutazione dei migranti

a) L'intervista terminava con una sorta di bilancio del percorso migratorio, sia pure entro i confini delle tematiche trattate, indagando la percezione di sé nella città di residenza e più in generale in Italia.

Si è dunque ripresa in un'ottica più complessiva, riferita ad un senso generale di sicurezza, e nella prospettiva di un bilancio rispetto al primo impatto con l'Italia e alle aspettative iniziali, la questione già affrontata in precedenza limitatamente alla sicurezza urbana.

Nell'insieme, considerando i diversi aspetti della vita nel nostro paese, la sensazione prevalente tra gli immigrati non è di rifiuto né di piena accoglienza, bensì di un'accettazione formale, «sulla carta», ma che li relega pur sempre nel ruolo di straniero\a. Lo afferma oltre la metà delle donne (54,8%) e poco meno della metà degli uomini (45,9%). C'è poi la convinzione di avere assai più doveri che diritti (12,1% M, 8,4% F) o addirittura, sia pure in pochissimi casi, di essere un ospite poco gradito (8,5% m; 2,7%). Percezioni più forti ‑ come si può notare ‑ nel campione maschile.

C'è però una quota di circa un terzo che si sente integrata nella società a livello locale: si vive come un cittadino normale (19,3% M; 24,1% F; tanto più quanto aumentano le fasce d'età) o addirittura ritiene di essere come a casa propria (12,5% M; 8,7% F).

La città che più offre cittadinanza per i maschi è Reggio Emilia, per le donne Torino; una dichiarazione che in parte contrasta con la percezione di insicurezza espressa in precedenza, e che rivela come evidentemente siano altri i fattori che consentono di sentirsi, nonostante tutto, cittadine: dal ruolo svolto da istituzioni, servizi, associazioni, alla rete di rapporti interpersonali fra migranti e native. Prato e Roma accolgono formalmente, lasciando nella sostanza stranieri; anche le donne reggiane sono prevalentemente di questa opinione.

Il livello più forte di integrazione viene sottolineato soprattutto da chi proviene dal continente asiatico e da quello latino americano, mentre il senso di esclusione o di accettazione solo formale prevale ìn chi arriva dall'Africa e dall'Europa non comunitaria. QuestAe ultimAe lamentano di sentirsi «stranieri» nella città, ma per altri aspetti ammettono anche di essere soddisfatti\e della vita nel nostro paese, mentre coloro che provengono dall'Africa continuano a mostrarsi anche i più delusi.

 

In sostanza, qui lei sente di essere

 

 

Roma

Prato

Reggio E.

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Ospite poco gradito

10,0

1,7

4,8

8,3

 

17,5

8,3

3,3

 

3,0

8,5

2,7

Solo doveri, nessun diritto

20,0

10,0

3,2

5,0

1,8

4,7

11,7

6,7

22,7

16,4

12,1

8,4

Accettato solo sulla carta

50,0

68,3

54,8

45,0

33,3

64,1

46,7

45,0

43,9

50,9

45,9

54,8

Cittadino/a normale

10,0

13,3

25,8

33,3

15,8

17,2

20,0

33,3

24,2

23,6

19,3

24,1

Come a casa mia

6,7

6,7

11,3

8,3

29,8

12,5

11,7

10,0

4,5

5,5

12,5

8,7

non risposta

 

3,3

 

 

1,8

1,6

1,7

1,7

1,5

3,6

1,6

1,3

Totale

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

100

 

b) Il senso di insicurezza ‑ è noto ‑ può derivare da molteplici fattori di ordine sia materiale che «immateriale». E' da questo secondo livello che più di frequente possono scaturire cause di inquietudine quando si fanno meno pressanti le urgenze della vita quotidiana.

Questa batteria di domande mirava infatti a misurare i timori in relazione alle proprie radici, al peso che queste continuano a esercitare per il benessere e l'equilibrio dei soggetti, al modo in cui si riescono a coniugare ‑ o entrano in conflitto i due aspetti che dominano la vita dei migranti : l'essere contemporaneamente qui e là.

L'età degli intervistati ‑ sia uomini che donne ‑ e dunque il tempo della permanenza nel nostro paese (una correlazione già citata), influenza questa sfera di preoccupazioni. Mentre il timore di sentirsi senza radici è causa di turbamento, tanto più profondo quanto più è giovane la classe di appartenenza dei soggetti, la preoccupazione che i figli dimentichino la lingua delle origini cresce, al contrario, con l'età. Non solo perché segue l'andamento della presenza di prole, ma ancor più perché fa misurare i rischi del distacco per chi è in Italia da più tempo; si percepisce nei figli, magari nati nel nostro paese, la difficoltà di mantenere quel legame con la lingua delle origini che può rappresentare una garanzia nella ricomposizione, non sempre facile, di identità plurali e composite.

Né è un caso che siano più le donne degli uomini ad esprimere questo timore, confermando il ruolo centrale nella cura dei figli e nella «mediazione» fra le due culture d'appartenenza. All'interno dell'universo femminile sono le donne che vivono a Prato, quelle asiatiche a sentire con più forza il problema. Tra le città è invece Roma il luogo che fa temere di più il distacco dalle proprie radici: la metropoli che accentua il senso di estraneazione.

Sono queste le due ragioni di maggior timore che riguardano oltre la metà del campione.

 

Poiché ora vive a contatto con la cultura italiana, prova uno dei seguenti timori

 

Timori

M

F

M

F

M

F

M

F

 

18 - 29

18 - 29

30 - 40

30 - 40

41- >

41 - >

Totale

Totale

Figli dimenticano lingua

11,8

21,2

21,7

32,6

34,6

36,7

20,3

28,8

Incomprensioni con partner

6,4

8,5

9,8

4,5

3,8

 

7,5

5,4

Sentirmi senza radici

35,5

33,1

28,0

27,3

25,0

22,4

30,2

28,8

Non essere riconosciuto dai genitori

12,7

6,8

7,7

6,8

3,8

2,0

8,9

6,0

Altro

29,1

26,

26,6

20,5

19,2

30,6

26,2

24,4

nessuna risposta

4,5

4,2

6,3

8,3

13,5

8,2

6,8

6,7

 

 

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

100,0

 

Pochi sono coloro che temono di perdere il contatto con la famiglia d'origine, fino al punto di non essere riconosciuti dai propri genitori (8,9% maschi, 6,0% femmine); un timore se mai più presente tra le persone giovani, al di sotto dei trent'anni. Pochi anche quelli che si preoccupano delle incomprensioni fra partner che la nuova vita in Italia può comportare, comunque più maschi che femmine (7,5% M, contro 5,4% F).

La voce altro, lasciata in origine aperta per raccoglie ragioni complesse di insoddisfazione o timore, ha finito per condensare essenzialmente l'assenza di timori. Infatti analizzando le risposte emerge una quota rilevante di circa un quinto degli intervistati (un po' più uomini che donne) che dichiara di non avere timori particolari o di essersi «adeguata a vivere in Italia... sia pure con un futuro incerto».

 

Essere in Italia oggi significa comunque vivere una condizione di prevalente sicurezza (58,7% M, 61,2% F) e tranquillità (60,0% M, 62,2% F), a parere della maggioranza degli intervistati, più marcata fra le donne. Una percezione che evidentemente si è trasformata nel corso del tempo. Infatti se consideriamo le stesse aree urbane ‑ Torino, Palermo, Roma ‑ che con maggiore decisione avevano denunciato condizioni di insicurezza per la popolazione immigrata, possiamo notare come la sensazione di pericolo divenga molto meno opprimente se la si paragona all'esperienza iniziale, quando le stesse difficoltà  del «passaggio», le condizioni

precarie oggettive e soggettive, in cui molti e molte si sono trovati a vivere nella prima fase in Italia, possono aver indotto a proiettare sull'esterno insicurezze e paure vissute ancor prima dentro di sé.

Si delinea un percorso analogo per chi (coloro che provengono dall'Africa) continua a denunciare con maggiore decisione il senso di insicurezza che pervade la vita dei migranti nel nostro paese. Infatti anche in questo caso, pur rimanendo gli africani il gruppo che lamenta con più forza il problema, sia sul versante maschile che femminile, i toni si attenuano, ammettendo un po' più di sicurezza oggi rispetto alle aspettative e alle condizioni materiali del primo impatto con un paese nuovo, nei confronti del quale era necessario imparare a muoversi e ad interagire con usi e costumi spesso sconosciuti.

Raffrontando queste due risposte sulla sicurezza, esce confermato l'andamento già più volte riscontrato relativo all'ultima classe d'età e dunque alla più generale tranquillità che si può costruire nel percorso migratorio sul lungo periodo.

C'è invece un po' meno soddisfazione: sono in questo caso le donne a sottolineare la delusione (44,8% F; 43,9% M), o per lo meno a mostrarsi perplesse (il 13,4% non risponde), magari comparando i risultati con le aspettative iniziali. L'atteggiamento più critico rimane quello di uomini e donne immigrati dall'Africa. Anche gli asiatici sono in questo caso meno positivi di altre volte e pertanto in questa batteria di domande lo sono meno anche quelli\e di Prato.

Chi vive a Reggio Emilia esprime una più decisa soddisfazione (59,6% M, 54,7% F), accompagnata da senso di tranquillità e sicurezza. Delusione a Prato dove sono anche insicure, soprattutto le donne, e a Palermo. A Torino gli uomini si sentono abbastanza sicuri e soprattutto tranquilli; le donne un po' più insicure, forse incerte sulla risposta da dare, come segnala la quota rilevante di non risposte.

L'atteggiamento diviene comunque più positivo con l'aumentare dell'età. Tranquillità, sicurezza e, sia pure in misura minore, soddisfazione appartengono prevalentemente agli intervistati, sia uomini che donne, dai quarant'anni in poi. Sono quindi coloro che da più tempo conducono vita stanziale nel nostro paese ad avere attenuato nostalgie e timori e a sentirsi, come ha detto una intervistata «un poco anche italiana... ma non voglio etichette».

 

Se pensa a quello che si aspettava quando è arrivato in Italia, ora lei è più

 

 

Roma

Prato

 

Reggio  Emilia

Torino

Palermo

Totale

 

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

M

F

Deluso\a

33,3

30,0

54,8

60,0

28,1

40,6

48,3

31,7

53,0

63,6

43,9

44,8

Soddisfatto\a

51,7

48,3

35,5

31,7

59,6

54,7

45,0

40,0

47,0

32,7

47,5

41,8

Insicuro\a

20,0

13,3

38,7

51,7

26,3

23,4

31,7

21,7

34,8

23,6

30,5

26,8

Sicuro\a

60,0

66,7

46,8

40,0

63,2

73,4

65,0

56,7

59,1

69,1

58,7

61,2

Timoroso\a

33,3

33,3

27,4

38,3

21,1

20,3

26,7

26,7

36,4

25,5

29,2

28,8

Tranquillo\a

46,7

55,0

56,5

53,3

68,4

73,4

71,7

61,7

57,6

67,3

60,0

62 2

 

N.B. Nella tabella flassuntiva sono state omesse le non risposte in relazione aciascuna coppia di domande

 

20. Sicurezza\insicurezza: una chiave per leggere il processo di integrazione

Richiamiamo qui brevemente, per punti, alcune considerazioni che già ricorrono nelle pagine precedenti a proposito dei diversi argomenti trattati. Sono fili conduttori che emergono dalle risposte fornite dagli intervistati, talvolta con differenze tra donne e uomini, tal altra in maniera omogenea.

Un primo dato da ricordare sono le caratteristiche del campione intervistato: la quasi totalità di persone residenti, con permesso di soggiorno e una quota di un terzo circa con una lunga permanenza in Italia. Si tratta perciò di una popolazione che ha raggiunto una consistente stabilità e che si è in buona parte lasciata alle spalle i momenti più duri dell'approdo in Italia. Infatti, se si considera uno dei temi centrali che ruota intorno a «inciviltà urbane» (diffidenze, minacce, controlli, molestie ... ) e a discriminazioni (sul lavoro e ancor più per quanto concerne la casa e le relazioni sul territorio), la situazione rilevata, proprio per questo, non è «tragica». Una fetta consistente, della metà e oltre, sembra immune da queste esperienze, tanto è vero che in un bilancio complessivo dei percorso dominano sensazioni di tranquillità sicurezza. E anche l'ambiente urbano, in fondo, alla maggioranza appare luogo di prevalente sicurezza.

Tuttavia una serie di elementi danno segnali che impongono di temperare il giudizio precedente. Infatti, sono soprattutto le persone più giovani e da minor tempo.in Italia a denunciare con maggiore forza atti discriminatori e molesti negli spazi pubblici; di qui si può inferire una condizione assai più pesante per coloro che sono arrivati di recente nel nostro paese, tanto più se hanno sperimentato quelle condizioni di irregolarità che anche la maggior parte del nostro campione ha vissuto.

Il fatto poi che dall'indagine si confermi l'esistenza di aree di illegalità e ricattabilità, prevalentemente per quanto concerne la casa e il lavoro, mette in luce la disparità di diritti in alcuni casi e di potere in altri nel fare applicare gli stessi diritti raggiunti.

Lo stesso diritto di usare gli spazì pubblici come cittadini «normali» non è garantito, per ragioni diverse, né agli uomini né alle donne, troppo spesso oggetto di immotivata diffidenza che ripropone la dicotomia noi\loro, anche se non tutti gli stranieri sono sottoposti a questo atteggiamento in modo uguale. Un elemento che emerge in modo ricorrente nell'indagine, infatti, riguarda la differenza tra etnie come variabile di maggiore o minore difficoltà nell'essere accettati in Italia e di conseguenza causa di in\sicurezza nella vita quotidiana. Donne e uomini provenienti dall'Africa subiscono più di altri questa condizione; sia dal nord che dal centro Africa, per ragioni che si ipotizzano differenti, come emerso dalle interviste esplorative: per l'area del Maghreb la generalizzazione del traffico e dello spaccio di droga, per il centro Africa il colore della pelle, accompagnato, per quanto riguarda le donne, dalla generalizzazione dei fenomeni di prostituzione.

Di altra origine, ma talvolta non meno pesanti, sono le discriminazioni nei confronti di chi proviene dall'Europa dell'Est, soprattutto sulle questioni dei lavoro.

In generale nell'interazione con gli autoctoni rivelano maggiore sicurezza le popolazioni di origine asiatica che denunciano inferiori, talvolta in misura rilevante, livelli di discriminazione. Anche perché la sintonia su alcuni stili di vita, a partire da quello lavorativo, può creare più facilmente un tessuto comune di convivenza; oppure si verifica una separazione pressoché priva di comunicazione che non genera tensioni nell'uso quotidiano della città.

Un terreno appena sfiorato dall'indagine, e che invece appare un nodo di contraddizioni ancora inesplorate e cariche di conseguenze per la sicurezza degli stessi migranti, è quello del rapporto fra le diverse comunità nazionali o, spesso, dentro la stessa di appartenenza. Il fatto che nelle risposte al questionario vengano denunciati reati commessi da altri stranieri ‑ e da connazionali ‑ così come si evitino contatti con «certi» immigrati, e inoltre si chiedano politiche più severe nei confronti dello spaccio di droga e della prostituzione fa intravedere l'esistenza di un fenomeno che, per l'aumento del flusso migratorio, sta emergendo nel nostro paese, come è già accaduto in altri di più antica immigrazione.

La sicurezza non è dovuta dunque solo al rapporto con la popolazione italiana, ma nasce oramai anche dalla presenza di altri stranieri e dalle relazioni complesse che si creano dentro la stessa comunità di appartenenza.

Si conferma l'ipotesi che era alla base della scelta di campionamento: le diverse realtà urbane determinano, sia per le caratteristiche del mercato del lavoro locale, sia per le culture radicate nel territorio, sia per il ruolo svolto dalle istituzioni, senza ignorare le associazioni, profonde differenze nell'esperienza e nella percezione di sicurezza. In linea generale, un andamento che si ripete abbastanza costantemente vede da un lato Torino, Roma e Palermo come teatro di maggiori tensioni, conflitti, discriminazioni; Prato e Reggio Emilia come realtà più accoglienti e in grado di attenuare il senso di insicurezza.

Tuttavia, anche all'interno delle grandi città, un elemento che risulta differenziante è dato dal livello dei servizi e dalla loro capacità di svolgere un ruolo di integrazione; benché si debba segnalare come l'istituzione che prima accoglie gli immigrati, la Questura, provoca in tutte le città livelli molto alti di disagio.

Al contrario può accadere ‑ è ad esempio il caso di Torino ‑ che le ostilità segnalate per quanto concerne la popolazione autoctona, si attenuino grazie al ruolo svolto dai servizi (dagli uffici anagrafici alle strutture ospedaliere); alla fine, considerando una serie di fattori, il bilancio complessivo del proprio percorso migratorio si orienta positivamente.

Si confermano, dunque, le varie sfaccettature che la percezione della sicurezza assume, non sempre coincidenti né congruenti, fra l'esperienza individuale e quella riferita più in generale all'universo dei migranti, fra percorso personale e bilancio complessivo della vita nella città.

Del resto molte delle segnalazioni di disagio, difficoltà, insicurezza che i migranti sperimentano nella quotidianità della vita urbana, nel rapporto con le istituzioni e l'uso dei servizi non fanno altro che enfatizzare problemi e rischi che vivono anche i cittadini autoctoni. Sarebbe infatti un errore vedere i fenomeni qui accennati come espressioni totalmente anomale e separate dal resto della società italiana, mentre ne sono in parte lo specchio. (17) Spesso si tratta di una «esasperazione» di processi in corso che riguardano, sia pure in misura e con forme differenti, anche la popolazione nativa. Basti pensare al lavoro nero e precario, agli incidenti nei posti di lavoro, alle molestie sessuali, al carico e alle difficoltà determinate dagli ostacoli informativi e dalle pratiche burocratiche nel rapporto con i servizi.

Discorsi validi anche nel caso delle donne. Risulta evidente come la differenza di genere giochi in maniera anche profondamente diversa nei comportamenti d'uso della città, nelle percezioni di sicurezza; ma si declini in base alle varie culture di provenienza, le quali a loro volta subiscono modificazioni dettate dalle esperienza condotte nel percorso migratorio, nel rapporto col mondo del lavoro, nella relazione con altre culture. Fra le donne intervistate, coloro che provengono dall'Africa lamentano più di altre difficoltà e diffidenze, quando non vere e proprie discriminazioni sul lavoro e nella vita urbana.

Quanto alle politiche che possono facilitare i processi di integrazione, gli stessi immigrati suggeriscono, per favorire il loro inserimento nella società italiana, azioni su due versanti antagonisti ma ugualmente necessari: a un'azione di controllo del territorio e alla repressione di atti illeciti commessi anche da altri stranieri si devono accompagnare azioni di informazione, comunicazione, conoscenza, costruendo veri e propri «laboratori di interetnicità». L'integrazione deve trasformarsi in un processo di « interazione positiva», (18) capace di abbassare il livello dei coriffitti e di «educare» la popolazione autoctona a non avere paura degli stranieri, agendo per un cambiamento delle mentalità nella parte ostile degli italiani. (19)

Da ultimo, la partecipazione attiva alla vita politica locale, tramite la possibilità di votare nelle elezioni amministrative, diverrebbe, per la maggior parte degli intervistati donne e uomini, un segno tangibile di esercizio di diritti, facendoli sentire cittadini «normali», non più solo accettati «sulla carta». (20) D'altro canto la concessione di diritti politici, come il diritto al voto locale agli stranieri regolarmente residenti, può divenire un elemento di correzione in un processo di trasformazione della democrazia che rischia di assumere caratteri oligarchici. (21)

In conclusione, molte questioni che l'ìndagine sottolinea mostrano come la condizione di migrante dovrebbe essere guardata ‑ e la lente della in/sicurezza agisce in questo senso ‑ più che come fenomeno altro da noi, come il segnale più vistoso di processi di trasformazione «a rischio», e profondamente ambivalenti, dentro i quali pure noi siamo. E senza coltivare una visione del multiculturalismo che non di rado è irenica e ingenua, (22) la condizione migrante diviene una «sfida» per agire in un processo di cambiamento, indirizzandolo verso mete di convivenza multiculturale.

 

Note:

 

1) Il testo raccoglie i risultati delle prime due fasi della ricerca sul campo (interviste a testimoni

privilegiati, somministrazione del questionario nelle città campionate e relative analisi dei risultati). La terza fase di approfondimento qualitativo, tramite l’utilizzo di focus group, è tuttora in corso.

 

2) Caritas di Roma, Immigrazione. Dossier Statistico 2000, Roma, Anterem, 2000.

 

3) Censis-Fondazione BNC, Le paure degli italiani. Criminalità e offerta di sicurezza, Roma, 2000.

 

4) Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati, Primo rapporto sulla integrazione degli immigrati in Ialia, a cura di G. Zincone, Bologna, Il Mulino, 2000.

 

5) Fondazione Nord Est, Immigrazione e cittadinanza in Europa, in Migrazioni. Scenari per il XXI secolo, Roma, Agenzia romana per la preparazione del Giubileo, 2000.

 

6) M. Vitiello, Gli immigrati tra lavoro e devianza, in Rapporto immigrazione, a cura di E. Pugliese, Roma, Ediesse, 2000. La questione della criminalizzazione degli immigrati viene affrontata, tramite una comparazione con l’indagine Istat e lo specifico contesto regionale, anche nel Quinto Rapporto Annuale, I problemi della sicurezza in Emilia-Romagna, in «Quaderni di Città sicure», n. 18, Regione Emilia-Romagna, 1999.

 

7) Un recente studio che affronta questo ordine di questioni è S. Palidda, Polizia postmoderna. Etnografia del nuovo controllo sociale, Milano, Feltrinelli, 2000.

 

8) Il problema viene trattato da D. Bigo, L'immigration à la croisée des chemins sécuritaires, in «REMI», n. 1, 1998.

 

9) Cfr. Istat, Indagine sulla sicurezza delle/dei cittadine/i, 1997/8; C. Ventimiglia, Introduzione. Differenza di genere e politiche di sicurezza nelle città europee, in «Quaderni di Città sicure», n. 17, 1999; T.Pitch, Un diritto per due, Milano, Il Saggiatore, 1998.

 

10) Questo tema è stato affrontato nell’ambito del Progetto («Città sicure» della Regione Emilia-Romagna, che ha pubblicato due Quaderni, l’uno sulla questione generale della Sicurezza e differenza di genere, Quarto rapporto annuale 1998, n. 14b, l’altro, Sicurezza/insicurezza nelle donne migranti (M. Merelli, M.G. Ruggerini), n.16, 1999. Inoltre di recente il tema è stato trattato in un workshop all’interno della Quarta Conferenza europea di studi femministi, tenutasi a Bologna nel settembre 2000.

 

11) Applicando la formula dei campioni per universi noti di dimensione non molto elevata si è ricavata la grandezza campionaria sufficiente per il nostro studio. Nel caso specifico, è stata applicata la formula secondo la quale i risultati della ricerca potevano esser ritenuti validi con uno scostamento percentuale del +/- 4%.

 

12) L’indagine sul campo, tramite somministrazione di un questionario a risposte chiuse, si è avvalsa del contributo operativo di: Le Onde onlus e Ciss a Palermo, Ires L. Morosini\S.R.F e Alma Mater a Torino; di Edna Bola Arebu, Giada Zhou, Denada Dinci, Amara Lakous e Antonio Viscome a Roma; di Wafa Louati, Amar Louati, Linn Wu, Maurizia Morini a Reggio Emilia; di Liu Tao, Qamil Zejmati, Stefania Elisei e Roberta Guerri a Prato. La metodologia del campionamento e l’elaborazione statistica è stata curata da Francesca Tei.

 

13) Nel corso dell’analisi sono presentati gli incroci per continenti di provenienza; solo in qualche caso particolare nel commento si fa riferimento alla modalità di incrocio più disaggregata.

 

14) Le risposte alla domanda sono state aggregate in «città sicura» e «città insicura»; la variabile dicotomica così ottenuta è stata utilizzata come variabile di incrocio per le domande precedentemente analizzate sui reati, le inciviltà e i soprusi denunciati. Risulta che anche chi ha subito reati ritiene sicura la città e, viceversa, chi non ne lamenta alcuno vede la città insicura per gli stranieri.

 

15) È questo il caso dell’Esquilino, a Roma, dove stiamo peraltro studiando questi e altri temi relativi alla convivenza attraverso approfondimenti qualitativi, all’interno di questa stessa ricerca.

 

16) Così come sta accadendo in altre aree dell’Italia caratterizzate da una storica imprenditorialità diffusa come ad esempio l’Emilia-Romagna. Nello stesso Nord Est, dove gli atteggiamenti di paura e rifiuto della popolazione migrante si accentuano anche in modo considerevole, subentra l’accettazione quando si verificano convergenze sulla «etica del lavoro».

 

17) La funzione di «specchio» dell'immigrazione è stata trattata ampiamente da A. Sayad. Di lui si veda, fra altri, la raccolta postuma dei suoi scritti, La double absence, Paris, Seuil, 1999.

 

18) Per questi temi si rimanda al Primo Rapporto sull'integrazione degli immigrati in Italia;  cit.; in particolare Introduzione e sintesi. Un modello di integrazione ragionevole, pp. 13 ss.

 

19) Il tema è stato trattato di recente nel Convegno internazionale «Migrazioni e società multiculturale. Le regole della convivenza», promosso dalla Agenzia romana per la preparazione del Giubileo e dal Comune di Napoli, tenutosi a Napoli il 9‑10 novembre 2000.

 

20) Si vedano a questo proposito gli Atti del Convegno, «Riformare la legge sulla cittadinanza», Roma 22 febbraio 1999.

 

21) A questo proposito si veda: G. Zincone, La nuova grande trasformazione e i suoi effetti sulla gente comune, «II Mulino», n. 1, 1998.

 

22) A. Melucci, Culture in gioco. Differenze per convivere, Milano, Il Saggiatore, 2000.